8 Ottobre 2024
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L’innominabile attuale: Roberto Calasso e l’implosione della modernità – Giovanni Sessa

Roberto Calasso, deus ex machina dell’ineffabile casa editrice Adelphi, ha, sotto il profilo editoriale, svolto un ruolo di evidente svecchiamento della cultura italiana, aprendola al confronto con autori e correnti di pensiero tenuti per troppe tempo ai margini del dibattito intellettuale. Si pensi alla pubblicazione delle opere di Guénon, Heidegger, Jünger, solo per fare qualche nome . Ha, inoltre, perseguito un proprio raffinato percorso speculativo, che lo ha indotto ad un confronto con il tema dell’origine e dello sviluppo della civiltà. Con la sua ultima fatica, da poco nelle librerie per i tipi Adelphi, L’innominabile attuale (euro 20,00), Calasso sviluppa un’analisi già accennata in, La rovina di Kasch. Qui compariva l’espressione l’innominabile attuale, preceduta e seguita da due righe lasciate in bianco. Il volume di cui discutiamo riempie questi spazi bianchi.

L’autore si confronta con lo stato presente delle cose, innanzitutto sotto il profilo culturale ed esistenziale. L’innominabile, nel quale tutti noi siamo calati, è ciò che i sociologi hanno denominato la post-modernità, la società liquida, esito ultimo dell’implosione della modernità progettata dalla ratio illuminista. Per comprendere il senso di tale attraversamento della realtà contemporanea, è opportuno far riferimento ad un poemetto di Auden, L’età dell’ansia, ambientato in un bar di New York al termine dell’ultimo conflitto. Rispetto ad allora, l’ansia non è più la situazione emotiva che maggiormente pervade i nostri giorni: essi sono preda dell’ “inconsistenza, una inconsistenza assassina” (p. 14). L’età dell’inconsistenza ha per abitanti delle tribù sociali ben determinate, tra esse: i terroristi, la cui essenza è esemplificata dalla sottospecie islamista, i turisti, i transumanisti, gli algoritmici. Diverse variabili della specie umana dominante, l’Homo saecularis, che da secoli accompagna, quale ospite inquieto ed ambiguo, la storia d’Europa. il benedettino Pietro di Cielle nel secolo XII, chiosò “la coscienza secolare non ci fornisce segni stabili e certi di se stessa. Il suo aspetto muta” (p. 43). Il problema di fondo della nostra epoca va individuato in fatto specifico: l’ombra di questo mutante “si è tramutata nell’uomo normale” (p. 43), assoluto protagonista della scena. L’uomo secolare è la personalizzazione dell’inconsistenza, legato da vincoli puramente esteriori, non conosce alcuna forma di ritualizzazione nella propria atomistica esistenza.

Calasso opportunamente rileva che la secolarità si è lasciata alle spalle ogni tentativo di convinzione, pretende solo di essere applicata. Sua quint’essenza è la tecnica. L’impianto tecno- scientifico, nel quale e del quale viviamo, ingloba anche altre concezioni della vita, le accetta alla solo condizione che non siano contrarie alle procedure vigenti, che non ostacolino la macchina sociale e il suo cammino. Ma, ahimè, le procedure vigono solo in una parte del mondo che oggi viene assediata dai diversi, dai migranti, potatori di inquietudine. Il pensiero divergente è escluso da tale orizzonte dai tratti totalitari. Per tornare a pensare, suggerisce l’autore, bisognerebbe porsi in cammino lungo l’itinerario a suo tempo intrapreso da Nietzsche, ma la cosa non è così scontata. La perdita di radici si manifesta pienamente nel turista che, più di ogni altro tipo umano, è connotato dai tratti generali dell’epoca: nomadismo cosmopolita, sconfinamento, sovra nazionalità. La psicologia del turista si riverbera anche nel tipo SBNR, spirituale ma non religioso, individuo incapace di riconoscersi nelle religioni positive ed insoddisfatto del dominio procedurale moderno. Sente il vuoto dentro di sé ma, quale nomade dello spirito, non riesce a tacitarlo in nessun luogo sacro. Turista estremo è il frequentatore della realtà virtuale: questi realizza una sospensione temporanea dell’irreversibile “può togliersi in ogni momento il visore” (p. 71), così come chi viaggia nello spazio, quando vuole, può tornare a casa.

