Vorrei tornare a esaminare quella che è forse la questione più dibattuta nei nostri ambienti: siamo di destra oppure no, e prima ancora, essere di destra che cosa significa realmente?
Dico subito in premessa a questo discorso, che intendo parlare di idee, a prescindere dagli schieramenti e dalle persone che pretendono di incarnarle. Lo scopo che mi ripropongo è darvi spunti di riflessione, non indicazioni di voto.
Alcuni di noi sostengono che non possiamo essere considerati né di destra né di sinistra, perché l’uno e l’altro termine sono connessi allo schieramento parlamentare, e noi non ci riconosciamo nel parlamentarismo, era questa ad esempio l’opinione dello scomparso Alberto M. Mariantoni. Si tratta di un’opinione di certo non infondata, ma che forse semplifica un po’ troppo le cose.
Uno dei libri che troviamo nella bibliografia di Julius Evola è Il fascismo dal punto di vista della destra (o Il fascismo visto da destra in alcune edizioni). La destra che Evola aveva in mente e nella quale si riconosceva, di certo non aveva nulla di parlamentare. D’altra parte, pensiamo al marxismo-leninismo “classico” concretizzato nel XX secolo dall’Unione Sovietica e poi dai suoi molti cloni, non abbiamo dubbi nel collocarlo a sinistra, e anche in questo caso siamo molto lontani dal parlamentarismo.
In senso lato, e a prescindere da collocazioni parlamentari, possiamo definire la sinistra quel movimento di trasformazione del potere che negli ultimi tre secoli l’ha portato a cambiare dimora passando “dai castelli alle banche” (questa frase, coniata per definire l’insurrezione parigina del 1830, in effetti descrive bene in sintesi tutto il movimento rivoluzionario nel suo complesso) e provocato la decadenza del nostro continente, passato da insieme di potenze egemoni a livello planetario, attraverso due guerre mondiali, a provincia dell’impero americano, e destra le forze che si sono opposte/si oppongono a questo mutamento.
A questo punto, bisogna considerare un’obiezione facilmente prevedibile: a questo movimento non si è accompagnato forse nel mondo occidentale un generale miglioramento delle condizioni di vita, non è forse nata la società del benessere?
Si tratta di una concezione data da molti per scontata, un concetto che è riassunto nella parola “progresso”. Beh, si tratta forse di una delle più grandi favole dei tempi moderni. A ben guardare, i miglioramenti delle condizioni di vita si devono agli sviluppi delle scienze, della tecnologia, delle conoscenze in ambito sanitario, allo sviluppo dell’industria che ha reso disponibili grandi quantità di beni, e non devono nulla al “progressismo” politico, non solo ma quest’ultimo il più delle volte ha agito in senso nettamente contrario, pensiamo, per dirne una, alla “crociata” contro la genetica e le scienze biologiche condotta in Unione Sovietica ad opera di Lysenko.
Parlare di miglioramento della condizioni di vita, diventa una mostruosa ironia se pensiamo ai milioni di persone la cui vita si è conclusa nei gulag sovietici, nei laogai cinesi, nell’inferno jugoslavo di Goli Otok, nella Cambogia dei Khmer rossi divenuta per intero un immenso gulag, nelle “riserve” in cui i democratici yankee hanno democraticamente confinato i nativi americani, al fatto che “l’unica democrazia del Medio Oriente” usa oggi gli stessi metodi per portare all’estinzione i Palestinesi.
Al contrario, pensiamo all’incentivo dato allo sviluppo da regimi di segno nettamente contrario a quello sedicente progressista: il fascismo italiano, tanto per cominciare: neanche i più accaniti antifascisti riescono a negare che esso ha dato un contributo decisivo alla modernizzazione di un Paese che fino alla prima guerra mondiale presentava pesanti sintomi di arretratezza, e posto le basi di quello sviluppo che si è verificato negli anni ’50 e ’60 nonostante le distruzioni del secondo conflitto, e cosa dovremmo dire del fatto che la tecnologia spaziale di cui disponiamo oggi nasce da invenzioni avvenute in Germania sotto l’egida del regime che l’ha governata dal 1933 al 1945?
