L’uomo è antiquato? Questa è la domanda che si pose il filosofo tedesco di origine ebraica Guenther Anders (1902-1992) nel suo libro più importante, che ha quel titolo. La sensibilità dell’intellettuale rifletteva, alla luce della potenza devastatrice della bomba atomica e dei progressi sempre più veloci della scienza e della tecnica, se l’uomo, novello Prometeo, non avesse ormai raggiunto una condizione di subalternità rispetto al mondo delle macchine da lui stesso inventate. Anders parlò di”vergogna prometeica”dell’uomo dinanzi ai suoi prodotti meccanici, sempre più nuovi ed efficienti, che lo oltrepassano e lo fanno precipitare nell’inadeguatezza, imbarazzato nel paragone tra se stesso e la tecnica dispiegata.
Perfetta, la macchina è ripetibile, standardizzata, riproducibile in esemplari sempre identici. Possiede, ed è forse qui la chiave di tutto, una specie di eternità negata all’uomo. Di qui una rivalità, una gara impari, e l’inversione tra i mezzi – sempre più estesi – ed i fini, misteriosi o negati. L’uomo contemporaneo, in particolare occidentale, si sente allora inadeguato, prigioniero di un corpo debole ed imperfetto, di un’intelligenza limitata e settoriale. Per di più, è assediato da immagini che lo colpiscono serialmente, lo rendono passivo, invidioso, manipolato, sempre più incapace di pensare autonomamente e comportarsi liberamente.
Anders conclude con un accorato appello alla salvaguardia della dignità umana contro tutte le forme di prevaricazione tecnica, dalla persuasione radiotelevisiva, alla proliferazione delle armi sino alla strapotenza della ragione scientifica. Non troppo diverso, almeno negli esiti, fu il giudizio di Martin Heidegger sulla scienza, e soprattutto la tecnica, come”pensiero che non pensa”e come”gestell”, impianto, intelaiatura, insieme struttura e sovrastruttura dell’ultimo secolo.
La tecnologia ha compito un tale salto di qualità da rendere antiquato l’uomo, e antiquate le sue facoltà, scisse tra immaginazione e produzione, sentire e agire, coscienza e conoscenza. Tutto ciò che realizziamo non lo capiamo più perché non possediamo categorie concettuali che ci permettono di affrontare le sconvolgenti trasformazioni indotte dalla scienza, attraverso tecnica e tecnologia. Sussiste allora un radicale ribaltamento tra bisogni, mezzi e fini, che provoca una catastrofe della coscienza ed uno squilibrio interiore. La storia diventa storia della tecnica, e l’uomo non è che un semplice personaggio”costorico”, nella definizione di Anders.
Nel terribile dislivello prometeico tra l’uomo nella sua realtà, le sue aspirazioni e la poderosa macchina tecnica che è stato in grado di formare, l’uomo si considera, o viene fatto sentire, antiquato, ed allora avanza, nel deserto dei fini e nel discredito delle morali, una nuovo pensiero, che è insieme ideologia e tecnica, progetto di vita e rivoluzione esistenziale, ontologica.
Questo pensiero è il transumanesimo. Termine ostico e flessibile, plastico come il futuro che immagina, descrive la volontà di spingere la specie umana verso un cambiamento profondo di se stessa, addirittura verso una trasformazione della sua essenza e presenza nel mondo. Il termine è stato introdotto nel 1957 da Julian Huxley, e fa riferimento alla trasformazione dell’uomo indotta dalla tecnologia a fini di miglioramento della salute, allungamento della vita, potenziamento delle prestazioni fisiche ed intellettuali e miglior controllo ed organizzazione sociale. Il significato sottintende un’intensa interazione con le macchine (cibernetica) ed un superamento delle attuali facoltà umane, sino a conseguire una condizione talmente nuova da non poter essere più classificabile come umana.
Tale prospettiva viene considerata desiderabile e realizzabile attraverso applicazioni delle nuove scienze, come la biorobotica, la bioinformatica, la neurofarmacologia, e la nanotecnologia, introdotta a seguito delle scoperte della fisica quantistica, che ipotizza la possibilità di controllo sulla struttura della materia, agendo sulla natura della connessione fra gli atomi.
Il transumanesimo ha definito se stesso, attraverso il suo fondatore, il professore americano Nick Bostrom, presidente della WTA (World Transhumanist Association) come”un movimento culturale, intellettuale e scientifico che afferma il dovere morale di migliorare le capacità fisiche e cognitive della specie umana e di applicare le nuove tecnologie all’uomo, affinché si possano eliminare aspetti non desiderati e non necessari della condizione umana come la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento, e persino l’essere mortali.”
Vasto programma, la cui condizione è, appunto, andare oltre la condizione umana. Più Faust che Prometeo, l’uomo transumano nega ogni limite, nell’arrogante convinzione di poter dominare le forze della natura, assoggettandole alla propria ansia febbrile di onnipotenza, sino alla feroce volontà di abbattere la frontiera somma, quella della morte, o meglio, dell’alfa e dell’omega, ossia del principio naturale che assegna a tutto un inizio ed una fine.
“Transumanar significar per verba/ non si poria; però l’essemplo basti/ a cui esperienzia grazia serba”.
E’ questa una celebre terzina del Paradiso dantesco nella Commedia (I vv. 70-72), in cui il sommo poeta ci spiega che non è possibile spiegare il senso dell’oltrepassare la condizione umana; capiranno soltanto coloro che avranno conseguito la salvezza dell’anima. L’esempio cui fa riferimento è quello del mitico pescatore greco Glauco, che si trasformò in divinità marina dopo avere assaggiato un’erba miracolosa.
