La scienza, oggi, non è più una cosa seria. Spesso, anzi, fa ridere. Forse un tempo, per qualcuno, rappresentava una rigorosa ricerca della verità, fondata su evidenze inconfutabili. Poi è diventata una specie di religione, una cosa in cui la gente crede a prescindere da ogni esame di realtà; una Chiesa con le sue cattedrali e le sue parrocchie, i suoi dogmi e le sue encicliche e i catechismi ad usum infantis; con la sua Dottrina ex cathedra, dotata di una naturale infallibilità; con i suoi zelanti missionari, desiderosi di divulgare il Verbo della scienza presso i ceti più culturalmente sprovveduti, di tradurne i misteri in concetti semplici e comprensibili a tutti.
Una scienza che diventa religione, tuttavia, è ancora una cosa seria, anzi tragica. Una specie di nuovo “oppio dei popoli”, una droga la cui assunzione serve a nascondere la nostra ignoranza e a illuderci sulla possibilità di creare, scientificamente, dei paradisi in terra. Una mitologia che non solo ci spiega tutto dell’uomo, della vita, dell’universo, ma che ci promette la salvezza e la felicità. E, molto più concretamente, un apparato ideologico che serve a fini politici ed economici che nulla hanno a che vedere con l’amore disinteressato del sapere o con una scienza al servizio dell’umanità.
Lo scienziato, col suo lavoro, deve oggi favorire interessi estranei alla ricerca della verità. Per questo è pagato e tenuto in gran conto. Ma quale sarebbe il lato comico di tutto questo? È che talvolta, forse per compiacere chi gli assicura privilegi pratici e prestigio sociale, lo scienziato eccede nello zelo, non esita a offendere il buon senso, a ignorare i fatti, a stravolgere la logica ecc., finendo col rendersi ridicolo.
Ad esempio, pochi giorni fa leggevo di una ricerca condotta da un’équipe di psicologi dell’università di Nottingham (patria di quel Robin Hood che rubava ai ricchi per dare ai poveri, macchiandosi, agli occhi dell’establishment moderno, del crimine più orrendo che si possa immaginare). Scopo della ricerca pare quello di comprendere meglio le cause di un fenomeno sempre più diffuso, volgarmente detto ‘complottismo’. Letteralmente ‘complottista’ sarebbe chi ordisce complotti, ma nel senso comune è ormai un termine vago, associato a forme di paranoia, di disadattamento, di analfabetismo storico o scientifico, secondo i casi. Gli studiosi inglesi hanno perciò deciso di chiarire il motivo psico-fisiologico per cui sempre più gente è incline a dar credito a teorie della cospirazione.
Il loro lavoro li ha così portati a scoprire un sorprendente legame tra la mentalità complottista e i disturbi del sonno. Non ci vien detto se sia stato condotto un esperimento preliminare sui topi – vittime predestinate del progresso scientifico – magari applicando loro elettrodi sul capo, sottoponendoli a dolorose scariche elettriche o ad altri tormenti (si sa quanto gli psicologi possano essere sadici) per studiarne le reazioni e trarne utili indicazioni sull’origine della diffidenza e delle sindromi paranoidi. Devo perciò supporre che il test sia stato effettuato solo su esseri umani, forse anche per un’inettitudine dimostrata dai topi nel compilare questionari.
Il fulcro della ricerca sta in due questionari sottoposti ad alcune centinaia di persone. In un primo modulo si ponevano domande sulla qualità del sonno (immagino del tipo: quante ore dormi la notte? Hai difficoltà ad addormentarti? Hai frequenti risvegli? La mattina ti senti riposato? Di giorno ti senti assonnato? e cose del genere). In un altro si chiedeva invece di esprimere la propria opinione circa le cause dell’incendio di Notre-Dame. Era stato a) un incidente o b) un fatto le cui cause reali erano state coperte? Per aiutare gli esaminandi gli psicologi han fatto loro leggere due articoli, uno a sostegno della prima tesi e uno dell’altra.
È emerso così che la maggioranza di coloro che davano la risposta ‘b’ (rivelando con ciò tendenze complottiste) avevano dichiarato nel primo questionario d’aver problemi di sonno. Questo, secondo gli autori della ricerca, dimostra inequivocabilmente una relazione tra il dormir male e il pensar male. Perché è chiaro che chi soffre di disturbi legati al sonno abbia come conseguenza una significativa riduzione dello spirito critico e che ciò lo renda più incline a credere alle fake news e alle teorie del complotto. Sarebbe quindi l’insonnia della ragione a generare mostri, contrariamente a quanto finora si è creduto (la scienza moderna è spesso contro-intuitiva).
