“Egli non insegna, egli guarisce le anime” (Pitagora)
Vi sono modalità diverse per rappresentare l’anima profonda di un popolo, l’estro geniale di un poeta o le vie carsiche di una spiritualità ancestrale. Ci si può impegnare in elaborate, difficoltà, spesso labirintiche disamine d’archivio o simbolico – ermeneutiche oppure ancora più arditamente è possibile optare per l’evocazione di un’emozione, che sappia sinteticamente ricomprendere con un sentire univoco tutte le diverse modalità di una dimensione dell’anima, propria ad un popolo, proprio ad una Nazione. Questa seconda opzione è stata la felice scelta operata da Carlomanno Adinolfi nella redazione del suo secondo romanzo, dedicato ad un amuleto magico di proprietà del Vate ed alla storia esoterica d’Italia, L’Occhio del Vate, pubblicato per le Edizioni Altaforte.
L’incipit del romanzo vede come protagonista un libraio, un po’ faccendiere, un ladruncolo, sempre disposto a tutto per soddisfare le richieste quasi assurde dei propri clienti, imbattersi in avventure, che spesso ricordano il protagonista libraio del celebre film di Roman Polasky “La Nona Porta”, tra polizia, omicidi, belle donne a condimento di ricerche esoteriche che intrecciano gli interessi sciamanici di Gabriele D’Annunzio ed il suo romanzo “Vergini delle Rocce”, ed il racconto allegorico di Francesco Colonna, la “”Hypnerotomachia Poliphili”. Riemergono due, tra i tanti, temi fondamentali della storia occulta del popolo romano ed italiano: l’interazione con l’idea di un ritorno all’Origine e la confluenza essenziale di una fioritura di una presenza ontologica predeterminata, nel detto “In origine revolve, ex arcano flore“, presente nel talismano magico di cui si fa cenno nello scritto. Sono due temi che, se ben ponderati, rappresentano le fasi successive di un medesimo processo di consapevolezza interiore ed iniziatica.
Se il ritorno al centro primordiale può essere riferibile al periodo jemenale (Solstizio d’Inverno), la primavera quale rimanifestazione del Sole arietino, similmente allo sbocciare della spiga misterica di Demetra ad Eleusi, realizza la trasfigurazione di una rosa che si situa al centro dei quattro elementi, così come espresso simbolicamente nel sigillo dei Rosa+Croce. Giano apre le porte verso l’invisibile e Mercurio presiede all’amplesso magico tra Marte (marzo) e Venere (aprile), per la palingenesi della Dea Flora, Nume tutelare della Roma – Amor. Tale processo maieutico è trasmutazione graduale in cui la Fortuna, quale Fato e Destino, rappresenta, come nel citato culto di Preneste, approfondito dagli studi del prof. Marcello De Martino, ciò che per un Proclo può esser stata la “pronoia”, Provvidenza, non in senso cristiana, indi cala e separata dall’alto, ma quale spirito che informa il Cosmo nella totalità, in cui Giove è il Tutto ed è nel Tutto, secondo la formula latina “Iovis omnia plena”.
Nel romanzo di Carlomanno Adinolfi la Sapienza dei Vati viene consegnata alla narrazione ritmata, piena di colpi di scena, senza esegesi esoteriche complicate ed astruse, ciò è compito della saggistica! La stessa storia esoterica che da Francesco Colonna giunge ad Antonio Bruers, l’archivista di Gabriele D’Annunzio, fraternamente amico del kremmerziano Ercole Quadrelli, l’Abraxa di Ur, che contempla tutta l’intrigata vicenda dell’affare Ekatlos e dei suoi sviluppi successivi, dell’interpretazione benevola (forse troppo) che l’autore assegna a tutte le vicende risorgimentali, fino all’epopea a chiaroscuri della Grande Guerra, è offerta al lettore col genio espediente dell’appunto inserito in un fantomatico diario ritrovato, come se fosse una voce terza e spesso piacevolmente obiettiva nella sua trama descrittiva.
Il culmine è rappresentato dal ritrovamento di un passato più antico di Roma stessa, in riferimento a quell’Italia tirrenica a cui personaggi enigmatici come Evelino Leonardi, Guido Di Nardo e Camilla Mongenet erano misteriosamente ricollegati, come il citato culto infero del Vulcano laziale, a cui proprio il Di Nardo dedico uno studio ormai di difficile reperimento. In conclusione, il bel romanzo di Carlomanno Adinolfi può rappresentare un invito ad immergersi in un mondo di conoscenze esoteriche di non poco conto, che presuppone una dedizione quasi eroica nella conoscenza arcana di se stessi, ove, se il lettore coglie l’intenzione dell’autore, è occultato il vero tesoro di Roma e d’Italia.
“La visione allucinante della porpora autunnale faceva impallidire
ai miei occhi quel limpido pomeriggio della prima primavera,
mentre discendevamo giù per le scalee, dove qualche ora innanzi
le tre principesse mi erano apparse come nell’inizio d’una
favola uscenti con un sorriso novello da una notte d’immemorabili
affanni“ (2).
Note:
1 – Alcune imprecisioni sono presenti nella narrazione inerente al fantomatico Ordine Egizio napoletano ed alla sua interazione con la Fratellanza di Myriam di Giuliano Kremmerz, ma risultano essere non di valenza rilevante nell’economia narrativa del racconto.
2 – Gabriele D’Annunzio, Le vergini delle rocce, Fratelli Treves Tip. Edit., Milano 1896.
Il testo, con la partecipazione dell’autore, di Alfonso Piscitelli e del sottoscritto, sarà presentato Sabato 29 Febbraio 2020, alle ore 18.00, presso la libreria La Nuova Controcorrente di Napoli, in via Carlo de Cesari 11.
Luca Valentini