di Fabio Calabrese
Io credo che nessuno di noi possa considerare la vicenda dei due fucilieri di marina, Girone e La Torre detenuti in India altro che con profonda amarezza, come l’ennesimo schiaffo inferto alla credibilità internazionale dell’Italia. Basta scavare un poco per accorgersi che i nostri marò con ogni probabilità sono rimasti vittime di una trappola estremamente insidiosa, un “incidente” appositamente costruito per screditare e rendere più difficili le missioni dei militari che sotto l’egida delle agenzie internazionali, cercano di contrastare il risorgente e dilagante fenomeno della pirateria marittima che nel Terzo Mondo rappresenta ormai un giro d’affari enorme.
Tuttavia non è possibile evitare un altro sospetto: chi ha architettato la trappola nella quale sono caduti i nostri marinai doveva sapere molto bene quello che faceva e doveva aver scelto degli italiani come vittime di questa macchinazione subito appoggiata dalle autorità indiane, ben sapendo che la reazione del nostro governo, di chi dovrebbe tutelare i nostri connazionali all’estero, sarebbe stata debole, confusa, contraddittoria, pasticciata, così come si è puntualmente verificato.
Provate a immaginare solo per un istante che al posto dei due italiani vi fossero stati due marine statunitensi: invece di diventare un calvario che si trascina da oltre un anno, la vicenda si sarebbe risolta al massimo in quindici giorni, a un eventuale rifiuto di liberare immediatamente i loro uomini, gli USA avrebbero reagito con un’incursione delle Forze Speciali, esattamente come, ad esempio, per catturare e uccidere Osama Bin Laden se ne sono altamente infischiati di chiedere il permesso alle autorità del Pakistan.
Il punto che l’amarissima vicenda dei nostri marò mette molto bene in luce, è che l’Italia NON GODE di credibilità internazionale, che il rispetto per la nostra nazione, l’onore – abbiamolo pure il coraggio di usare questa parola desueta – del nostro popolo, tocca oggi uno dei punti più bassi del secolo e mezzo della nostra storia unitaria.
Questa amara vicenda non è che l’ultima di una lunga serie di umiliazioni che abbiamo subito e continuiamo a subire. Allora, al di là di un pienamente giustificato risentimento, occorre ammettere che se oggi noi come Italiani ci troviamo in una situazione che si può soltanto definire fecale, non possiamo prendercela con tutto il mondo, ma dobbiamo porci qualche serio interrogativo su noi stessi in quanto nazione, sulla nostra storia, sulla classe dirigente che da settant’anni dovrebbe non solo governarci, ma anche rappresentarci a livello internazionale.
Per quanto ciò possa essere doloroso, proviamo a ripercorrere la lista delle umiliazioni RECENTI che come Italiani abbiamo dovuto subire e stiamo subendo.
Immediatamente a lato dell’umiliazione infertaci con il RAPIMENTO dei due marò (che, ricordiamolo, indossavano e indossano la nostra divisa e si trovavano su una nave italiana in acque internazionali e su cui quindi – secondo ogni logica – l’India non aveva alcuna giurisdizione), dobbiamo mettere quella ricevuta da un altro Paese del Terzo Mondo, dal Brasile COMUNISTA del “compagno” Lula che ci ha rifiutato l’estradizione di Cesare Battisti, terrorista rosso responsabile di quattro omicidi oltre che dell’invalidità permanente del figlio di una delle sue vittime, Alberto Torregiani. Un altro bell’atto motivato da nulla se non dalla “solidarietà fra compagni”, e rimane un mistero come mai sempre, in qualsiasi circostanza, “rosso” significhi assassino o contrario al bene e all’onore dell’Italia, o entrambe le cose.
E’ una fatalità tragicamente ironica che questo assassino sia discendente e omonimo di uno dei nostri eroi della prima guerra mondiale, martire dell’italianità del Trentino.
Con motivazioni politiche meno evidenti, ma anche Cuba, che è ancora oggi uno degli ultimi regimi “rossi” che si dichiarano tali, e facendo molto meno chiasso, ci ha comunque rifiutato l’estradizione di uno dei due assassini di Lignano Sabbiadoro che era riuscito tranquillamente a tornarsene al paesello natio. Il fatto è che l’Italia è piena di imbecilli che si sciolgono come burro al sole quando sentono le arie di “Ragazza di Ipanema” o “Guantanamera” e non sembrano capire che questi “compagni” terzomondisti non
aspettano altro che l’occasione di trattarci di sterco.
aspettano altro che l’occasione di trattarci di sterco.