Tutto ciò accade, come notò nel Novecento René Guénon, citato da Calasso, in quanto nel nostro mondo è venuto meno il collegamento tra inferiore e superiore, in una parola la tensione metafisica all’origine, obliata dal senso comune,che nulla sa di “scienze tradizionali “Il senso superiore è il senso metafisico puro; il resto sono solo applicazioni varie […] su queste applicazioni varie si fonda il funzionamento del mondo” (p. 74). Oggi assistiamo, pertanto, ad un accerchiamento del pensiero, nel suo significato eminente, da parte dell’informazione che tende a soffocarlo in modo definitivo, a tacitarlo irrimediabilmente. Il web ha prodotto “un Hermes beffardo e truffaldino, prodigo di doni avvelenati” (p 76). Sul piano politico ciò ha indotto il rifiuto della mediazione, sostituita dalla pura pulsione al vagheggiamento della democrazia diretta informatica. Oppure, sul piano antropologico, le tesi transumaniste, sensibili alle promesse di salvezza che le religioni promettevano, ma volte a renderle palpabili, realizzate “Penoso equivoco-manipolare l’invisibile” (p.79).

Un mondo l’attuale, rileva il nostro autore, del tutto sfuggente, che sembra ignorare il proprio passato ma che, repentinamente, si illumina e si anima non appena si discute degli anni che portarono al secondo conflitto mondiale. Tra il 1933 ed il 1945 il mondo mise in atto un tentativo di auto annientamento, solo parzialmente riuscito. Quel che accadde dopo il 1945 fu informe, grezzo e strapotente. Nella fase attuale tali tratti hanno subito un’accelerazione che ha avuto, quale suo esito, l’innominabile attuale. In questa parte del volume si evince una conoscenza profonda, addirittura intima, da parte dell’autore, degli intellettuali coinvolti con i fascismi, dai collabò francesi, a Pound ed Jünger. Attribuisce loro una sorta di signorile distacco, di formale lontananza, di consapevole incoscienza, nei confronti dei tragici eventi, ai quali, partecipavano.

Tra le diversi citazioni, al fine di rendere l’idea di ciò che diciamo, si consideri questa, relativa al 24 luglio 1943 e alle sorti di Mussolini, nella quale è descritta l’atteggiamento di Cardarelli, seduto al tavolino di un caffè “Il poeta Cardarelli sta rintanato in un angolo, immobile, estraneo al tumulto, ‘solitario sopra i fati’, direbbe di sé, come a Dio e a poeta si conviene” (p. 151). Insomma, per l’autore, la realtà contemporanea, sarebbe il risultato di quanto accaduto in Europa nel decennio 1933-1945, e gli intellettuali in questione sarebbero stati tedofori dell’innominabile attuale. Riteniamo, di contro, che essi, pur illudendosi, tentarono di mettere in atto una reazione politica-intellettuale, all’affermarsi della liquidità contemporanea. Il libro di Calasso rischia di ridursi ad uno sterile esempio di deprecatio temporis, privo di una pars construens. Ci pare difficile poter accettare, quale uscita di sicurezza la chiusa baudelairiana del libro “Abito per sempre un edificio che sta per crollare, un edificio intaccato da una malattia segreta” (p. 164). La malattia è la modernità, la terapia è la Tradizione.

Giovanni Sessa

10 Comments

  • DANILO FABBRONI 30 Dicembre 2017

    Quindi Calasso Urbi et Orbi: da Sinistra a Destra è tutto un PLAUSO infinito…. ma quanto siete bravi davvero!

  • DANILO FABBRONI 30 Dicembre 2017

    Quindi Calasso Urbi et Orbi: da Sinistra a Destra è tutto un PLAUSO infinito…. ma quanto siete bravi davvero!

