Da tempo, tra gli arabisti italiani, va distinguendosi per la fedeltà alle fonti, nonché per la originalità esegetica dei suoi lavori, Alberto Ventura, dell’Università della Calabria. Quando parliamo di originalità, utilizziamo il termine nella sua valenza etimologica. Qualcosa è originale quando è fedele all’Origine. Nel caso dello studioso in questione, la fedeltà è al Principio così come esso si manifesta nella tradizione dell’Islam. Le suo opere sono costruite, non semplicemente sull’accorto utilizzo del metodo accademico, storico-critico, accumulativo, in quanto i dati analizzati vengono illuminati dall’uso sagace del metodo tradizionale, in conseguenza del debito formativo che Ventura ha contratto nei confronti di René Guénon. Quanto affermato lo si evince dalla lettura della sua ultima fatica, Lo Yoga dell’Islam, da poco edito dalle Mediterranee (per ordini: 06/3235433, ordinipv@edizionimediterranne.net, pp. 155, euro 16,50).
Il volume mette a disposizione del lettore impossibilitato da avere accesso alle fonti, il maggior numero possibile di informazioni teorico-pratiche sulle diverse implicazioni del lavoro iniziatico nell’Islam. L’autore chiarisce che il titolo del volume, Lo Yoga dell’Islam, non rinvia ad un atteggiamento sincretistico, semmai indica come alcune Vie tradizionali siano sostenute dalla «vera sintesi» che: «coglie dall’alto e dall’interno le sintonie» (p. 9) e i contatti tra le diverse espressioni della Tradizione una. Precisa, in via preliminare, che non si possono praticare Vie esoteriche dell’Islam a prescindere dal Corano e dall’insegnamento del Profeta. Per la qualcosa esse risultano inconciliabili con la «spiritualità atea» contemporanea. Nella pratica esoterica il contatto con il Maestro è essenziale, egli come: «una lampada accende un’altra lampada» (p. 17). Particolari «entità», surrogative della funzione del Maestro, nelle Vie islamiche, possono entrare in gioco solo in casi assolutamente eccezionali.
La regolarità iniziatica è garantita dalla «catena aurea» che ogni autentica organizzazione deve poter esibire, indicando tutti gli anelli che la collegano al Profeta. Esistono più Vie o ṭarīqa, distintesi dalla radice primordiale, ed ognuna di esse ha uno specifico rituale, i cui elementi generali sono il wird, una serie giaculatoria, e lo ḥizb, un testo da leggersi periodicamente. Momento centrale, al di là dei precedenti supporti esteriori, va individuato nel dhikr, ricordo o menzione, che innesca nel praticante il processo mnemonico, indotto dalla continua ripetizione del Nome divino, atto a risvegliare dall’oblio prodotto dalla vita mondana. Di per sé, il respiro è una forma di dhikr: «in quanto il più intimo tra i nomi divini è proprio la lettera hā, che si pronuncia come una h leggermente aspirata» (p. 24). Il dhikr viene comunicato dal maestro: il discepolo, in assoluta concentrazione, deve «fissare» la mente avvalendosi, come nello Yoga, di tecniche date: posizioni del corpo, regolazione del respiro, immagini da visualizzare. Tali procedure determinano un’aspirazione verso l’Universale che produce, stiamo sintetizzando passaggi che Ventura affronta in modo analitico, vibrazioni ritmiche che, risvegliando i «centri sottili» del microcosmo corporeo, si ripercuotono sui diversi stati dell’essere.
Nella pronuncia del dhikr, viene attribuita grande rilevanza al ritmo che influisce, a sua volta, sull’inflessione vocale: «perché l’emissione del suono deve esprimere una natura differente da quella dell’acustica ordinaria e accedere a strumenti vocali sempre più profondi e sottili, che dalla lingua risalgono alle fonti della gola, del cuore e dell’ombelico» (p. 26). In tal modo si giunge alla pronuncia silenziosa del Nome. La Via sulla quale Ventura si intrattiene è detta «dei Maestri»: iniziò a manifestarsi nel XII secolo in Asia Centrale. Nel XIV secolo venne conosciuta come Naqshbandiyya, dal nome di chi le fornì una dottrina definitiva, Bahā al-dīn Naqshband. Le altre ṭarīqa dicono il loro collegarsi al Profeta essere avvenuto attraverso Alī, la «Via dei Maestri» si richiama, invece, ad Abū Bakr, senza che ciò comporti una adesione confessionale al Sunnismo. L’adozione del dhikr silenzioso e mentale risale proprio ad Abū Bakr. Chiosa Ventura: «solo trasferendo l’invocazione dalla lingua al cuore si può ottenere quella continuità che produce la manifestazione di una delle “luci di Dio”» (p. 45). Ciò significa che l’epifania divina non è discontinua ma perdurante, anche in conseguenza del fatto che tale pratica tacita lo psichismo inferiore.
In ogni caso, sulla Via della realizzazione, si possono seguire due sentieri diversi: il viaggio per tappe o stazioni e la via diretta. L’autore discute le stazioni in modo analitico, muovendo dalla Conversione, o cambio di cuore, fino a giungere al Compiacimento del decreto divino. Le due strade presuppongono una diversa inclinazione spirituale, la seconda si fonda su una particolare «elezione» divina, la prima sulla pratica austera. Ciò non esclude che i due sentieri possano essere percorsi parallelamente. La «Via dei Maestri» fa precedere il viaggio nella sfera interiore a quello propriamente esteriore. In tale contesto, Ventura presenta e discute le undici regole della ṭarīqa, a muovere dalla consapevolezza del respiro fino al soffermarsi sul cuore: «con questa espressione si intende la necessità di mantenere una concentrazione tale che nient’altro che il Vero sia presente nel cuore dell’iniziato» (p.74). Solo a questo punto l’iniziando può concentrarsi su ciò che, nell’ambito corporeo, costituisce, sotto il profilo analogico, un riflesso della realtà dei mondi superiori.
La pratica deve mirare a riattivare la potenza dei centri sottili a partire dal petto. Completato tale processo, l’iniziando supera le componenti individuali, e ciò può provocare smarrimento. Si ricorre, così, ad un particolare dhikr, avente in sé un momento affermativo e uno negativo: si afferma l’unicità divina e si nega la sostanzialità del mondo, pur rimanendo nell’ambito dell’azione. Per tale insufficienza volontaristica è necessario transitare al momento delle Contemplazioni: «un’intensa, concentrata e vigile attenzione interiore, che attende la discesa dell’influenza spirituale e ne sa cogliere il frutto» (p. 99). Il cerchio su cui ci si fissa, in tale momento rituale, rappresenta l’Unità pura e semplice. Si procede dal cerchio della contingenza e si giunge, finalmente, nella realtà dei Profeti, all’indeterminato assoluto, termine conclusivo (ma anche inizio) della procedura iniziatica. Lo Yoga dell’Islam ha il merito di chiarire, non solo i momenti salienti dell’esoterismo islamico, ma di sgomberare il campo da pericolose equivocazioni in tema, consustanziali alla modernità liquida.
Giovanni Sessa
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