26 Giugno 2024
Politica

Los Von Rom – Enrico Marino

Il progetto austriaco per la “dopplestaatsbruggherschaft”, cioè la doppia cittadinanza austriaca e italiana, per i cittadini dell’Alto Adige di lingua tedesca e ladina, ha infiammato il dibattito politico dei primi giorni d’estate.

Contro tale ipotesi si sono già espressi il capo dello Stato e i partiti di opposizione, sia di destra che di sinistra, perché si riaprirebbe il tema dell’identità dell’Alto Adige con tutti gli strascichi dell’irredentismo sudtirolese.

Dopo la Prima guerra mondiale il Trattato di Saint-Germain aveva assegnato all’Italia il Trentino-Alto Adige che, seppur geograficamente incardinato nella penisola italiana, era popolato in prevalenza da abitanti di lingua tedesca. Il governo fascista adottò una serie di misure volte alla nazionalizzazione della popolazione, vietando l’uso della lingua tedesca in pubblico, adottando l’italianizzazione dei cognomi, puntando sulla politica demografica, culminata nelle opzioni in Alto Adige che videro l’adesione massiccia della popolazione di lingua tedesca al trasferimento nel Reich. Alla caduta del Fascismo, il Trentino e l’Alto Adige vennero occupati dalle truppe tedesche e molti altoatesini e trentini si arruolarono in due reparti al servizio della Wehrmacht, il SS-Polizeiregiment “Bozen” e il Corpo di Sicurezza trentino.

Dopo la fine della guerra la popolazione di lingua tedesca, ladina e in parte quella trentina, sperò di essere riannessa all’Austria. Vennero raccolte ben 155.000 firme, sottoposte al governo austriaco, che spingeva per un referendum. Scartata questa ipotesi, con il benestare degli Alleati, si giunse ad un accordo fra l’Italia e l’Austria che venne accluso al trattato di pace italiano del 10 febbraio 1947 come un libero impegno assunto dall’Italia nei confronti dell’Austria che ne richiedeva una garanzia internazionale per l’attuazione.

Il trattato venne implementato dall’Italia, che ripristinò l’uso ufficiale del tedesco, il suo insegnamento, la parità delle lingue italiana e tedesca negli uffici pubblici e nei documenti ufficiali nonché nella denominazione topografica bilingue, il diritto di ristabilire i cognomi tedeschi che erano stati italianizzati, l’uguaglianza di diritti per ciò che concerne l’ammissione nelle pubbliche amministrazioni e permise il ritorno degli optanti. Insomma, l’Italia adottò nei confronti dell’Alto Adige una politica di concessioni e certamente la situazione degli altoatesini non può essere descritta come quella di una popolazione sottoposta al giogo di un conquistatore straniero.

Tuttavia, in alcuni ambienti austriaci e tirolesi non vi era intenzione di riconoscere l’assegnazione del Trentino-Alto Adige all’Italia ribadita dal trattato, sottolineando i “diritti inalienabili dell’Austria sul Tirolo meridionale”. E a nulla sono valsi, nel corso degli anni, gli aiuti economici e le condizioni di speciale favore fiscale praticati dall’Italia in quelle terre nè il riconoscimento per l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo regionale autonomo, anzi, i cittadini di lingua tedesca quanto maggiore è stata la libertà loro concessa, tanto più ne hanno usato e abusato, tutte le autonomie loro accordate, con la volontà di creare una collaborazione, sono divenute altrettante armi che essi hanno rivolto contro l’Italia e, a poco a poco, nell’ambito della legalità e della libertà concesse agli alto-atesini, la situazione degli italiani in Alto Adige è divenuta in molti casi insostenibile.

Per questo non ispirano alcuna simpatia le posizioni più volte espresse da una pasionaria come Eva Klotz che, riconoscendosi nella comunità germanofona, ne desidera l’autodeterminazione, nonché la secessione del Südtirol dall’Italia e la sua annessione all’Austria e per questo si batte da anni con la Süd-Tiroler Freiheit, da lei fondata, con la quale ha ideato di mettere ad ogni valico (su strada o sentiero di montagna) un cartello che recita: “Süd-Tirol ist nicht Italien!” ovvero tradotto in italiano, “L’Alto Adige non è Italia”.

E tuttavia, occorre riconoscere che gli altoatesini di lingua tedesca non sono italiani. Chiunque abbia avuto l’occasione di recarsi in Alto Adige avrà notato la diversità, la peculiarità e la tipicità di quei luoghi, la loro uniformità e la loro caratterizzazione nonchè gli abitanti con i loro abbigliamenti, i loro cibi e i loro usi assolutamente organici a una tradizione, a una cultura e a una coesione sociale profondamente vissute, con coerenza, con attaccamento, con orgoglio e con determinazione. E poi la loro lingua fortemente difesa e rivendicata come fattore identitario nel sottolineare e nell’attribuirsi una alterità rispetto all’Italia e all’italianità.