  • DANILO FABBRONI 30 Dicembre 2017

    «[…] La suprema, inarrivabile, Pin-Up, tale Calasso Roberto, del Self-Publishing Supremo: ha fatto una casa editrice per autopubblicarsi, distilla l’ennesima, soffocante, goccia di veleno del Nihilismo coevo. Inutile dire quanto inutile sia questa accozzaglia di lemmi, parafrasi, ecfrasi tutti melangiati in un linguaggio combinatorio, per dirla all’Aldo Grasso, che risulta, alfine, solo in una combine da Casinò Royale. Nel rinvigorire bête fauves quali la sodomia, l’incesto, il sado-masochismo, il delitto, il crimine, il Totalitarismo delle decisioni, l’irridere plateale ai bisogni altrui, l’esibizionismo, la volontà generale di Calasso e dei suoi accoliti fa cadere nello stesso momento il concetto di cultura dopo aver reso ridicola ogni pretesa, d’altra parte, di costituirsi force d’avant-garde. Semmai fu forza di retroguardia. Stupri, scempi, massacri, omicidi, possessioni, incesti, infanticidi, suicidi, omofagie, sodomie, coprofilie: quale ‘banalità di base’ rivitalizzarli, quali negromanzie riscoprirli, rinverdirli, attraverso una pomposa, artefatta, filigrana imbastita dalla peggior mitografia greca od azteca quando poco più giù, a qualche grado di latitudine più in basso, nei mattatoi di Shangai, nei workshop di questa o quell’altra Area militare interdetta ad ogni occhio foresto, nei bassifondi della Mala, nei caveau delle Banche, si trova tutto questo scontato. Se la Cultura è Altro, come dev’essere, dalla Natura bruta, altrimenti, se fosse omologa alla Natura non si distinguerebbe da essa: sarebbe solo una mera tautologia della prima, che senso ha, se non quello della celebrazione del Niente Sovrano: ‘Re del Mondo’ dei nihilisti?, ripetere pedissequamente gli orrori che avvengono spontaneamente in Natura? Se la morte e la sua sfera ammorbante, la ‘derivata’ delle malattie terminali, già esiste, già preme, di sé e per sé, nell’ambito della Natura, quale senso anima i nihilisti à la Calasso, nel loro lumachesco sbavar di complimenti sdolcinati alla morte, rifacendo, lo diciamo ancora, scopiazzando, l’andazzo tale e quale, della vita che s’imbatte (anche) con la morte e dunque invalidando il concetto di cultura quale portatrice di un valore Altro, superiore, a quello di Natura, se non quello d’insufflare sul Tutto e su Tutti il medesimo spirito che loro idolatrano? Per nulla originali, i nihilisti, cultori acerrimi della Zero-growth, nelle loro algide movenze, mimano e miniano allo stesso tempo, il fluire vitale, ma sono ossequiosi e zelanti, fino al feticismo, a cogliere, amplificandolo senza soluzione di continuità, sopra il tutto, quel quid venefico racchiuso negli eventi mortiferi – che sì è incluso nella vita ma come una parte non come Tutto, così la morte non è il senso della Vita, come loro invece vorrebbero che sia! tentando pervicacemente di eleggerlo a diktat conclusivo dell’intiero ciclo vitale.
    Se, per loro, la comunità della morte è lo zenith a cui tendere perché non seguono coerentemente, fino in fondo, in prima persona, la sorte dei lemmings, roditori che si auto-immolano quando hanno ignavia, accidia, di loro stessi? […]»

    • paolo 5 Gennaio 2018

      Caro Danilo
      ma lei, esattamente, cosa intende con un simile, delirante commento? A me l’articolo del prof.Sessa sembra una critica ragionata del nuovo lavoro del Calasso (che io mi accingo a leggere), ma il suo commento, mi permetta, sembra scritto sotto effetto di allucinogeni.

      • DANILO Fabbroni 2 Maggio 2020

        SEMMAI CHI SCRIVE SOTTO ALLUCINOGENI è PROPRIO IL SOGGETTO DI CUI STIAMO TRATTANDO STANTE A QUANTO DICHIARA LUI STESSO, QUINDI ABBIA CONTEZZA DAVVERO DELLA SUA OPERA OMNIA PRIMA DI ‘CIARNARE’ INVANO. SECONDA COSA: SE NON COGLIE IL CARATTERE ANTIFRASTICO DELLA SINOSSI STIA AL BAR DELLO SPORT: Lì è TUTTO PIù SEMPLICE.