Il novello Glauco è l’uomo trasformato dalla tecnica, mentre l’orizzonte dei sostenitori del transumanesimo è del tutto sgombro da qualsiasi afflato verso la trascendenza, o la spiritualità. L’uomo è solo materia bruta da modellare secondo volontà ed in base alle possibilità tecno-scientifiche del momento.
Scarso o nullo è l’interesse per la cultura non scientifica, ignorata per chiusura mentale, mentre l’entusiasmo per la scienza sembra legato ad un morboso desiderio di servirsene, e non a sete di conoscenza. Un autentico tornado che si abbatte su una civiltà, la nostra, che ha smesso di essere cultura e che si è ripiegata da tempo sull’uomo massa, questo informe puntino, che, insieme a milioni di altri”uomini medi”, costituisce il quadro desolante delle ultime tre generazioni. Non il”puntinismo”della bellezza dei quadri di Seurat, ma l’informe caos dell’espressionismo astratto di Pollock o Rothko, che almeno conservava una sua geometria.
Sentiamo José Ortega y Gasset. ”Viviamo in un tempo che si sente meravigliosamente capace di realizzare, sebbene non sappia cosa realizzare. Domina tutte le cose, però non è padrone di se stresso. Si sente smarrito nella sua stessa abbondanza”. Abbiamo tantissimi mezzi per nessun fine diverso dal denaro, ed il transumanesimo colma questa lacuna, dotandosi di uno scopo, trasformare radicalmente l’uomo. Il problema, terribile, è che lo trascina lungo un piano inclinato il cui esito è di farne qualcosa d’altro.
Il primo inquietante paragone è con il cyborg o organismo cibernetico che indica l’unione di elementi artificiali e di un organismo biologico. Il termine cyborg fu reso popolare da alcuni scienziati degli anni Sessanta del XX secolo in riferimento all’idea di un essere umano potenziato per sopravvivere in ambienti extraterrestri inospitali. Essi ritenevano che un’intima relazione tra uomo e macchina fosse la chiave per varcare la nuova frontiera dell’ esplorazione spaziale. Il confine tra essere umano e cyborg è oggi sempre più sfumato, basti pensare ai progressi delle tecnologie applicate alle protesi ed agli organi artificiali.
Il problema, naturalmente, non è negare l’avanzamento delle conoscenze per aiutare l’uomo nell’aspro cammino della vita, ma impedire con ogni mezzo che l’umanità-massa sia lasciata nelle sole mani del sapere tecno-scientifico. In particolare, spaventano lo specialismo, nel senso heideggeriano di ”pensiero che non pensa”, concentrato sul suo pezzetto di sapere, del tutto ignorante in tutto il resto: “in politica, in arte, nei costumi sociali e nelle altre scienze prenderà posizione da primitivo, da ignorantissimo; però le assumerà con energia e sufficienza, senza ammettere, e questa è la cosa paradossale, specialisti di queste questioni”. Il genio di Ortega antivedeva il nostro tempo pieno di ”esperti”, saccenti e dal cervello (e dal cuore) chiuso alla cultura, fieri del loro misero sapere settoriale.
Quanto agli altri uomini-massa, diventano tutti paghi di rimanere ciò che sono, uguali a tutti gli altri, in un inferno distopico realizzato. L’ideologia transumanista intende realizzare, in fondo, il sogno di onnipotenza ed immortalità che è nell’animo della nostra specie, noncurante di ogni conseguenza materiale e morale sul creato e sulle creature, sorda ad ogni obiezione che non provenga dall’interno stesso del pensiero tecnico. Penso ad un genio della logica come Kurt Goedel ed al suo teorema di incompletezza, che dimostra come ogni sistema formale di conoscenza, persino la matematica, non sia dimostrabile se non all’interno della propria sintassi, ed è dunque incompleta proprio per la sua indimostrabilità attraverso un sapere ”esterno”.
Nulla, non conta nulla, e i transumanisti corrono come treni impazziti lungo una strada senza fine e senza sbocchi. Una giovane americana destinata a morire a breve per un tumore, qualche tempo fa, ha pagato una forte cifra per farsi congelare la testa – si legge che per l’intero corpo occorrano 200.000 dollari – confidando nelle ricerche sull’intelligenza artificiale. La poverina è morta sperando che venga scongelata un giorno per inserire il suo cervello, meglio la sua memoria personale, in un computer.
Questo è l’esempio pregnante di che cosa sia il transumanesimo, ed apre anche un primo spiraglio per verificarne il carattere di sfrontata giustificazione per nuove modalità di lucro economico. Si apprende dagli esperti (sempre loro….) che una ipotetica copia digitale del cervello umano che si immagina di poter creare, detta connectome, dovrebbe avere una capacità di memoria di circa 1, 3 miliardi di terabytes.
Per adesso, è un grave intoppo, poiché sembra che la memoria di tutti gli hard drive del mondo sia di circa 2, 6 miliardi. Il transumanesimo non si scoraggia, pensa di avere dalla sua il futuro, e si fa strada senza troppa fatica in una società come la nostra, liquida e relativista, ormai incline e prossima al più assoluto nichilismo, che è poi il culto del nulla, che autorizza tutto.
Quanto all’interesse del potere economico e finanziario per la nuova ideologia, basti riflettere che la Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica, affiliata all’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha pubblicato studi sulla pianificazione familiare in armonia con quella lavorativa, dunque sull’utilizzo della genetica per fabbricare bambini ”su misura”. Su quale misura? E’ davvero necessario suonare l’allarme per una deriva che, unendo biologia, fisica, genetica, ingegneria meccanica, informatica ed altri nuovi saperi, intende ri-costruire un uomo nuovo, a fini di potere e di ulteriore dominio della natura.
