Viviamo il tempo della post libertà. Diventa “post” ciò ha smesso di essere quel che era e si trascina in un’interminabile transizione verso qualcos’altro, ancora indefinito. Siamo immersi nella post modernità da oltre quarant’anni, da quando Jean – François Lyotard annunciò la fine delle vecchie categorie ne La condizione postmoderna. Il nostro presente sperimenta l’abolizione progressiva delle libertà, mascherata da infinite narrazioni create per nascondere la verità. In cambio ci inondano di “diritti”, tutti legati alla sfera pulsionale, agli istinti, alla soddisfazione dell’immediato.
Hanno inventato, per stupire e incantare i popoli, termini nuovi, parole chiave rigorosamente in lingua globish. Le nostre città, il lavoro, l’ intera vita diventa smart, furba, con ciò affermando implicitamente che prima era stupida, indegna di essere vissuta. Nel buio passato giravamo senza limitazioni, assaporando la libertà di movimento; diventati smart, ci hanno appioppato il pass, il lasciapassare verde condizionato all’iniezione, green come il semaforo che libera, come il luminoso eldorado ambientale che seduce anche la neo Chiesa, dove la salute di Gaia sostituisce la salvezza dell’anima.
Ci hanno convinto a esibire il cartiglio liberatorio per fare ciò che avevamo sempre fatto, muoverci, lavorare, vivere. L’esperimento ha avuto un tale successo che sono in cantiere repliche che diventeranno quotidianità. Altri pass ci aspettano – oggi in forma elettronica, codici a barre o QR (quick response, la macchia nera a “risposta rapida”) – domani chip o altre modalità smaterializzate di tracciamento personale. Per entrare in certe zone della città, accedere a locali e istituzioni, ottenere servizi essenziali, mantenere una vita di relazione.
Il feudalesimo medievale impediva al servo di lasciare i possedimenti del padrone; quello post moderno ha uguale obiettivo. Unica ipocrita differenza : dice di agire per il nostro bene. La violenza diretta contro i contravventori è sostituita dal ricatto morale delle buone cause. Ossia diventare più smart e più green. Fine della mobilità libera e presto dell’automobile privata. L’ Agenda 2030 prepara un futuro da rinchiusi, api operaie nell’alveare. Un alveare che cesserà di essere nostro: le case green previste dai padroni universali non salveranno Gaia, ma renderanno loro ancora più potenti. I costi saranno così elevati che molti dovranno impegnare la casa, ossia cederla a lorsignori. Vite a noleggio. Presto affitteremo anche la biancheria intima.
Lavoreremo dalla casa non più nostra – se avremo un’occupazione non sostituita dai robot– e sarà lavoro “furbo”, smart working. Ci renderà atomi solitari sorvegliati da capi ufficio e capi reparto elettronici. I ragazzi non andranno più a scuola, addestrati da remoto attraverso la scatola magica. Didattica a distanza: nuove espressioni per inganni antichi. Se saremo tristi o depressi nella prigione digitale, ecco i nuovi diritti: dipendenze libere, sesso, droga, alcool, farmaci, gioco, iper connessione, metaverso eccetera. La democrazia – totem e tabù – è già soppiantata dal baccano social, il chiacchiericcio dei tuttologi fatto di pettegolezzo volgare e commenti conformisti che generano “ mi piace”.
Quando non ce la faremo più, un modulo elettronico e via, eutanasia di Stato. Saremo caldamente consigliati di trasformarci in compostaggio, come già consentono alcune legislazioni dell’avanzato, civilissimo Occidente. Vita green, morte green. In caso di ribellione, semaforo rosso: le città smart ci monitorano passo dopo passo. Telecamere e sensori “intelligenti” riconoscono le nostre facce, le nostre voci, possiedono una montagna di dati – molti forniti da noi stessi – in grado di prevedere comportamenti, conoscere le nostre idee, bloccare sul nascere ogni dissenso. Come nel film Minority Report con i poliziotti robot, i Precog, in grado di riconoscere e punire le intenzioni. In nome della sicurezza, ovviamente. E della “comodità”, delizia postmoderna che permette ad esempio di accettare applaudendo di essere espropriati del denaro, reso virtuale dalle card, trattenuto in mano altrui – manone padrone – fornito nella quantità, nei tempi e con le modalità decise da lorsignori. O bloccato, come è accaduto ai camionisti canadesi in sciopero e come capiterà ai dissidenti. La versione individuale del sistema delle sanzioni.