L’anticomunismo ieri, e oggi l’avversione per una sinistra pro LGBT e immigrazionista che in un certo senso si rivela anche peggiore del marxismo-leninismo “classico”, sono certamente elementi che ci accomunano alla destra, ma bisogna vedere se alla coincidenza sul negativo se ne accompagna una sul positivo.
Per stabilire ciò, occorre rispondere a una domanda più difficile di quel che potrebbe sembrare a prima vista: cosa è la destra?
Manca in questo caso un riferimento univoco come potrebbero essere stati per la sinistra, almeno quella ante 1989, perché oggi la sinistra è ancor più confusa della destra, Il Capitale e Il Manifesto di Karl Marx. Il meglio che è possibile fare, è ricorrere a un criterio statistico. Perlopiù, mi pare si possa dire sono tipici della destra i seguenti elementi: patriottismo, liberismo, cattolicesimo, europeismo, atlantismo. Vediamo di fare di ciascuno di essi un esame dettagliato.
Patriottismo: a priori sembrerebbe essere una bellissima cosa, una scelta addirittura ovvia, ma c’è una forte ambiguità su cosa significhi essere italiano, su chi possiamo riconoscere come nostro compatriota, su quali siano gli elementi che caratterizzano l’italianità. Cosa significa essere italiani? Parlare italiano, vivere in Italia o anche esserci nati? Identificarsi in una serie di simboli quali il tricolore, l’inno di Mameli, la costituzione (antifascista) del 1948? Tutto ciò non sono che – usando una brutta parola mutuata dal gergo marxista – sovrastrutture, o – con un termine più diretto e brutale – orpelli.
Essere italiani, a mio parere significa una sola cosa: essere di sangue italiano. Sarà passato un paio d’anni ma ricordo che in risposta a un mio articolo, un lettore mi rimproverò asserendo che avevo una concezione troppo germanica della nazionalità, Blut und Boden, che il “nostro” patriottismo privilegia principalmente gli elementi culturali. Ho dovuto ammettere che in un certo senso aveva ragione: anche il fascismo ha commesso questo errore legato a una concezione ottocentesca della nazionalità, pensando ad esempio di trasformare gli esponenti delle minoranze slave del nord-est in “nuovi italiani” obbligandoli a parlare italiano, con il risultato che a partire dall’8 settembre 1943, questi ultimi sono stati i più accaniti nel perseguitare gli italiani veri gettandoli nelle foibe, e si possono nutrire pochi dubbi sul fatto che i “nuovi italiani” provenienti dall’altra parte del Mediterraneo, appena gliene si presenterà l’occasione, ci mostreranno altrettanta riconoscenza.
Risposi a quel lettore che se germanizzarci era il prezzo per evitare l’africanizzazione dell’Italia, mi sembrava un prezzo assai piccolo da pagare.
Nel 2011, come sappiamo, è ricorso il centocinquantenario dell’unità italiana, concretizzatasi dopo 15 secoli di assenza di uno stato italiano, con la proclamazione del regno d’Italia avvenuta il 17 marzo 1861. In quella circostanza, il governo di allora, a maggioranza PD, si scoprì un’inedita ventata di patriottismo. Noi sappiamo che la scuola italiana è purtroppo vittima di un’egemonia della sinistra, e quella dove ho lavorato fino a poco tempo fa non faceva eccezione, ebbene in quel periodo diversi colleghi giravano col distintivo-coccardina all’occhiello.
Timeo danaos et dona ferentes. Di tutto ciò che viene dal PD bisogna diffidare, e infatti il trucco c’era e non occorreva molto per accorgersene. In effetti, era tutto uno spot in favore dell’accoglienza dei “nuovi italiani” che italiani non saranno mai. “Patriottismo”, ma occorre mettere bene i puntini sulle “i” per evitare di cadere in trappole del genere.
Liberismo: Oggi pare che tutti siano liberisti, la sinistra non meno della destra, al punto che pare che l’abbandono delle idee socialiste in campo economico abbia prodotto quello che viene chiamato pensiero unico.