L’uomo vuol diventare capace di autodeterminarsi, ma di decidere come e fino a quando vivere. Creatori di se stessi, i transumanisti affermano che si deve completare l’evoluzione (la loro adesione ad un darwinismo letterale e rimasticato alla luce del determinismo e dell’utilitarismo è totale e dogmatica) affinché, nella fusione tra corpo, macchina e biotecnologia in un crescendo si fabbrichi una nuova forma di vita che supererà le abilità percettive di ogni altra creatura. Non sono mostri, o sognatori, ma studiosi serissimi dotati di mezzi illimitati da parte delle élite economiche e finanziarie e dagli stati che perseguono politiche di potenza – ho detto gli Usa? – che riusciranno indubbiamente a portare dalla loro parte settori importanti della società.
Assistiamo tra l’altro ad un perfetto rovesciamento, in peggio, di una delle più ambigue teorie moderne, quella di Gaia, formulata dal fisico e pensatore James Lovelock, il quale pensava che la biosfera, e la Terra, Gaia, dalla divinità tellurica greca Gea, sia un’entità vivente che sa attivamente cambiare e controllare le condizioni fisiche e chimiche della biosfera. L’ipotesi Gaia sostiene che la biosfera è in grado di autoregolarsi ed è capace di mantenere il nostro pianeta sano; il mondo è un unico macrosistema che l’uomo non deve permettersi di modificare.
Quella di Gaia è un’ idea in cui il ruolo dell’uomo è di semplice appartenente al macrosistema, o di grande perturbatore della natura, e, se presa alla lettera, è una visione antiumana e comunque del tutto materialista ed immanentistica della vita. Tuttavia, possiede il senso del limite, è ben più attenta alla conservazione della natura, ed ha un approccio più critico nei confronti della tecnica, come l’ecologia profonda teorizzata dal norvegese Arne Naess.
Certo, si rivela più sana ed accettabile del fervore faustiano di uno scientismo indifferente a tutto. Nell’ottica transumana, assume un carattere preciso ed ancora più sinistro di quanto già sappiamo la cosiddetta teoria del genere (il gender), che, attraverso la testa di lancia dei diritti omosessuali, e per la via della biogenetica, edifica il transumano, uomo nuovo concepito, realizzato in laboratorio o in uteri affittati (!!!), solo, nomade, privo di meta, a corto di identità, figlio della scienza e di nessuno.
Un altro intellettuale simbolo del transumanesimo è Max More, professore americano poco più che cinquantenne, autore di una Lettera a madre natura, che si può leggere come un vero e proprio manifesto transumanista, nella forma specifica di un esaltato ottimismo tecnicista che egli chiama estropianesimo. Con tale termine, contrario ad entropia, ovvero alla legge di dissipazione dell’energia in un sistema chiuso, scoperta con il secondo principio della termodinamica, egli intende esprimere una fiducia illimitata nella tecnologia, sino al superamento delle leggi fisiche, prevedendo grandiosi progressi della capacità computazionale, dell’ aspettativa di vita, in particolare attraverso la nanotecnologia. La vita sarà teoricamente illimitata, sino ad una sorta di resurrezione, per chi fosse stato preservato per mezzo della crionica, la tecnica del congelamento, vedi la conservazione del cervello della sventurata ragazza americana, o con altri futuribili mezzi tecnologici.
La Lettera a madre natura ha tratti davvero impressionanti, ed è costruita in forma di emendamenti alla creazione, sul modello della Costituzione americana. Vi si afferma che la natura avrebbe potuto fare di meglio con l’essere umano, poiché ci ha fornito una memoria limitata, ed una dotazione poco generosa rispetto agli istinti, (“scarso controllo sui nostri istinti tribali e xenofobi”). More sostiene che la nostra evoluzione è ferma a centomila anni fa. Ma l’infanzia dell’umanità sta per finire, e qui sembra di ascoltare certi illuministi o il venerato Kant.
Il primo emendamento alla natura prevede la lotta alla vecchiaia ed alla morte: ”per mezzo di alterazioni genetiche, manipolazioni cellulari, organi sintetici ed ogni altro mezzo necessario, ci doteremo di vitalità duratura e rimuoveremo la nostra data di scadenza (come gli yogurt del supermercato n.d.r.). Ognuno di noi deciderà quanto a lungo potrà vivere. Negli emendamenti successivi è prevista l’invenzione di nuovi sensi, di incrementare la memoria, fornendo la neocorteccia (cerebrale) di una metamente, e porre rimedio ai difetti individuali e di specie ereditati. Non saremo più schiavi dei nostri geni (con buona pace di Dawkins e del suo gene egoista ), e potremo scegliere la forma del nostro corpo. Nella ricerca del controllo sul nostro organismo, ci integreremo con le nuove tecnologie. More riconosce di puntare ad una condizione ultra-umana, e si propone di rimuovere ”insalubri certezze dogmatiche” e, con l’arroganza di tutti gli ispirati, a nome di tutti noi, si firma ”la tua ambiziosa prole”.
Per quanto riguarda la durata della vita umana, per adesso ci si ferma ad un obiettivo tutto sommato modesto: cinquecento anni. Lascio a ciascuno un giudizio sulle idee, che, ripeto, non sono farneticazioni, ma precisi obiettivi sostenuti da ricerche scientifiche e dispiegamento di notevoli mezzi intellettuali ed economici. Mi limito a due osservazioni: la prima riguarda l’assoluto, totale, impressionante materialismo della lettera: non solo l’idea di un Dio non sussiste (già il Laplace, matematico e fisico francese, rispose ad una domanda di Napoleone ”Dio è un’ipotesi che non ho preso in considerazione”), ma viene superata ogni barriera di spiritualità, di rispetto almeno per la coscienza morale. La seconda attiene al mostruoso carattere assiomatico, oserei dire al fideismo fanatico delle idee, che rimuovono antiche ”insalubri certezze dogmatiche” per istituirne una nuova, più potente ed indiscutibile di tutte: il mito scientista, assurto a religione secolare, senza neppure la carica liberatoria di altre ideologie, come il marxismo.