Eh sì, il mondo è proprio smart. Furbissimo: peccato che gli stolti siamo noi, la maggioranza che si adegua perché non capisce e adora il green, la card, il chip, il pass. Se poi una comunità reagisce, magari mandando al governo chi non è d’accordo con l’Eden postmoderno, c’è un’ulteriore arma letale, lo spread. Un’altra parola che riveste di arcana inevitabilità la guerra dei pochi contro tutti. Spread, guerra finanziaria, distruzione dell’economia e dello Stato attraverso la leva dell’interesse a debito. L’ imbroglio massimo, ma ci abbiamo creduto, conferendo la funzione monetaria alla finanza privata. Nessuna banca centrale orientata agli interessi nazionali ci può salvare dal debito, dall’artificioso salire o scendere dei tassi. Interessi su denaro nostro di cui le “autorità finanziarie” si sono attribuite la proprietà.
Smart, astuti, lo sono davvero, soprattutto perché ci hanno reso stupidi. Sciocchi e felici di essere sorvegliati, schiavizzati, indebitati. Contenti di rinunciare a benessere, libertà, pensiero, al denaro “fisico”, alla mobilità.
Pessimismo cosmico, catastrofismo, paura del nuovo, volontà di regresso. Così è giudicata una riflessione di questo tipo. Può darsi; tuttavia, al di là del merito, rivendichiamo il diritto al dissenso, a manifestare un pensiero alternativo. Esattamente ciò che viene proibito di fatto – e sempre più anche in diritto – nel paradiso smart. Pensiero unico, ossia un unico pensiero ammesso: lo abbiamo sperimentato con la pandemia, la guerra, ora con la fiammata palestinese in cui la martellante unanimità obbligatoria nega la pluralità delle opinioni della strada. Il problema è il disamore, anzi l’indifferenza per la libertà, quella concreta, quotidiana.
A Trento si è svolta una manifestazione contro il progetto delle smart city e il controllo cittadino non solo del traffico, ma anche delle persone con le telecamere “intelligenti”. La città è l’ epicentro italiano di un progetto internazionale costituito da videocamere a riconoscimento facciale, sensori, “spie” audio in grado di registrare le conversazioni. La narrativa vincente spiega che tutto è fatto per renderci più sicuri. Purtroppo c’è una parte di verità. Il timore, la mancanza di tranquillità civica, la sensazione di vivere in un inferno urbano ha ottime ragioni. Lo sciocco, però, non guarda la luna, ma il dito che la indica. Se c’è insicurezza è perché qualcuno l’ha voluta o non l’ha contrastata: immigrazione incontrollata aperta ai delinquenti, inciviltà dilagante, assenza di punizione per violenti, arroganti, mascalzoni, divieto di autodifesa, degrado, dipendenze di massa.
Risposta: più sorveglianza a carico delle persone normali. Come a Venezia, afflitta da un turismo abnorme a cui si sa rispondere solamente con più telecamere A Milano avanza l’esperimento neofeudale della “città di 15 minuti”, ossia la mobilità proibita, vincolata a permessi, la prospettiva di ingressi limitati nel numero e nel tempo. Nuovi muri, un deserto urbano in cui si muoveranno prevalentemente ricchi, malintenzionati e controllori. Unica coda, quella delle auto elettriche ai punti di ricarica : dieci minuti per ogni mezzo.