Cosa dovremmo dire degli Stati Uniti? C’è qualcuno ancora che nutre l’illusione che ci considerino effettivamente degli alleati invece che i servi e gli ascari della loro politica neo-coloniale come ci hanno ridotti a essere?
L’ultima umiliazione ce l’hanno inferta costringendo, dopo che i media americani avevano trasformato Amanda Knox in una nuova Giovanna D’Arco e per ottenere la sua scarcerazione si era mosso anche il Segretario di Stato Hilary Clinton, a un processo d’appello-farsa nel quale la giovane assassina di Perugia è stata mandata assolta. Adesso la Cassazione, secondo la logica che si fa la porta della stalla quando i buoi sono scappati, ha disposto che sia rifatto il processo d’appello, ma a questo punto ad Amanda metteremo il sale sulla coda, così come l’abbiamo messo all’assassino di Nicola Calipari, ai piloti assassini che hanno provocato la tragedia del Cermis, al pilota dell’aereo statunitense che ha abbattuto il DC 9 di Ustica.
Parlando di stati canaglia, subito a fianco degli Stati Uniti, qual è lo stato canaglia che più canaglia non si può? Quello che si mette allegramente sotto i piedi tutte le convenzioni internazionali? Ma certo, Israele, l’entità sionista, chi altri?
A prescindere dal fatto che gli Israeliani sono delle canaglie congenite, abituati fin da piccoli a un’ideologia non solo di fanatico fondamentalismo religioso, ma intrinsecamente razzista, che considera tutti gli altri, “gojm” non circoncisi, esseri inferiori che esistono solo per servire il “popolo eletto”, noi forse penseremmo che lo spirito canagliesco dei sionisti si sia esercitato solo verso i Palestinesi e altri Arabi; ebbene, in questo caso, ci sbaglieremmo di grosso.
Un episodio di cui forse i più giovani non hanno sentito parlare: negli anni ’80 un aereo da trasporto hercules dell’aeronautica italiana con a bordo una compagnia di paracadutisti della “Folgore” (duecento all’incirca dei nostri migliori ragazzi in divisa) si inabissò nel Tirreno davanti a Livorno. Si scoprì che l’aereo era stato sabotato, e i responsabili del sabotaggio erano agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano. Lo scopo era quello di mandare “un avvertimento” in pretto stile mafioso ai governi italiani dell’epoca, la cui politica era ritenuta troppo filo-araba dall’entità sionista. Naturalmente, sempre grazie al ben manovrato “complesso dell’olocausto” a Israele non si osò, come non si osa ancora, chiedere conto di nulla.
Parliamo però dei nostri “amici” arabi: se questi sono amici, allora vale proprio il detto “dagli amici mi guardi Iddio”. Quante volte la Tunisia ha sequestrato i nostri pescherecci in acque internazionali? E la Libia? Quanti contributi ha incassato da parte nostra per attuare gli accordi sulla prevenzione dei flussi migratori clandestini? Accordi che ha sempre disatteso, e la “nuova” Libia di oggi non sembra affatto migliore da questo punto di vista di quella di Gheddafi.
Ora, noi potremmo anche pensare che l’India, Cuba, il Brasile, la Tunisia, la Libia siano (e sono!) esempi di Paesi del Terzo Mondo che, retti da classi dirigenti incapaci di assicurare un minimo di benessere alle rispettive popolazioni “si rifanno” azzannando, cosa di certo propagandisticamente utile per loro, fra gli stati occidentali, quello che sembra più debole e malleabile, che per disgrazia siamo regolarmente noi, ma non è che dai nostri sedicenti partner europei abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere trattamenti gran che migliori.
Parliamo della Gran Bretagna il cui atteggiamento nei nostri confronti sembra essere sempre quello “dettato” da Winston Churchill in piena seconda guerra mondiale. L’allora premier britannico, che rimane uno dei più grandi criminali della storia umana ma questo non ci consola, fu allora ammirevolmente chiaro: con l’8 settembre 1943, l’Italia aveva perduto forse per sempre la propria credibilità e onorabilità, indipendentemente da quanto quella resa facesse comodo ai sedicenti alleati.