Davvero, pensiero che non pensa, e specialisti senza intelligenza, come nella folgorante definizione di Max Weber. Dell’altezzosa ignoranza di troppi scienziati, fuori dal recinto del loro stretto ambito di conoscenza riparleremo, ma è utile anche riconoscere quali sono i padri dei moderni transumanisti. Uno è certo Julien De La Mettrie, medico ed illuminista francese, autore de ”L’uomo macchina”, che è solo materia, regolata da leggi meccaniche. La superiorità dell’uomo sugli altri viventi è dovuta alla migliore organizzazione della macchina, perfetta come un orologio immenso, costruito con artificio e abilità, ma senza l’orologiaio. La Mettrie fu anche un utilitarista, sostenendo che il bene è la ricerca del piacere; un altro suo scritto è ”L’arte di godere” e pare evidente il debito nei suoi confronti di Bentham e dell’utilitarismo pratico inglese.
Maestri più recenti sono il francese Jacques Monod (1910-1976) e l’inglese Francis Crick (1916-2004). Monod, biochimico, Premio Nobel per la medicina, in un testo di grande influenza, ”Il caso e la necessità”, elaborò una visione dell’uomo e del mondo derivante dai principi della biologia molecolare. Il caso è il principio della mutazione e della legge della necessità, che cristallizza la mutazione attraverso l’invarianza, cioè la capacità di trasmettere ai posteri i caratteri mutati.
Crick, premio Nobel anch’egli, spiegava il concetto di coscienza come scambio elettrochimico che ha luogo nei neuroni, ed affermò con sarcastico disprezzo ”voi, con le vostre gioie e i vostri dolori, le vostre memorie e le vostre ambizioni, il vostro senso di identità personale e il vostro libero arbitrio, voi non siete altro che un mazzo di neuroni”. Davvero, impressiona il tronfio riduzionismo di questi pessimi maestri, convinti di aver capito tutto attraverso i loro microscopi e le loro dissezioni.
Sacerdoti della materia, utilizzano la propria ragione non più per riconoscere ed accogliere ciò che la natura mostra loro, ma come potere di fabbricare la persona e ri-fare la realtà. Una realtà nuova, partorita dalla mente umana attraverso la fiducia illimitata nella ragione (davvero, Dea) che diventa a pieno titolo naturale, ovvero frutto di una supposta evoluzione.
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Un intellettuale americano, Michael J. Sandel, considerato con Charles Taylor e Alasdair Mc Intyre, caposcuola del comunitarismo moderno, ha reagito a quelle idee in un libro significativamente intitolato ”Contro la perfezione”, un cui brano è illuminante ai fini delle risposte da fornire ai Cagliostro del XXI secolo: ”Invece di impiegare le nostre nuove possibilità genetiche per raddrizzare il legno storto dell’umanità, dovremmo fare il possibile per creare assetti sociali e politici più accoglienti nei confronti dei doni, e dei limiti, di noi imperfetti esseri umani”. Probabilmente, gli orgogliosi uomini in camice bianco, ed i loro padrini economici, risponderebbero con uno sdegnoso inarcare di sopracciglia che non è compito loro. Ed è proprio così, per cui è compito di tutti, e specialmente di chi possiede un pensiero strutturato, abbattere le fortezze erette dagli scienziati e ricostruire una cultura del limite e del morale.
Lo stesso Sandel ha di recente pubblicato un libro il cui titolo è ”Quel che soldi non possono comprare”, che mi pare una seria chiave di lettura per valutare l’opposizione etica agli esiti pratici del transumanesimo.
I transumanisti italiani, peraltro, non hanno voluto essere da meno rispetto ai colleghi di altre nazioni, ed hanno diffuso un loro manifesto, approvato regolarmente dal consiglio nazionale della loro associazione.
L’incipit è molto interessante. ”Noi transumanisti ci siamo dati un obiettivo chiaro ed ambizioso: creare nel nostro paese le condizioni per una rivoluzione morale ed intellettuale di orientamento prometeico. Vorremmo vedere (….) una nuova fase di sviluppo tecnologico, scientifico, industriale, culturale, ma anche biologico, allungamento della vita, rallentamento del processo di invecchiamento, salute dei cittadini, potenziamento fisico e psichico di disabili e normodotati, anche oltre i limiti della nostra attuale (il corsivo è di chi scrive ) struttura biologica”.
Insomma, il paradiso in terra, o almeno la ricetta della felicità, scritta meglio che nella confezione dei Baci Perugina. Solo pochi scriteriati potrebbero non essere d’accordo con un programma tanto positivo quanto insinuante, tanto più che il passaggio da una evoluzione ”cieca” (la natura fa un sacco di pasticci, è forse è di destra, distribuendo bene e male a caso ed in modo ineguale) ad una ”autodiretta e consapevole” non deve essere confusa, a detta loro, con l’eugenetica negativa ed autoritaria del passato. Avremo un’eugenetica positiva (ma noi credevamo dal liceo che il prefisso”eu”,bene, designasse già qualcosa di positivo) e democratica, magari nel senso che deciderà il denaro.
I transumanisti di casa nostra, poi, si dilungano sui benefici del laicismo, dichiarando che la massima parte di loro è atea – non avevamo dubbi – e che i più sono politicamente ”di sinistra”. Appoggiano però l’iniziativa privata nella ricerca (è questa la voce dal sen fuggita, ecco chi paga il conto !), e, soprattutto, insistono sulla libertà assoluta di ricerca, affinché sia ”il cittadino” a decidere di potenziarsi, ed allontanare la morte. Rivendicano la libertà di evolvere, mutare, trasformare il proprio fenotipo (cioè se stessi ) ed il genotipo (la specie). La concezione del mondo deve essere scientifica, bando quindi ad ogni sapere altro, e lotta per la fecondazione in vitro, la clonazione, gli arti cibernetici, i farmaci genici, i cibi transgenici. Big Pharma e Monsanto sorridono felici, e senza dubbio anche i centri di ricerca della Cia.