Riescono a far credere che il denaro elettronico sia la risposta onesta, etica, all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata, oltreché una gran comodità al riparo da furti e rapine. Sempre lo sguardo puntato sul dito: evasori non sono le grandi entità finanziarie e tecnologiche deterritorializzate , ma imbianchini, stagnari e odontoiatri. Gli affari della criminalità – per tacere della contiguità con il livello più alto del potere – sono regolati per mezzo di modalità riservatissime che prescindono dalle valigette gonfie di banconote, un’immagine da telefilm.
Nel frattempo chi comanda sa proprio tutto di noi attraverso l’analisi di ogni nostra spesa, movimento, preferenza. Geniale, il potere ha inventato un’altra parolina magica: trasparenza. Perché dovresti volere riservatezza, privatezza? Che cosa nascondi? Tutto deve essere pubblico, una piazza virtuale dove ognuno è nudo alla mercé dei detentori degli strumenti di controllo. Il Panopticon, la sorveglianza reticolare, fu un’invenzione dell’utilitarista inglese Bentham, altro che libertà.
Qualche opposizione all’agenda oligarchica potrebbe venire dall’attacco al bene più amato, di cui siamo giustamente gelosi, la casa. Il green in questo caso cessa di essere smart e invade la sfera più importante, specie in Italia, dove la proprietà dell’abitazione è tanto diffusa. Con la scusa dell’adattamento alle normative “virtuose” dei talebani climatici (un altro travestimento della Cupola) le spese per ristrutturare le abitazioni diventeranno insostenibili. Niente paura: viviamo a debito, per cui banche, fondi, entità finanziarie verranno in nostro aiuto. Pazienza se non riusciremo a rimborsare il capitale e pagare gli interessi. Gli avvoltoi in giacca e cravatta si approprieranno del patrimonio immobiliare e ci trasformeranno in inquilini di casa nostra. Il banco vince sempre, se partecipiamo al gioco accettando le regole che impone.
Nel dorato mondo smart, certe applicazioni appaiono sui telefoni senza che nessuno ci abbia avvisati. Ne sanno di cose. “Ciao, è da un anno che non rinnovi la password, proteggi i tuoi dati, imposta una nuova password “. Installano ovunque telecamere dette “di sicurezza”. Per il mio bene. Il riconoscimento facciale e vocale è per proteggermi, il microchip sempre per il mio bene. Troppa grazia. Vai in banca – superati gli ostacoli fisici e procedurali – e arrivano a chiederti che cosa vuoi fare del denaro che ritiri. Per il nostro bene ci obbligano all’auto elettrica. Se è davvero conveniente, perché imporla per legge? Non vince sempre il sacro Mercato?
Nell’universo smart, l’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, è colui che ci ha convinto a comprare online. A scatola chiusa, davanti allo schermo, seduti sulla poltrona ergonomica, distruggendo il commercio di prossimità e presto i centri commerciali, polverizzando la comunità, la convivialità, soli con i nostri desideri e capricci diventati diritti. Naturalmente, il pagamento è con mezzi elettronici che arricchiscono i padroni della tecnologia finanziaria.
Frattanto, qualcuno registra le nostre conversazioni, analizza e incrocia dati, studia abitudini, vede, prevede, decide al nostro posto. Il pacco degli acquisti arriverà proprio quando saremo in casa. Loro sanno: hanno i nostri indirizzi ID, forniscono la connessione, conoscono (dirigono…) le nostre abitudini. La vita è controllata da Matrix minuto per minuto. Miracolo informatico. Infocrazia. Questa è la vita che vogliamo? Temiamo di sì: i ribelli sono sempre in minoranza, ma poi sono loro a cambiare il mondo. Il virtuale sostituisce il reale, la connessione rimpiazza le relazioni, la comunità sfuma in community. E’ tutto smart, con una spruzzata di green, con in tasca le card, il pass installato in attesa del chip.
Schiavi felici della comodità, le vittime, con gli occhi fissi sullo smartphone, amano i loro padroni, scambiati per benefattori. Sindrome di Stoccolma, allegria di naufraghi.