Tutto risolto, dunque? No. Gli psicologi di Nottingham non si fermano qui ma opportunamente ci ricordano che i disturbi del sonno sono spesso legati a forme depressive. Ne deducono perciò che il complottismo è un sintomo collaterale della depressione, cioè epifenomeno di una malattia psichiatrica.
Che il credere a teorie cospirative fosse, a priori, un disturbo mentale era del resto un’idea già ampiamente condivisa dall’opinione pubblica, ma era necessario averne una dimostrazione scientifica. Ora lo studio in questione ci conduce con irrefutabile logica alla conclusione che esiste un filo eziologico che lega tra loro depressione, disturbi del sonno e complottismo. Immagino dunque che potremo curare i complottisti somministrando loro anti-depressivi e sonniferi.
A quale scienziato serio, in altri tempi, sarebbe mai venuto in mente di fare una ricerca così stupida e vacua, fondata su stereotipi e classificazioni senza senso? Una ricerca i cui criteri metodologici vengono scelti in modo da produrre il risultato desiderato. Provo a figurarmi sussiegosi ‘scienziati’ che si prestano a giochi tanto infantili. Ma anche la dignità ha un prezzo e la si può vendere. E questo ha i suoi lati comici.
È chiaro che uno studio basato su premesse capziose e su conclusioni sommarie non può aver come obiettivo la ricerca seria di una verità scientifica. Il proposito era evidentemente quello di associare uno stato mentale disturbato a una certa categoria non meglio definita di persone. Per riuscire a dimostrarlo la ricerca parte dal presupposto – un postulato che non serve dimostrare – secondo cui solo chi è carente di realismo e di razionalità può credere alla tesi ‘b’. Tale tesi non può infatti contenere elementi oggettivi o valide motivazioni intellettuali. Perché? Ma appunto perché è una tesi ‘complottista’, quindi irrazionale. Probabilmente a Nottingham non sanno cos’è una tautologia.
Così non ci dicono se, dei due articoli proposti, quello che avanzava perplessità sulle cause dell’incendio di Notre-Dame era scritto in modo più stringente e persuasivo, se procedeva a un esame più spregiudicato dei fatti, se portava interessanti spunti di riflessione. Questo non ha importanza. Rispondere ‘b’ è segno di disturbo paranoide, non si discute. Gli psicologi inglesi suppongono di conoscere con assoluta certezza le cause di quell’incendio. Non perché ne abbiano effettiva contezza, ma perché è per loro palese che una persona ‘sana di mente’ deve fidarsi di quanto l’Autorità le dice.
Potremmo allora chiederci se non siano loro a soffrire di una credulità morbosa nei confronti dell’informazione ufficiale, a difettare di senso critico, a manifestare un atteggiamento intellettualmente remissivo nei confronti di perizie, di figure istituzionali ecc.. Per provarlo basterebbe svolgere una ricerca basata su postulati diversi, in cui diamo per implicito che l’attitudine ad accettare gli argomenti di una qualsiasi ‘Autorità’ sia segno di fragilità psichica. Potremmo poi dimostrare, con idonei questionari, una correlazione tra tale tendenza intellettuale e il dormire eccessivo, o il fumo di sigaretta, il consumo di zuccheri, le frustrazioni sessuali. Avremo così la dimostrazione scientifica che il credere a ‘versioni ufficiali’ è una dipendenza patologica, una sorta di sedativo con cui ridurre l’angoscia o la nostalgia del seno materno.
Ma questo sarebbe in contraddizione con un’opinione ‘politicamente corretta’, che vuole assimilare il ‘complottismo’, e non il conformismo, a un disturbo mentale. Perciò è stato necessario impostare la ricerca secondo criteri tendenziosi, ottenendo come risultato un trompe l’oeil pseudo-scientifico e francamente ridicolo.
Ovviamente gli psicologi in questione sono liberi, per ragioni personali, di presumere o sospettare che dietro le teorie della cospirazione vi siano depressione e disturbi del sonno. Ma questo rivela in loro la stessa disposizione morbosa che vorrebbero denunciare, li rende dei ‘complottisti’ pronti a manipolare la realtà per difendere idee preconcette. E anche questo fa ridere.
Per altri aspetti la vicenda è però molto più seria di quanto sembri. Collegando il ‘complottismo’ a un problema psichiatrico gli ‘scienziati’ di Notthingam assecondano di fatto un modello sociale totalitaristico e repressivo, giustificando in via teorica il fatto che i dissidenti possano in un prevedibile futuro venir sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori senza che ciò appaia un infame sopruso. Questa cupa prospettiva non toglie che, dal punto di vista logico e scientifico, la ricerca in questione sia risibile. Vien da credere che il vero problema non sia l’insonnia di qualcuno ma il fatto che purtroppo sono ancora molti, anche tra gli psicologi, quelli che dormono troppo.
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