La città-cadavere, da incubo, chiamata R’lyeh … fu costruita incalcolabili eoni prima della storia conosciuta, da enormi, ripugnanti forme che gocciolarono dalle stelle oscure. Ivi si stabilirono il grande Cthulhu e le sue orde, nascosti in verdi, limacciosi sotterranei… Nella sua dimora di R’lyeh, il morto Cthulhu attende sognando.
HPL
Domenica 29 settembre 2019
Mentre scrivo, sta passando un’orda di centauri rombanti tutto il loro disappunto contro chi auspica la fine dell’era degli idrocarburi, voluta dai signori del fotovoltaico.
Li osservo compiaciuto: mi ricordano le calate barbariche cavalcate sui resti della civiltà romana.
La macchina, lo schiaffo e il passo di corsa hanno ancora un retrogusto del menefrego di futurista memoria.
So distinguere tra il falso e il genuino storico: i bipedi che mi trascorrono davanti alle retine sono forme narcisiste, edoniste, incastri culo-sella che non hanno certo intenzione di andare in guerra; sono predatori del tempo liberato, di like sui social; si muovono emettendo ossido di carbonio in branco, per affinità metalliche, sul set di un fottuto sequel di Mad Max; sono cadenti metamorfosi di quel che resta dell’ovile classe media oltre la sfera del “buono”.
Ho riletto in questi giorni Noi, di Zamjatin, il diario immaginifico di D-503.
Mi sono immaginato gli amplessi con I-330, la fatale ribelle della quale, l’ingegnere costruttore dell’Integrale – l’astronave messaggera pronta a salpare per raggiungere ed esportare il chiaro e logico pensiero tecnomatematico su altri mondi galattici – s’innamora di un amore di altri tempi, consumato febbrilmente e di nascosto dai Guardiani dello Stato Unico, nella Casa Antica confinante con il Muro Verde.
E in questa mia minima sintesi vi sono tutti i presupposti per comprendere, da una narrazione distopica del 1926, la prima di questo genere, i motivi malthusiani che oggi irrompono prepotentemente sulla scena mediatica del mondo, in ossequio al neuromarketing.
Ma nessuno ha voglia di leggere il già detto alla nausea.
Ci vuole ben altro per scuotere il sonno di Cthulhu, la bestia sepolta in ognuno di noi.
Il Muro Verde è un baluardo di cristallo più duro del diamante; anche le mura di Gerico erano indistruttibili, ma il suono di enormi strumenti sonori, forse cembali forgiati, tesi e battuti da mani di giganti della stirpe di Golia, le fecero cadere.
La Bastiglia e il muro di Berlino rovinarono alla distanza temporale di 200 anni, così come terminò, dopo la medesima durata bicentenaria, la guerra che D-503 ricorda come l’inevitabile purificazione della Terra e dell’uomo.
Fu un conflitto apocalittico che permise l’avvento dello Stato Unico, matrice della liberazione degli umani, finalmente diventati numeri carnali e sanguigni, eucaristici metadati, ai quali mancava soltanto la privazione neurologica definitiva della fantasia che ha sede in una piccola porzione dell’encefalo, in una goccia pineale, per essere integrati nella perfetta equazione algebrica della felicità collettivizzata.
Nella Casa Antica vi sono piccoli letti per bambini; a quell’epoca, prima della Guerra dei duecento anni, avanti la creazione del luminoso Stato Unico, i bambini erano anche proprietà privata.
L’immenso Muro Verde di cristallo frena l’avanzare selvaggio della natura, dell’irrazionale mutaforme eterogeneo; permette l’esistenza grigia, uniforme, controllata dalle macchine, un andirivieni circolare, secondo ritmi congegnati per essere privi di aneliti personali, calcolati fino alla settima cifra decimale.
Flussi informatici supini all’informe volontà collettiva, sono cinetica incontrastata energia di corpi assembrati e rigorosamente organizzati: privati di r-esistenza soggettiva, famigliare e di gruppo, non sono più contenitori d’anima.
Con l’eradicazione dell’anima dagli involucri biomeccanici, priva di utilità diviene l’immensa cultura dell’Essere, della fede, dell’antropologia e della psicanalisi; frollata è l’ontologia in seguito allo smebramento definitivo nel mattatoio ingegneristico.
Restano, in ossequio alla vita, formula chimica brutalmente legata d’acefale forze atomiche i borborigmi gastroenterici, l’erezioni mattutine, gli orgasmi solitari, gli accoppiamenti giudiziosi, il decadimento fisico da errori di trascrizione genetica.
Nello Stato Unico si transita attraverso un’etologia programmata, dalla nascita al suicidio statalizzato, espletato da solerti boia autorizzati da una volontà superna, all’interno di un’immersiva esperienza virtuale a scelta della collaborante vittima.
Le spoglie, in assenza di legami sociali, saranno a disposizione delle statistiche demografiche e nei casi di carenza alimentare, ricomposte in comode tavolette di Soylent Green.
In conclusione del diario destinato ad esseri senzienti di altri mondi, D-503 si dice pronto ad avviarsi alla Grande Operazione, l’asportazione della fantasia dal cervello, per ricevere il dono più agognato dai viventi: la felicità.
In questi giorni di caligine verde, che trasuda dalle smorfie freak di una ragazzina malata e manipolata dai poteri forti del Pensiero Debole, vorrei avere il tempo per ridere di una crassa risata sugli orrori del mondo, per fomentare ancora la commedia divina, le buffonate medievali di sdentati giullari popolari, di saltimbanchi della povertà miracolati dalla peste, dai terremoti, dalle inondazioni, da carestie e dal vomito dei vulcani, sfigurati dal vaiolo, esondanti triviali e lascive carnascialesche intenzioni oscene, dimenate tra patte sgualcite e artrosi dell’anca al servizio dell’ilarità facile, priva di sottigliezze intellettuali.
Questo bramare da sempre il ritorno a un Eden, a una perfezione verde d’antologia miltoniana, è una forma esasperata di malinconia: dove sta la novità?
Occorre bere del buon nettare, occorrono sensali procaci, veri e buoni amici, fratelli di razza e sangue, bestie e bestiari frementi di feromoni e simbologie essoteriche, musiche pizzicate da nodose mani, fragori metallici ritmati da sordi fabbri, effluvi di spezie e carni arroventate su lunghi spiedi, misticanze d’altri tempi, sollazzi festosi e verbosi che invitino la Nera Signora a starsene nell’ombra e godersi lo spettacolo de’ vivi, appoggiata alla sua falce con la schiena a ridosso di un olmo, per un po’, quel tanto che basta a corna e scongiuri d’illudere il popolo di aver la meglio sull’algida lama.
Non è forse l’uomo l’unico animale che ride?
E nell’orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s’aggiri,
Corre il baglior della funerea lava
Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.