Recentemente, su un grande quotidiano, è apparsa la notizia di sperimentazione su un cyborg che può fare a meno dell’acqua. L’obiettivo, in un mondo afflitto dalla scarsità, è quello di veicolare come positiva e desiderabile la possibilità di un essere umano integrato con componenti artificiali (non le comuni protesi, ovviamente ).
Nel congresso transumanista di Mosca, nel 2011, si è parlato seriamente di immortalità, fissando nel 2045 la possibile data in cui, con l’uomo nuovo, nascerà una Nuova Era Commistioni, ibridazioni, anche subculturali, innanzitutto con il fenomeno della New Age, di cui sembra prototipo e banditore italiano un Gianroberto Casaleggio, il guru del Movimento 5 Stelle. Ad un livello più alto, non sfugge la continuità con l’eugenetica materialista dei fratelli Huxley (il nuovo mondo), che rifiuta in modo radicale l’antropologia greco cristiana e si incammina verso il subdolo sentiero della divinizzazione dell’uomo, in particolare di certe élite anglosassoni e massoniche che, guarda caso, diffondono la musica, pagano i suonatori, ma certamente hanno obiettivi e tornaconti diversi dal resto dell’umanità, anzi, della specie, per utilizzare il linguaggio zoologico degli scienziati.
Torniamo a Nick Bostrom ed alla sua definizione di transumanesimo. Egli parla di miglioramento (enhancement). Ma qual è il limite tra terapia e miglioramento, preso atto che l’uomo si serve da sempre di mezzi materiali per potenziare le proprie capacità – pensiamo agli occhiali per i miopi o i cannocchiali? E qual è la normalità da migliorare, quali i limiti, se ce ne possono essere?
In più, Bostrom precisa che esiste una distinzione tra transumano, che per lui è l’uomo con capacità ”migliorate”, e postumano, un essere ancora imprecisato, naturale od artificiale non è dato al momento sapere, che dovrebbe avere una vita media di 500 anni, capacità cognitive almeno doppie rispetto a quelle massime dell’attuale miglior esemplare della specie, controllo degli input sensoriali, nessuna sofferenza psicologica. Lo stesso transumanesimo, alla fine, altro non sarebbe che un passaggio intermedio per pervenire al superamento finale dell’entità uomo. Ci sarebbe, a suo dire, un ampliamento della vita senza deterioramento per vecchiaia, il corpo sarebbe in corrispondenza con i desideri soggettivi, e si potrebbero fare copie di se stessi; infine, il postumano disporrebbe di un totale controllo emozionale.
Una dichiarazione ufficiale del movimento parla di ri-progettazione della condizione umana, per evitare, tra l’altro, la nostra” prigionia sul pianeta Terra e la sofferenza in generale”. Per questi scopi, l’imperativo primario è rimuovere ogni obiezione causata da ”tecnofobia”(ecco un altro cancro da estirpare ! n.d.r.) e proibizioni immotivate. Destinatari del verbo transumanista sono ”tutti gli esseri senzienti, siano questi ultimi umani, intelligenze artificiali, animali o potenziali extraterrestri”.
La prima reazione è di sorpresa e sgomento: sorpresa, perché l’uomo medio non conosce neppure per sommi capi lo stato di avanzamento di ricerche, tecnologie e scienze, il che collide con la trasparenza e la democrazia che ci vengono presentate come massime acquisizioni del presente. Sgomento, in quanto le proposte transumane, se da un lato raggiungono gli istinti più profondi di ciascuno di noi, significano gettare nel nulla migliaia di anni di civiltà, il bene ed il male, l’arte, la cultura, il fardello intero dell’umanità, ciò per cui sono vissute e morte centinaia di generazioni. Sgomento poi per la messa sullo stesso piano nostro degli animali – ma altre narrazioni moderne lo fanno – e delle intelligenze artificiali.
Qui viene in mente Roy Batty, il commovente ”replicante” di Blade Runner, il grande film di Ridley Scott. Il film è ambientato in una distopica Los Angeles dell’anno 2019. La tecnologia ha permesso la creazione di esseri simili agli umani, i replicanti, utilizzati come schiavi, dotati di capacità intellettuali e forza fisica estremamente superiori agli uomini, ma con una longevità limitata a 4 anni. Sei replicanti del modello più evoluto (tre femmine e tre maschi), capitanati da Roy Batty, riescono a fuggire dalle colonie extramondo, e cercano di introdursi nella Tyrell Corporation, l’azienda dove erano stati creati. Al termine dell’avventura, Roy Batt morente pronuncia una frase che è nella storia del cinema: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. ”Più umano di noi, più profondo degli zombie in camice bianco, consapevole di tutto, anche della morte, pure se ha un cuore artificiale.
Roy Batty è, cartesianamente, res cogitans, mentre il transumano sarà ridotto all’uso intensivo delle sue capacità funzionali, che neurobiologicamente vengono identificate con la realtà materiale. L’uomo macchina di La Mettrie, più gli ingranaggi tecnici del cyborg (ente metà organico e metà cibernetico).
In termini di storia del pensiero occidentale, Hume più l’utilitarismo benthamiano, più il pragmatismo di Peirce e William James. Il valore aggiunto squisitamente scientifico sono gli studi sull’intelligenza artificiale, resi oggi popolari al grande pubblico dal film sulla figura di Alan Turing.