“Questo popolo [gli Italiani] uso a perdere le partite di calcio come se fossero guerre, e le guerre come se fossero partite di calcio”.
Da allora, sono settant’anni che i “media” britannici non hanno perso un pretesto per gettare sterco sull’Italia in tutte le occasioni possibili, e bisogna dire che la nostra sinistra interna, i cosiddetti democratici, pur di screditare i governi di centrodestra e non avvedendosi o infischiandosene di compromettere in tal modo anche la credibilità dell’Italia in quanto tale, recentemente ha dato loro una grossa mano.
La Svizzera, la “neutrale” e civilissima (o almeno ritenuta tale perché danarosa) Confederazione Elvetica, fino a tempi molto recenti ha trattato malissimo i nostri lavoratori, fino al punto della violazione dei diritti umani (la non concessione del permesso di soggiorno ai figli in età scolare in quanto “non produttivi”). Oggi, nel perverso clima instaurato dalla globalizzazione, anche la Svizzera è costretta a subire l’immigrazione dal Terzo Mondo, la sua zavorra di accattoni, magnaccia e spacciatori dalla pelle abbronzata che deturpano, insozzano e impoveriscono tutta l’Europa, ma è una magra consolazione.
Se la Francia è la “sorella latina”, allora è il caso di tenere bene a mente l’altro detto che re
cita “parenti, serpenti”. Non starò qui ora a riprendere il famoso e scontatissimo discorso della Gioconda al Louvre, anche perché su questo quadro che Leonardo regalò a Francesco I (il re di Francia, non il papa!) l’Italia non può accampare diritti, ma magari sulle numerosissime opere d’arte sottratte all’Italia dai Francesi durante il periodo napoleonico, e mai restituite, un pensierino ci sarebbe da fare, ma parliamo di questioni più pressanti.
cita “parenti, serpenti”. Non starò qui ora a riprendere il famoso e scontatissimo discorso della Gioconda al Louvre, anche perché su questo quadro che Leonardo regalò a Francesco I (il re di Francia, non il papa!) l’Italia non può accampare diritti, ma magari sulle numerosissime opere d’arte sottratte all’Italia dai Francesi durante il periodo napoleonico, e mai restituite, un pensierino ci sarebbe da fare, ma parliamo di questioni più pressanti.
Di solito quando una minoranza allogena si trova entro un confine più o meno artefatto dal punto di vista etnico-storico appartenente a uno stato straniero, è tradizione che lo stato nazionale con cui la suddetta è etnicamente imparentata, faccia qualcosa per tutelarne l’autonomia o almeno la sopravvivenza linguistico-culturale, abbia una sorta di diritto se non di dovere a farlo (che so, l’Austria verso i sud-tirolesi, la Slovenia verso gli sloveni del Friuli Venezia Giulia, e via dicendo). Bene, questa regola evidentemente non vale per le relazioni fra Francia e Italia, o vale solo per i valdostani di lingua francese, ma non per i Corsi, di etnia italiana e strettamente affini ai Sardi, che l’Italia non si è mai preoccupata di tutelare.
Per venire a questioni più recenti, tutti quanti noi ricordiamo l’odioso sorrisetto di compatimento scambiato fra la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’allora presidente francese Sarkozy all’indirizzo del premier italiano, sorrisetto che ha iniziato l’interminabile serie delle disgrazie e delle imposizioni capestro subite dall’Italia in sede UE. Se almeno la Francia si fosse trattenuta l’ex italiana madame Sarkozy non concedendole di lasciare più i confini transalpini, avremmo potuto perdonarle molto.
Che un uomo possa ragionare più con il pene che con la testa, soprattutto se quest’ultimo è la sua parte di maggiore lunghezza/altezza, è abbastanza umano e comprensibile, ma se si tratta di un capo di stato, la cosa ha molte meno scusanti rispetto a una persona comune; eppure solo questo può spiegare il fatto che il presidente francese nonché leader del partito gollista abbia potuto mettersi insieme a una “compagna” e una persona di sterco come Carla Bruni, ma, come dicevo, che “i compagni” siano persone di sterco è una regola praticamente senza eccezioni; io almeno, basandomi sulla mia esperienza personale, ne posso portare ben poche.