Il crollo del comunismo sovietico nel 1989-91 sembra abbia prodotto un generale ripudio delle idee socialiste nel senso più lato, cioè di controllo degli stati sull’economia a fini di equità sociale, e questo a una considerazione superficiale, sembrerebbe il classico “buttare via il bambino assieme all’acqua sporca”. In realtà le cose non stanno così. A partire dal 1968 e dai cosiddetti movimenti contestatori, infatti, i partiti di sinistra sono stati largamente infiltrati da elementi borghesi e altoborghesi, che mantenendo la simbologia e la retorica marxista, hanno in realtà perseguito i loro interessi di classe, e per i quali il socialismo marxista era diventato una “pelle” sempre più stretta da cui liberarsi alla prima occasione, occasione che appunto si è presentata con il tracollo dell’Unione Sovietica. Ora, è visibile che tutte le “riforme” intraprese negli ultimi trent’anni in ogni settore, hanno coinciso con altrettante riduzioni dello stato sociale e della capacità dell’intervento regolatore dello stato nella vita associata, in un perfetto accordo, che non può certo essere una coincidenza, con i desideri del Nuovo Ordine Internazionale, il NWO, che coincide con il controllo del mercato a livello planetario di un numero ristretto di famiglie dell’alto capitale bancario e finanziario.
Mentre il liberismo “di sinistra” prospera, quello “di destra” appare sempre più asfittico e perdente, per una ragione molto semplice: al NWO le “riforme” che gli interessano è molto più conveniente farle fare a governi di sinistra che la gente continua a percepire falsamente come “dei loro”, laddove fatte da governi di destra, spingerebbero la gente sulle barricate. A persuaderci dell’impossibilità di mantenere oggi politiche economiche liberiste, è proprio la formula “classica” del pensiero liberale, “libertà quanto è possibile, stato quanto è necessario”, sapendo che oggi occorrerebbe molto più stato che in passato, con una presa ben più salda sull’economia, per resistere alle pressioni del NWO, ovviamente parliamo di uno stato molto diverso dall’attuale repubblica che ci affligge da tre quarti di secolo. L’unica via percorribile rimane quella del socialismo nazionale.
Tocca a noi farci carico della difesa di quelle classi popolari che la sinistra ha “smarcato” e tradito, intenta a costruirsi un nuovo “popolo” fatto di LGBT e immigrati.
Cattolicesimo. Cosa ne penso del cristianesimo in generale e del cattolicesimo in particolare, ve l’ho spiegato più volte e ora non mi sembra il caso di rivoltare il coltello nella piaga. Diciamo solo questo: in teoria politica e religione dovrebbero procedere senza interferenze reciproche, ma nell’Italia che ha il dubbio onore di ospitare il Vaticano, le ingerenze della Chiesa cattolica nella nostra vita associata sono e sono sempre state enormi e continue. Tempo addietro, il presidente Mattarella si dichiarò fiero della laicità dello stato italiano. Mi parve di sentire un olandese che si dichiarasse fiero delle sue montagne, o uno svizzero fiero del suo mare.
Questo è particolarmente pericoloso nel momento in cui in Vaticano, a capo della Chiesa cattolica siede un uomo come Bergoglio, immigrazionista e mondialista, che dedica tutte le sue energie a farci accettare i migranti e la sostituzione etnica. I cattolici non di sinistra, coloro che non accettano l’idea che l’Italia si trasformi in un suk, saranno sempre più costretti a una scomoda scelta tra le loro idee e la loro fede, è inevitabile e di questo non ha certo colpa Fabio Calabrese. D’altra parte, la scarsa resistenza dimostrata dalla cosiddetta fraternità di san Pio X, il gruppo lefevbriano, una volta scomparso il suo fondatore, rientrato nei ranghi in ginocchioni e in silenzio, ci fa pensare che costoro saranno sempre pronti a cedere alle sanzioni delle autorità ecclesiastiche, e che ben pochi avranno il coraggio di quella rottura netta che sarebbe invece indispensabile.
Europeismo. Oggi l’Europa e i popoli europei sono sotto quella che è forse la minaccia più grave della nostra lunga storia, rappresentata da un’invasione che non avviene sotto la forma di un’aggressione militare, ma di un’immigrazione clandestina che alla lunga porterà alla sostituzione etnica, alla scomparsa degli Europei nativi, alla morte dei popoli europei. Di questo passo, faremo la fine dei nativi americani senza nemmeno la soddisfazione di un ultimo Little Big Horn.