Ma il timore più intenso coglie quando si analizzano i tre punti che ci sembrano centrali nelle tesi transumaniste: l’eccesso di fiducia sulle possibilità della scienza, molte delle quali ancora ignote, e di cui non è possibile valutare le conseguenze, non solo sull’uomo; la riduzione della natura umana a pura materia; la mente umana ridotta a connessioni neuronali. Su tutto, una scienza (e forse soprattutto una tecnica) assolutizzata e incontrollabile.
Un primo commento rimanda ad una celebre battuta di Georges Clemenceau, il grande primo ministro francese, secondo cui la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari. L’essere umano, ed il creato tutto, è qualcosa di troppo grande per abbandonarlo ai deliri di onnipotenza degli scienziati ed ai loro finanziatori, oligarchi dell’industria e del denaro.
La genetica è materia esplosiva, ma i transumanisti non hanno dubbi: per loro, è un passaggio inevitabile la selezione degli esseri umani senza difetti e patologie già nella fase embrionale e fetale (e siamo già a buon punto ). Se si assume come lecita la selezione embrionale e l’eliminazione dei feti con patologie, si è dunque signori e giudici della vita altrui, e, proprio in una prospettiva scientista, chi ci dice che non possano essere scoperte terapie a favore degli esseri scartati e, presumo, gettati in appositi termovalorizzatori?
Un altro passaggio è quello dell’impianto di microchips, o altri apparati bionici, in diverse parti del corpo umano, al fine di attivare, o potenziare, determinate capacità, a partire da quelle cerebrali. Non solo si dipende dalla tecnostruttura, ma se ne diventa parte, con tutto ciò che ne consegue in termini di libertà, controllo, libero arbitrio, dipendenza dai proprietari delle tecniche e dei brevetti.
Sarà attiva una immensa Matrix, l’ipercentrale informatica, più reale del mondo reale immaginata nel film dei fratelli Wachowski, di cui un personaggio dice ”Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.”
Davvero, mi scuso se la fantasia e la conoscenza non mi suggeriscono altre immagini che quelle della fantascienza cinematografica, ma sono, inguaribilmente, un umano qualunque.
Una ulteriore, terribile prospettiva è quella dell’uso massivo di farmaci tesi a controllare il cosiddetto benessere emozionale, ridurre l’impatto negativo delle esperienze di vita, attraverso il blocco dei centri di controllo e i neurotrasmettitori. Tutto terribilmente ”normale”, se riduciamo noi stessi ad un fascio di neuroni e di reazioni fisico chimiche.
Un’applicazione della specie sembra un doping di massa, e del resto qualche autore transumanista giustifica il doping sportivo.
Quanto a fermare l’invecchiamento, a parte i sogni alla Dorian Gray, l’ idea appare in contraddizione scientifica con lo scorrere del tempo nelle sostanze organiche. La temporalità ed il deterioramento sono caratteristiche della materia viva, e l’uomo non è altro che quello, lo affermano loro. Utopismo e credenza cieca nelle possibilità della scienza sono gli stessi assoluti che rimproverano ai loro avversari; intanto, con la costosissima terapia criogenica, c’è chi si congela in attesa di una improbabile resurrezione dei corpi.
Un’antireligione sorprendente e con aspetti messianici, come quelli di chi, muovendo sempre dal più rigoroso materialismo, ipotizza un’esistenza post biologica. Il contenuto del mio cervello, con una specie di scannerizzazione, potrebbe essere oggetto di riproduzione sinaptica (le connessioni) della mia individualità, da riversare in un computer. Come in un trasferimento dati, si potrebbe spostare il vissuto soggettivo dal mio corpo deceduto in un altro – trapianto di cervello – o in un sostrato digitale.
Su queste basi, diventerà fattibile e comune realizzare l’organismo cibernetico (cyborg) creatura, se mi si passa il termine, in parte organica, in parte meccanica.
Anche intellettuali ed osservatori insospettabili di inclinazioni religiose o spirituali, come Francis Fukuyama e Jurgen Habermas, ultimo maestro francofortese, hanno preso decisamente le distanze dal paradigma transumana. Il banditore nippo americano della ”fine della storia” ha definito il transumanesimo una delle idee più pericolose al mondo, perché altera la natura umana ed il concetto di uguaglianza tra gli esseri umani. Habermas ha correttamente posto l’accento sulla perdita di autonomia morale dell’individuo, sottoposta ad interessi sociali, politici ed economici incontrollabili.
Obiezioni condivisibili, ma, a nostro avviso parziali, giacché deve essere posto sotto accusa l’intero impianto antropologico transumanista, nell’assolutezza e nella povertà dei suoi contenuti culturali, che si riducono, in fin dei conti, al postulato dell’uomo e della sua natura come pura materia.
Convinzione rispettabile, evidentemente, ma assolutamente non dimostrata e non creduta da una parte rilevantissima dell’umanità. Basterebbe rammentare la spiritualità indiana, o il senso ”olistico” della civiltà orientale, quella del Tao, dello ying e dello yang, che hanno prodotto, ad esempio la medicina tradizionale cinese, all’intero mondo islamico.
Per restare in Occidente, stupisce la non conoscenza, da parte dei transumanisti, o la palese infastidita indifferenza, nei confronti di gran parte del pensiero classico, da Aristotele a San Tommaso o lo stesso Kant. Tutto vano, tutti poveracci non investiti dalla luce della ”loro” scienza. I pregiudizi transumanisti sono immensi come la loro presunzione, e le teorie avverse vengono squalificate come vuote, astratte e prive di senso, ma senza confutarle argomentando.
Solo all’empirismo, od al sensismo si dà qualche credito, poiché condivide la riduzione di tutto a materia. Si rovescia la formula di Berkeley, ”Esse est percipi”, essere significa essere percepito, nel suo contrario, perché la percezione è solo materiale e non ha finalità alcuna. Pertanto, non ci può essere nessuna etica proveniente dalla natura umana, e gli scopi vengono scelti in base alla loro utilità.