Questa persona che è meglio considerare sotto l’aspetto estetico, perché sotto quello etico non può che disgustare, ha avuto un ruolo importante nel proteggere l’assassino Cesare Battisti dalla giustizia finché si trovava in Francia. Naturalmente non mancano neppure in patria i “comunisti al caviale”, i ricconi con la stella rossa, spesso strapagati col denaro pubblico, che sono la razza di “compagni” più schifosa. Nello scorso febbraio, abbiamo avuto il festival di San Remo di RAI 3, di “Che tempo che fa” con i “compagni milionari” Fazio e Litizzetto, che hanno invitato la stessa a proclamare, certamente ben remunerata per questo, di essere “fiera di non essere più italiana” e a elargire ai propri ex connazionali un bel po’ di insulti e turpiloquio.
C’è qualcuno che si è mai astenuto dall’infliggere colpi alla nostra precaria credibilità internazionale? A quanto pare no, non di certo, ad esempio, il più microscopico stato del mondo, il Vaticano, se pensiamo a tutte le sue pesanti interferenze nella nostra vita politica e, per contro, il veto alla nostra magistratura a indagare negli affari sporchi dello IOR e nelle sue collusioni con la mafia.
A parte l’ingresso nella seconda guerra mondiale (che probabilmente non si poteva evitare) la firma dei Patti Lateranensi nel 1929, che hanno portato alla restaurazione di questo residuo di Stato della Chiesa, è stata probabilmente il più grave errore di Mussolini.
In questo contesto in cui sembra che tutti si sentano autorizzati a orinarci sulla testa, spicca un gesto di correttezza dell’Austria che riguarda Oetzi, “l’uomo di ghiaccio”, la mummia naturale preistorica emersa dal ghiacciaio del monte Similaun proprio sul crinale del confine italo-austriaco. La mummia fu recuperata e affidata alle autorità austriache perché si riteneva che fosse stata ritrovata nella parte austriaca del ghiacciaio. Quando in seguito si stabilì che non era così, fu restituita all’Italia senza problemi, e attualmente si trova a Bolzano. Sorprende questa correttezza, soprattutto vista la quantità di pesci in faccia che abbiamo preso e continuiamo a prendere dal resto del pianeta, ma il discorso dei rapporti italo-austriaci è più complesso, e c’è di mezzo ben altro.
Ora, noi dobbiamo essere molto onesti con noi stessi: se a livello internazionale “godiamo” di una considerazione esprimibile soltanto in numeri negativi, non possiamo prendercela con il mondo intero, ma dobbiamo cominciare a chiederci quali sono le nostre responsabilità, nostre, di una classe politica che abbiamo votato per settant’anni.
Ogni stato ha una politica estera per tutelare sia i propri interessi a livello internazionale, sia la propria immagine nel mondo, e le due cose sono strettamente legate, per il semplice fatto che si è più disponibili a fare affari con chi ha una buona reputazione che non con chi ha una pessima nomea. La politica estera italiana sembra fatta apposta per attirarci il disprezzo e il dileggio. Alcuni episodi renderanno chiaro il concetto.
Anche questo probabilmente è un episodio che i più giovani non conosceranno. Quando nel 1982 vi fu la guerra delle Falkland, i paesi dell’allora Comunità e oggi Unione Europea decisero di prendere sanzioni economiche contro l’Argentina, per solidarietà con la Gran Bretagna, a eccezione dell’Irlanda (e chiedere all’Ir
landa di essere solidale con gli Inglesi, sarebbe stato davvero troppo). Il governo italiano aderì alle sanzioni, ma in un secondo momento se ne dissociò, adducendo il fatto che una parte considerevole della popolazione argentina (il 40% circa) è di origine italiana, discendente di immigrati. Ma non era meglio allora non aderire da bel principio alle sanzioni? Qui emerge uno dei tratti più caratteristici della politica estera italiana, la tendenza a tenere sempre il piede in due scarpe, e alla fine prendersi il disprezzo di tutti nel tentativo (vano) di non scontentare nessuno.
landa di essere solidale con gli Inglesi, sarebbe stato davvero troppo). Il governo italiano aderì alle sanzioni, ma in un secondo momento se ne dissociò, adducendo il fatto che una parte considerevole della popolazione argentina (il 40% circa) è di origine italiana, discendente di immigrati. Ma non era meglio allora non aderire da bel principio alle sanzioni? Qui emerge uno dei tratti più caratteristici della politica estera italiana, la tendenza a tenere sempre il piede in due scarpe, e alla fine prendersi il disprezzo di tutti nel tentativo (vano) di non scontentare nessuno.