  • DANILO FABBRONI 30 Dicembre 2017

    «[…] La suprema, inarrivabile, Pin-Up, tale Calasso Roberto, del Self-Publishing Supremo: ha fatto una casa editrice per autopubblicarsi, distilla l’ennesima, soffocante, goccia di veleno del Nihilismo coevo. Inutile dire quanto inutile sia questa accozzaglia di lemmi, parafrasi, ecfrasi tutti melangiati in un linguaggio combinatorio, per dirla all’Aldo Grasso, che risulta, alfine, solo in una combine da Casinò Royale. Nel rinvigorire bête fauves quali la sodomia, l’incesto, il sado-masochismo, il delitto, il crimine, il Totalitarismo delle decisioni, l’irridere plateale ai bisogni altrui, l’esibizionismo, la volontà generale di Calasso e dei suoi accoliti fa cadere nello stesso momento il concetto di cultura dopo aver reso ridicola ogni pretesa, d’altra parte, di costituirsi force d’avant-garde. Semmai fu forza di retroguardia. Stupri, scempi, massacri, omicidi, possessioni, incesti, infanticidi, suicidi, omofagie, sodomie, coprofilie: quale ‘banalità di base’ rivitalizzarli, quali negromanzie riscoprirli, rinverdirli, attraverso una pomposa, artefatta, filigrana imbastita dalla peggior mitografia greca od azteca quando poco più giù, a qualche grado di latitudine più in basso, nei mattatoi di Shangai, nei workshop di questa o quell’altra Area militare interdetta ad ogni occhio foresto, nei bassifondi della Mala, nei caveau delle Banche, si trova tutto questo scontato. Se la Cultura è Altro, come dev’essere, dalla Natura bruta, altrimenti, se fosse omologa alla Natura non si distinguerebbe da essa: sarebbe solo una mera tautologia della prima, che senso ha, se non quello della celebrazione del Niente Sovrano: ‘Re del Mondo’ dei nihilisti?, ripetere pedissequamente gli orrori che avvengono spontaneamente in Natura? Se la morte e la sua sfera ammorbante, la ‘derivata’ delle malattie terminali, già esiste, già preme, di sé e per sé, nell’ambito della Natura, quale senso anima i nihilisti à la Calasso, nel loro lumachesco sbavar di complimenti sdolcinati alla morte, rifacendo, lo diciamo ancora, scopiazzando, l’andazzo tale e quale, della vita che s’imbatte (anche) con la morte e dunque invalidando il concetto di cultura quale portatrice di un valore Altro, superiore, a quello di Natura, se non quello d’insufflare sul Tutto e su Tutti il medesimo spirito che loro idolatrano? Per nulla originali, i nihilisti, cultori acerrimi della Zero-growth, nelle loro algide movenze, mimano e miniano allo stesso tempo, il fluire vitale, ma sono ossequiosi e zelanti, fino al feticismo, a cogliere, amplificandolo senza soluzione di continuità, sopra il tutto, quel quid venefico racchiuso negli eventi mortiferi – che sì è incluso nella vita ma come una parte non come Tutto, così la morte non è il senso della Vita, come loro invece vorrebbero che sia! tentando pervicacemente di eleggerlo a diktat conclusivo dell’intiero ciclo vitale.
    Se, per loro, la comunità della morte è lo zenith a cui tendere perché non seguono coerentemente, fino in fondo, in prima persona, la sorte dei lemmings, roditori che si auto-immolano quando hanno ignavia, accidia, di loro stessi? […]»

    • paolo 5 Gennaio 2018

      Caro Danilo
      ma lei, esattamente, cosa intende con un simile, delirante commento? A me l’articolo del prof.Sessa sembra una critica ragionata del nuovo lavoro del Calasso (che io mi accingo a leggere), ma il suo commento, mi permetta, sembra scritto sotto effetto di allucinogeni.

      • DANILO Fabbroni 2 Maggio 2020

        SEMMAI CHI SCRIVE SOTTO ALLUCINOGENI è PROPRIO IL SOGGETTO DI CUI STIAMO TRATTANDO STANTE A QUANTO DICHIARA LUI STESSO, QUINDI ABBIA CONTEZZA DAVVERO DELLA SUA OPERA OMNIA PRIMA DI ‘CIARNARE’ INVANO. SECONDA COSA: SE NON COGLIE IL CARATTERE ANTIFRASTICO DELLA SINOSSI STIA AL BAR DELLO SPORT: Lì è TUTTO PIù SEMPLICE.

  • Giorgio Bulzi 30 Dicembre 2017

    Non posso che concordare con le ultime parole, a chiusura del suo pezzo, del porofessore Giovanni Sessa. Tuttavia mi permetto di obiettare, gentilmente e proponendo il mio dissentire anche come tema di discussione, che la terapia non funziona più con un cadavere. L’uomo moderno se vuole dare vita ad un nuovo inizio, non può che negare se stesso, andare contro se stesso, annientare se stesso. L’alba di un nuovo sole lo attende. Chi puo, nella forma singolare o plurale, lo faccia.

  • Giorgio Bulzi 30 Dicembre 2017

    Non posso che concordare con le ultime parole, a chiusura del suo pezzo, del porofessore Giovanni Sessa. Tuttavia mi permetto di obiettare, gentilmente e proponendo il mio dissentire anche come tema di discussione, che la terapia non funziona più con un cadavere. L’uomo moderno se vuole dare vita ad un nuovo inizio, non può che negare se stesso, andare contro se stesso, annientare se stesso. L’alba di un nuovo sole lo attende. Chi puo, nella forma singolare o plurale, lo faccia.

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