Perciò, proprio mentre l’opposizione attacca il governo lamentando il poco vigore mostrato nel contrastare l’iniziativa austriaca, occorre sottolineare lo stridente contrasto tra le affermazioni della sinistra, la sua propaganda e le sue suggestioni, rispetto ai dati ineludibili della realtà. In cento anni dall’annessione di quelle terre, l’Italia e i suoi governi (per lo più democratici e progressisti) non sono riusciti a “integrare” quella piccola comunità autoctona, peraltro europea e cristiana, portatrice di valori e di fondamenta culturali condivise. In cento anni, quelle popolazioni sono divenute italiane solo teoricamente e forzatamente. In cento anni, abbiamo avuto “cittadini” che solo formalmente, per le evidenze di un semplice e insignificante documento, risultavano italiani senza sentirsi italiani e pur essendo tutt’altro. Una dimostrazione di quanto possa valere la cittadinanza certificata da un pezzo di carta, che i progressisti avrebbero voluto concedere a tutti, magari con soli 5 anni di scolarizzazione, modificando la natura profonda degli individui e pensando di estendere a tutto il Paese un principio che ha fallito dove di fatto è stato applicato fino a oggi. In effetti, l’Alto Adige è la dimostrazione più evidente di come lo ius soli, la cittadinanza acquisita da chiunque nasca sul territorio italiano, sia una pura esaltazione ideologica destinata al fallimento nel momento in cui le ragioni del sangue si scontrano e prevalgono su quelle della carta bollata e sulle infatuazioni universaliste, umanitarie e cosmopolite. E se cento anni di convivenza non hanno eliminato certe spinte identitarie in una popolazione europea e, di fatto, affine a noi, come avrebbero potuto 5 anni di superficiale infarinatura scolastica radicare l’italianità, far acquisire una cittadinanza consapevole e vissuta, in popolazioni a noi del tutto estranee, arabe e africane, musulmane o portatrici di usanze ancestrali e tribali, ovvero di pratiche e riti spesso sconfinanti nella manifesta superstizione?

Solo l’indecenza propagandistica delle sinistre, dei cattolici progressisti e dell’immonda Emma Bonino possono continuare a cercare di propinarci la bellezza e i vantaggi dell’immigrazione, dell’accoglienza e dell’integrazione di clandestini di tutte le razze.

Ma se a costoro il popolo italiano ha già manifestato tutto il proprio disprezzo, per quanto riguarda gli altoatesini ancora si impone una risposta formale e definitiva.

L’ordinamento italiano prevede la possibilità di avere una doppia cittadinanza. L’art. 11 della L. 91/1992 stabilisce che: “Il cittadino che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana, ma può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la residenza all’estero“.

Questa disposizione permette agli italiani emigrati all’estero di poter mantenere la cittadinanza italiana pur avendo acquistato volontariamente la cittadinanza dello Stato in cui risiedono.

Non è consentito il possesso di una doppia (o plurima) cittadinanza se vi sono norme internazionali pattizie o norme statali straniere che lo vietino. L’art. 26, c. 3 fa salve, in via generale, “le diverse disposizioni previste da accordi internazionali“. Viene così affermata la loro prevalenza sulla disciplina interna.

Ma, come si vede, tutto è regolato da semplici disposizioni di legge ordinaria che, come tali, possono essere facilmente modificate. E allora, poiché non è ipotizzabile rimettere in discussione quei confini che sono costati tanti sacrifici, tanto eroismo e tanto sangue, si può, invece, modificare la disciplina della doppia cittadinanza in un senso restrittivo, prevedendo la revoca di quella italiana nel caso di acquisto di una cittadinanza estera e salva la concessione di deroghe sulla base di una decisione dello Stato.

Privati della cittadinanza e degli annessi diritti politici, gli altoatesini in Italia risulterebbero, in tal modo, dei semplici residenti austriaci con proprietà immobiliari nel Paese ma con prerogative ridotte e le stesse ampie concessioni fornite dall’Italia a quella Regione potrebbero essere ridimensionate.

Può apparire come un provvedimento coercitivo, ma si può fare volendo.

E d’altro canto, se la cittadinanza italiana è vissuta come una forzatura e un peso è appropriato sgravarsene, ma rinunziando in tutto a quello che essa comporta.

Enrico Marino

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