La stessa cosa, o peggio, avevamo fatto due anni prima nel 1980 in occasione delle olimpiadi di Mosca. Nel 1979 l’Unione Sovietica aveva invaso l’Afghanistan, e poiché l’anno seguente le olimpiadi dovevano svolgersi a Mosca, gli Stati Uniti decisero per ritorsione di boicottarle, e il loro esempio fu seguito da quasi tutti gli stati occidentali, così che ad esse parteciparono quasi solo Paesi del blocco comunista.
L’Italia decise di partecipare al boicottaggio … a modo suo, cioè alle olimpiadi non andò l’Italia ma il CONI, senza la bandiera nazionale e gli atleti con la scritta “CONI” invece che “Italia” sulla maglia, in pratica rimasero a casa soltanto gli atleti militari. Piccolo particolare che deve aver fatto parecchio sghignazzare, “koni” in russo significa “cavalli”.
Nel 1991 ci fu la prima guerra del Golfo, l’operazione Desert Storm con una coalizione di forze internazionali guidata dagli Stati Uniti (ovviamente) che tolse il Kuwait all’Irak di Saddam Hussein che l’aveva invaso. L’Italia partecipò alla coalizione con un nutrito contingente composto da sei (ben sei!) aerei da caccia Tornado: era la solita miserabile furbizia di cercare di tenere il piede in due staffe, come dire “nella coalizione ci siamo e non ci siamo”.
Tuttavia la presenza di questo striminzito contingente fu sufficiente a farci fare una figuraccia oltre ogni aspettativa. Infatti, uno di quei sei aerei fu abbattuto durante una missione e i due uomini dell’equipaggio catturati. Poco tempo dopo, gli iracheni ebbero questa trovata propagandistica, di far apparire alla loro televisione alcuni prigionieri della coalizione che erano stati persuasi in maniera non troppo gentile a lanciare un messaggio pacifista, e tra questi vi era uno dei due italiani, tale Maurizio Cocciolone.
In Italia questa trovata sortì un effetto strepitoso: la visione del viso di Maurizio (era un bell’uomo) deturpato da un occhio pesto e un labbro gonfio sollevò un’ondata di mammismo, un’eco mediatica enorme con tutti quanti che imploravano di porre fine immediatamente alla nostra partecipazione al conflitto per salvare il bel Maurizio.
Esagerato sentimentalismo da un lato, cinismo dall’altro, perché mentre mezza Italia, soprattutto la metà femminile, si sdilinquiva sul musetto tumefatto di Maurizio, sembrava non importasse nulla che intanto stavano morendo migliaia di uomini da una parte e dall’altra (per la verità, la superiorità della coalizione sugli iracheni era tale che i caduti “alleati” furono dovuti soprattutto a “friendly fire”, “fuoco amico”, cioè ammazzati per errore dai loro compagni/alleati, ma questo è un altro discorso). Devo ammettere la verità, quella è stata la volta in cui mi sono davvero VERGOGNATO dei miei connazionali.
Come è successo che i nipoti degli eroi del Carso e del Piave, i figli di quelli di El Alamein e Nikolajewka si siano trasformati in un’accolita di donnette timorose ed emotive? Certo, ammettiamolo, questo è uno dei capolavori della democrazia, ma richiede nondimeno qualche parola di spiegazione.
In Italia lo stato nazionale è arrivato di certo tardi, anche se sempre dieci anni prima di quello tedesco (1861 contro 1871), ma in Germania a contrastare gli effetti di divisioni secolari c’erano la tradizione prussiana e la forza carismatica di Bismark, laddove l’Italia è caduta subito vittima del più sfrenato parlamentarismo liberal-massonico.