Nessuna possibilità che esistano fini nella presenza umana sul pianeta, l’esame al microscopio non li rileva, e neppure un piccolo dubbio che, per dirla con Saint Exupéry, l’essenziale sia invisibile agli occhi. L’essenziale non si può misurare, quindi non esiste. Chiuse per cessata attività la filosofia e l’antropologia culturale, ridotta a descrizione ogni sociologia, inutile la storia, perché solo il futuro ha senso, derisa come fiaba infantile la religione, ma del resto già l’illuminismo pretese di rappresentare l’uscita dell’umanità dall’infanzia, solo la scienza applicata ha lo statuto di vera conoscenza.
Nelle vecchie circolari ministeriali, c’era una formula per tagliare corto alle obiezioni ed impartire ordini inderogabili: ogni eccezione rimossa. Ecco, questo sembra all’uomo normale il transumanesimo, una terribile mannaia che recide, obbliga, destituisce e ri-crea su basi del tutto nuove, non meno autoritarie di quelle contro le quali insorge. E, purtroppo, un sapere chiuso, autocentrato, orgogliosamente ignaro di qualunque diverso orizzonte. Un totalitarismo, infine, promosso per fini di dominio da gruppi oligarchici che si servono di scienziati brillanti quanto pericolosi, specialisti di un pezzetto di conoscenza quanto ingenui ed ignoranti di tutto il resto.
D’altronde, se l’uomo è esclusivamente materia, pensano, perché non immaginare che, una volta scoperto come funziona la macchina, non ci saranno difficoltà a produrre un uomo perfetto ed identico all’originale, artificiale, il replicante di Blade Runner, in cui già ci si poneva la domanda di fondo: qual è la differenza?
Nessuna, se si accetta un ulteriore riduzionismo, quello neuronale. Siamo materia, connessa da neuroni. Da oggi, possiamo andare oltre con la scoperta dei neuroni specchio, che si possono attivare quando un individuo compie un’azione e quando l’individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto.
Decodificando i meccanismi operativi del cervello, sapremo ciò che l’uomo ”è”. La debolezza argomentativa è evidente: un computer è capace solo di ragionamento algoritmico, fondato su sequenze logiche in senso matematico, il cervello umano è aperto all’inatteso, al caotico, all’improvvisazione, in una parola ha il dono ineffabile della creatività. Sostenere poi che noi siamo esclusivamente il frutto, sia pure ben organizzato, di connessioni neuronali, non è altro che una tesi, il che contraddice lo stesso pensiero fondato sull’esperienza empirica. Infine, la complessità del cervello è tale che non si può restringere all’attività neuronale. Mente e cervello, poi, non sono sinonimi, ed il loro rapporto è stato indagato da tutte le scienze, pervenendo a conclusioni le più diverse.
Noi scegliamo decisamente l’ipotesi che l’uomo è un’unità duale di mente e corpo. Un ulteriore debolezza dei transumanisti risiede nella riduzione dell’uomo a razionalità. Questo fa il paio con la credenza politico sociale dei liberali, per i quali il comportamento umano si basa sull’interesse razionalmente inteso, e declinato unicamente nel senso dell’attività economica.
Ma la capacità di ragionare esclude feti, embrioni, disabili, ed eventualmente può essere attribuita ai primati superiori, visti come fratelli minori nella scala evolutiva. Ma c’è anche chi, come il biologo genetista Vittorio Sermonti, afferma il contrario, ovvero che è la scimmia a discendere dall’uomo (qui il verbo discendere ha la sua importanza semantica ). Del resto, i transumanisti non hanno difficoltà ad assegnare lo statuto di”persona”a macchine intelligenti. Da un punto di vista della scienza morale, poi, dobbiamo rimanere ancorati al principio di pari dignità degli esseri umani, che verrebbe intaccato, se non distrutto da un egualitarismo puramente materiale, condiviso con animali e meccanismi.
C’è da farsi travolgere da una vera angoscia, affrontando certi argomenti, e lanciando le grandi domande: che cosa diventa la dignità umana, chi la decide, la qualità di vita, la capacità di autonomia, il quoziente di intelligenza, o che altro? Non sono pochi coloro che tagliano corto, in materia di bioetica, considerando la categoria di dignità come vuota ed inservibile. Noi restiamo convinti che la dignità personale sia un attributo che si forma con la generazione e scompare con la sua morte, e forse neppure allora, giacché è dovuto rispetto anche al cadavere, come sanno tutte le civiltà che procedono alla sepoltura, e come ci ha insegnato un grande poeta italiano, Ugo Foscolo, nei Sepolcri:
”Dal dí che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d’ altrui, toglieano i vivi all’ etere maligno ed alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina.”
In quest’epoca igienizzata e sporca, al contrario, non sopravvive nemmeno il rispetto dei defunti, forse perché la sepoltura toglie spazio ad attività più proficue, o più probabilmente per la rimozione della morte operata dalla presente civilizzazione, che, votata al nulla, ne ha però orrore, non riuscendo a concepire dimensioni diverse da quella materiale.
Ma se non c’è dignità interna, ontologica, cioè che sta in se stessa, nella dignità umana, non ha senso neppure parlare di miglioramento della condizione umana. Miglioramento rispetto a che, ed in vista di che cosa, ed in base a quale idea condivisa del bene?
I transumanisti sogliono identificare la perfezione fisica con la felicità, secondo un ‘equazione che non è affatto corretta. Ci sono milioni di esseri umani felici, o almeno sereni, pur tra malattie ed imperfezioni, e profonde infelicità tra giovani sani ed agiati. Anche qui un parallelo con l’economia, che è poi la patrona dei transumanisti: il paradosso di Easterlin ha dimostrato che la felicità non è proporzionale al reddito. Popoli poveri sanno vivere felici, e quanto a noi, basta sfogliare i lunghissimi elenchi di psicologi, psichiatri e psicoterapeuti per attestare la sostanziale infelicità delle nostre società sazie e disperate.