Una nuova solidarietà tra europei per scongiurare questo nefasto destino sarebbe più che mai indispensabile, ma ciò che comunemente si intende per europeismo, non ha nulla a che fare con questo, anzi potremmo dire che è all’atto pratico la sua negazione. Il termine “europeismo” oggi è comunemente usato per indicare i sostenitori della UE. La UE, questa cosiddetta Unione Europea, costruita per imporre ovunque il dominio delle banche centrali e sfruttare i popoli europei, non è che la sponda europea del NWO, nulla in cui ci possiamo riconoscere, anche qui uso un’espressione alla quale sono ricorso più di una volta: è l’Europa tanto quanto un cancro è l’uomo che ne è affetto. Quale dovrebbe essere la nostra posizione mi sembra chiaro: europei fino al midollo, “europeisti” no di certo.
Atlantismo. Forse non sarebbe nemmeno il caso di parlarne, o non lo sarebbe se un atteggiamento di fedeltà (in senso canino) al Patto Atlantico non fosse sciaguratamente diffuso in abbondanza nella destra (ma non solo). Quando fu sottoscritto, esso effettivamente poteva sembrare una rete di alleanze creata per fronteggiare la minaccia sovietica. Molti di noi l’hanno visto come un male minore rispetto all’annessione dell’intera Europa al dominio comunista, e adesso è inutile, con il senno di poi, come talvolta succede, polemizzare con i morti, uomini di un’altra epoca che sono vissuti in un contesto diverso. Il problema non sono loro, ma coloro che sono atlantisti oggi.
La caduta dell’Unione Sovietica e il trentennio trascorso da allora hanno dimostrato che il Patto Atlantico e la NATO non sono un sistema di alleanze che, se davvero fosse stato creato per prevenire la minaccia sovietica, si sarebbe dovuto dissolvere al cessare di quest’ultima, ma un vassallaggio che tiene gli stati europei assoggettati agli Stati Uniti. Se ai tempi della Guerra Fredda essi erano un “male minore” (cosa di cui retrospettivamente siamo tutt’altro che certi), oggi sono un male e basta.
Il dominio americano sull’Europa, economico, militare, culturale non è un semplice dato di fatto statico, ma un male progressivo, accompagnato da uno svuotamento sempre più accentuato della cultura europea, un “lavaggio del cervello” sempre più radicale cui siamo sottoposti ad opera del sistema mediatico composto quasi interamente da importazioni dagli USA. Per fare un paragone medico, non è una “semplice” paraplegia, ma una distrofia muscolare.
Di passata, dobbiamo ricordare che l’unica azione bellica in cui la NATO è stata impegnata come tale, è stata un’azione contro l’Europa, l’aggressione contro la Serbia nell’ambito dei conflitti della ex Jugoslavia, con l’intento palese di favorire l’islamizzazione dei Balcani e dell’intero nostro continente. Io penso sia indispensabile tenere vivo il fuoco della ribellione, chi guarda con favore alla NATO non è dei nostri.
Possiamo ora riassumere la questione: con la destra abbiamo certamente in comune il negativo, ieri l’anticomunismo e oggi l’avversione per una sinistra immigrazionista e LGBT. Per quanto riguarda gli elementi positivi, certamente il patriottismo, ma a una precisa condizione, quella di intendere la nazione come continuità di sangue che ci unisce agli antenati e alle generazioni future, altrimenti non è che orpello, retorica. Gli altri elementi della “mentalità di destra”: liberismo, cattolicesimo, europeismo, atlantismo, ci sono estranei “senza se e senza ma”. La conclusione è chiara: noi non siamo di destra.
Cosa siamo allora? C’è una parola semplice e chiara per definire quello che siamo o che dovremmo essere, una parola che però le leggi tiranniche della repubblica democratica ci impediscono di usare, una parola di otto lettere che non è “liberali”.
NOTA: Nell’illustrazione, statua della Dea Roma, fontana di piazza del Popolo (Roma).
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