L’Italietta liberale post-unitaria ha tenuto le masse popolari fuori dallo stato, l’Italietta democratica postbellica le ha diseducate al sentimento dell’appartenenza nazionale, ha bollato ogni idealità come retorica, le ha “formate” allo spirito imbelle del pacifismo per convenienza. Nel mezzo, fra le due guerre mondiali, SOLO vent’anni di fascismo, e il regime fascista, e questo sono costretti ad ammetterlo a denti stretti anche gli antifascisti più rabbiosi, è stato l’unico regime che ha cercato di instillare negli Italiani la fierezza di essere tali. Per un popolo che ha alle spalle un vissuto storico come il nostro, come la nostra storia pre-unitaria che ha lasciato cicatrici profonde, secoli di frammentazione politica, soggezione a dominatori stranieri, umiliazioni, vent’anni di fascismo sono stati troppo pochi, sarebbero occorsi almeno due secoli.
A noi è capitato di peggio che perdere la seconda guerra mondiale: grazie al tradimento della monarchia, l’abbiamo persa CON DISONORE. La Germania e il Giappone hanno anch’essi perso la guerra, ma combattendo compatti fino all’ultimo giorno contro lo stesso nemico, hanno salvato il loro onore e la loro compattezza nazionale.
Si pensi alla Germania, alla mille volte crocifissa Germania che neppure oggi Angela Merkel riesce a farci odiare: tutte le secchiate di sterco della propaganda olocaustica, e sessantacinque anni di divisione politica che dopo il crollo dell’Unione Sovietica sono spariti senza lasciare effetto, come un brutto, lunghissimo incubo, non sono riusciti a intaccare l’identità tedesca. 
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In Italia il “ribaltone” dell’8 settembre 1943 e la scomparsa di quello che bene o male era lo stato nazionale, ha portato a una ri-definizione dell’identità collettiva da un lato verso quello che è stato chiamato il “familismo amorale”, che è la radice sociale di molti fenomeni, compresa la criminalità organizzata, dall’altro verso le organizzazioni con le maggiori pretese internazionaliste, il comunismo internazionale e la Chiesa cattolica, e non è un caso che i partiti emersi con prepotenza sulla scena politica del dopoguerra siano stati la DC e il PCI, e che democristiani e comunisti abbiano dominato la scena politica italiana per mezzo secolo.
Sia per questa matrice internazionalista, sia perché la classe politica emersa dopo la sconfitta trovava la legittimazione nel tradimento e la collaborazione con il nemico trasformati in impresa eroica (la cosiddetta “resistenza”, sessant’anni di denigrazione di tutto quanto è nazionale, diventavano la norma, la logica della “democrazia antifascista”, ma c’è anche un’altra ragione: il “familismo amorale” si è installato nei partiti e nella politica a ogni livello producendo una classe politica corrotta e predace in misura eccezionale perfino per le democrazie occidentali.
L’interesse personale o di partito anteposto a quello della collettività significa anche, nelle relazioni internazionali, l’interesse italiano svenduto sistematicamente per ragioni di casta o di partito. A questo riguardo, occorre dire qualcosa su di un sopravvalutatissimo padre della nostra miseranda democrazia, un individuo molto meno limpido e molto più ambiguo di quel che ci viene raccontato: Alcide De Gasperi, un uomo a cui non si può negare una sorta di genialità perfida che ne ha fatto un Richelieu in sedicesimo: è stato in sostanza il costruttore di un sistema di lobby in cui le minoranze etniche sono state abilmente inserite. L’italianità stessa del personaggio è molto discutibile. Deputato trentino, durante la prima guerra mondiale sedeva tranquillamente sui banchi del parlamento viennese mentre Cesare Battisti (il bisnonno, purtroppo, l’eroe, non l’assassino) veniva impiccato a Trento. Dopo la guerra fece di tutto per far reinsediare nella provincia di Bolzano i sudtirolesi che avevano scelto il Reich germanico e li fece rientrare in possesso senza spendere nulla delle proprietà per le quali erano già stati indennizzati. Si pensi al confronto come sono stati trattati i nostri profughi della Venezia Giulia, ma quelli erano italiani, BESTIAME.
L’accordo De Gasperi Gruber che ha messo dei pesantissimi paletti alla sovranità italiana sull’Alto Adige, contrariamente a quanto è stato fatto credere, non era un obbligo derivante dal Trattato di Pace: l’Austria, da cui era nativo Hitler, che ha fornito i nazisti più fanatici, che aveva accolto la Wehrmacht a braccia aperte, era considerata dagli Alleati nazione sconfitta, e nell’immediato dopoguerra, essa e Vienna furono divise in quattro zone d’occupazione esattamente come la Germania e Berlino.