Ciò che rende felice l’uomo non è scientificamente commensurabile o tecnicamente realizzabile, pensiamo all’amore, all’amicizia, alla convivialità, e l’uomo tende molto spesso a realizzare fini non materiali.
L’evoluzione, stella fissa ed assoluta del cielo transumanista, non sempre è un avanzamento, o progresso, e comunque se la metafisica può essere accusata di fideismo, uguale addebito può facilmente colpire il dogmatismo scientista. Ma poi, che cosa faremo di tutti gli uomini non perfetti, quelli come me e voi? Chi stabilirà diritti, doveri e limiti, e poi, domanda massima, quella da un miliardo di dollari, siamo certi che sia desiderabile vivere indefinitamente? E qual è il significato di migliorare l’essere umano?
Clive Stapleton Lewis, il grande autore delle Cronache di Narnia e delle Lettere di Berlicche, additò come pericolo mortale l’abolizione dell’uomo, che risiede nella distruzione dei fondamenti della nostra morale, sottolineandone l’evidenza per l’umanità tutta, poiché su di essa poggia la sopravvivenza dell’uomo in quanto uomo. Egli dimostra inoltre, con una rapida lettura attraverso tutte le grandi culture, come tale evidenza sussista ovunque. Non rimanda solo all’eredità etica dei greci, che seppero indurre l’uomo a cogliere la razionalità dell’essere, ma si rifà anche al primo induismo e alla sua nozione di Rta, che significa armonia fra ordine cosmico, virtù morali e cerimoniale del tempio.
Lewis sottolinea in modo particolare la dottrina relativa al Tao dei cinesi:
”Esso è la natura, esso è la via, la strada. Esso è il modo in cui tutto si muove… Esso è anche la via che ogni uomo deve battere”.
C’entra tutto questo con la selezione degli esseri umani, con l’aborto eugenetico, con la creazione di embrioni perfetti, con l’uso della nanotecnologia senza interesse per le conseguenze, come la privazione, o il controllo della coscienza e della stessa libertà? Possiamo accettare senza problemi la criogenizzazione, il congelamento del corpo umano defunto? E, diciamolo francamente, possiamo accettare, se non individualmente e volontariamente, una concezione del corpo, per cui siamo destinati a diventare un magazzino di ricambio di organi da espiantare? E poi, ci sezioneranno davvero da morti, o faranno tutto in fretta e furia, spesso per denaro e scegliendo i destinatari in base al censo, alla raccomandazione, all’iscrizione al partito di governo?
Il transumanesimo, dunque, non è una nuova forma di umanesimo laicista e scientista, ma un vero e proprio antiumanesimo intriso di violenza, teso all’eliminazione come cosa inutile l’uomo vulnerabile, fragile, imperfetto, in nome di fini astrattamente desiderabili, ma che in concreto aboliscono, non superano, non oltrepassano, l’uomo.
Figlio del nichilismo della libertà è il nichilismo della tecnica: le tecnoscienze sono divenute un diffuso apparato mentale in cui il valore della verità è assorbito dal criterio di utilizzabilità e strumentalità.
Si dissolve il senso dell’essere, estinto nella manipolazione del mondo e dell’uomo. Martin Heidegger, nel suo linguaggio oscuro, ma evocativo, riconosceva già negli anni Trenta del Novecento che il nichilismo è occuparsi dell’essente dimenticando l’essere. A beneficio dei non filosofi, che sono per fortuna l’immensa maggioranza dell’umanità, il gigante di Messkirch intendeva dire che ci occupiamo delle cose, dipendiamo dalle cose, e trascuriamo l’essenziale, il senso, la direzione della vita.
Vogliono così, giacché il nichilismo, di cui il transumanesimo è un aspetto, significa disperazione, balia degli eventi, paura, facilità, addirittura desiderio malato di essere trasformati in strumenti o cose. I grandi oligarchi del mondo hanno deciso per noi: dobbiamo diventare docili strumento del consumo compulsivo, senza identità, senza famiglia, senza amore, gregge da guidare al mattatoio ad un cenno del pastore.
Abbattere lo spirito umano, spegnere la scintilla divina che ognuno, almeno una volta nella vita, sente farsi fiamma nel suo cuore, è un’operazione profonda, una manovra complessa che richiede tempo e denaro.
Ci stanno riuscendo: con la teoria del ”gender” e l’omosessualismo decostruiscono la famiglia e l’identità fisica degli uomini, con le tecniche transgeniche cambiano la nostra alimentazione ed il nostro corpo, con impianti di microchip e tecniche di persuasione di massa ci convincono di qualsiasi bestialità, con le tecnologie di telecomunicazione sanno dove siamo e che cosa facciamo, attraverso le reti sociali forniamo spontaneamente ogni informazione su di noi. Ci hanno persino convinti che la democrazia è bombardare chi non vede il mondo con i nostri occhi.
Eppure, non vinceranno, alla fine, se almeno un pugno di uomini liberi e moralmente forti, si comporteranno come John il Selvaggio, del Mondo Nuovo di Aldous Huxley, un ribelle, uno dei pochi che non si sottomette alla tecnodittatura degli uomini Alfa. Egli non cede e lancia un suo grido di sfida: Io non ne voglio di comodità. Io voglio Dio, voglio la poesia, voglio la libertà, voglio la bontà, voglio il peccato. Insomma, disse Mustafa Mond: Voi rivendicate il diritto di essere infelice. Ebbene sì, disse il Selvaggio in tono di sfida, ”io reclamo il diritto di essere infelice”.
E se l’uomo è antiquato, viva l’antiquariato.
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