Però a dire il vero, il sostegno alla DC da parte della lobby sudtirolese organizzata nella SVP, non è mai venuto meno.
Certo, gli Austriaci sono stati corretti nel caso dell’uomo del Similaun, ma d’altra parte AVEVAMO GIA’ DATO, e non poco.
I comunisti erano (e sono) molto peggio, hanno sempre e comunque agito contro l’interesse nazionale. Se De Gasperi è stato un personaggio ambiguo, penso che il leader comunista Palmiro Togliatti non potrebbe essere definito altro che una viscida serpe.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica è emersa dagli archivi del Cremlino una lettera di Togliatti (che era in Unione Sovietica come segretario del COMINFORM) a Stalin. Il dittatore gli aveva richiesto se ritenesse fosse meglio riservare ai prigionieri di guerra italiani un trattamento meno spietato di quello inflitto ai tedeschi. Togliatti rispose negativamente: ogni soldato morto avrebbe significato una famiglia di antifascisti in più in Italia. Questo era “il migliore”, figurarsi gli altri.
Tra Tito e Togliatti durante la guerra è certamente intervenuto un patto: la cessione alla Jugoslavia di Fiume, dell’Istria, della Venezia Giulia, di Trieste, di Gorizia, di tutto il Friuli in cambio dell’aiuto a “fare la rivoluzione” in Italia. In seguito a questo “pactum sceleris”, le unità partigiane del Friuli dovevano passare agli ordini del IX Corpus jugoslavo. La brigata partigiana non comunista Osoppo rifiutò di sottomettersi a questo diktat, e in conseguenza di ciò fu massacrata dai comunisti della brigata Garibaldi. Il lavoro sporco in questo caso gli Jugoslavi preferirono farlo fare ai connazionali degli interessati.
I comunisti jugoslavi perpetrarono contro gli Italiani della sponda orientale dell’Adriatico una “pulizia etnica”, un GENOCIDIO per cancellare la presenza italiana dalle terre capitate sotto i loro artigli, ma la cosa veramente vergognosa, è che i comunisti italiani questa strage, la documentatissima tragedia delle foibe l’hanno negata per sessant’anni, e continuano ancora a negarla, quanto meno boicottando e passando sotto silenzio la ricorrenza del 10 febbraio. TRA ESSERE COMUNISTI E ESSERE ITALIANI, NON C’E’ COMPATIBILITA’ POSSIBILE.
Ai torti e alle vergogne del passato, i “compagni” ne hanno aggiunto un altro, quello dell’ipocrisia, hanno cominciato a fingersi patrioti, per dare fastidio alla Lega e per farci digerire un’idea di Italia multietnica che è l’esatto contrario dell’italianità. Sentire su RAI 3 un pagliaccio ipocrita, comunista miliardario, pezzo d
i sterco umano come Roberto Benigni cantare “Fratelli d’Italia” il 10 febbraio mentre della tragedia delle foibe non si dice una parola, può scatenare gli istinti omicidi della persona più mite.
i sterco umano come Roberto Benigni cantare “Fratelli d’Italia” il 10 febbraio mentre della tragedia delle foibe non si dice una parola, può scatenare gli istinti omicidi della persona più mite.
Noi lo sterco ce lo tiriamo addosso da soli tutti gli anni ogni 25 aprile: siamo l’unico popolo al mondo che festeggia una sconfitta in guerra come se si fosse trattato di chissà che vittoria. L’ennesima falsità della classe politica nata dalla sconfitta e dal collaborazionismo, che ancora oggi nell’antifascismo cerca la sua sempre più discutibile legittimazione.
Dobbiamo essere onesti, molto onesti. Come possiamo pretendere che gli altri ci rispettino se siamo noi per primi a non rispettarci? Dobbiamo recuperare la nostra compattezza di nazione, e sbarazzarci dell’antifascismo è solo il primo passo. Occorre voltare le spalle con decisione a tutte le ideologie mondialiste e internazionaliste: cristianesimo, liberalismo, democraticismo, comunismo, marxismo in tutte le sue varianti, e anche all’ignobile “destrismo” atlantista e filo-americano che con ciò che noi siamo non ha nulla a che vedere.
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