Il 13 aprile ho avuto la sorpresa di trovare nella mia casella di posta elettronica questa sedicente “Dichiarazione di pace” che riporto integralmente (è possibile che anche voi abbiate ricevuto o letto da qualche parte un documento simile).
“Noi, giunti sui luoghi dove cento anni fa centinaia di migliaia di persone persero la vita in scontri fratricidi, determinati a sradicare la guerra dal nostro secolo, dichiariamo pace all’Europa e al mondo.
Consapevoli delle violenze in corso e delle minacce che incombono ci impegniamo a far venire meno ogni causa di guerra durante la nostra vita e ad essere attivamente costruttori di pace promuovendo il rispetto di ogni essere umano nella sua dignità e nei suoi diritti, eliminando ogni tipo di ingiustizia.
Considerato che la pace è un diritto umano fondamentale della persona e dei popoli, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti, ci impegniamo affinché questo diritto venga effettivamente riconosciuto, applicato e tutelato a tutti i livelli, dalle nostre città all’Onu.
Considerato che viviamo in un mondo di risorse naturali limitate, con una popolazione quadruplicata dall’inizio della prima guerra mondiale, abbiamo preso coscienza di essere tutti interdipendenti e decidiamo di gestire con saggezza ed equità queste risorse cosi come il prodotto del lavoro umano a beneficio di tutti e ciascuno, traducendo nei fatti la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Rifiutiamo la concorrenza tra esseri umani e tra Paesi e scegliamo la via della cooperazione tra tutti, della globalizzazione della solidarietà e dell’aiuto reciproco in ogni campo.
Rinunciamo alla violenza come mezzo per risolvere i conflitti tra individui e popolazioni.
Ci consideriamo responsabili gli uni degli altri e cercheremo di proteggere chi è vittima o minacciato di abuso o di violenza dovunque questo accada.
Per scrivere una nuova pagina della storia, invitiamo tutti a firmare questa Dichiarazione di pace e a impegnarsi con noi a ri-unire la famiglia umana.
Il 18 aprile 2015, nelle trincee di Sagrado, Savogna d’Isonzo, Gorizia, Nova Gorica (Slovenia), Drenchia, Tolmin (Slovenia), Monfalcone, Fogliano Redipuglia, a cento anni dall’entrata in guerra dell’Italia, più di tremila giovani studenti giunti da ogni parte d’Italia insieme ai loro insegnanti hanno letto questa Dichiarazione di Pace. Poche parole dense di impegni che possono aiutarci a fronteggiare le minacce che incombono e costruire fattivamente la pace. Firma anche tu la Dichiarazione di Pace! E organizza con noi una grande marcia delle donne e degli uomini per la pace da Perugia ad Assisi, il 9 ottobre 2016”.
E’ chiaro che, per quanto mi concerne, mi sono ben guardato dal sottoscrivere, così come chi la riceveva era invitato a fare, un documento del genere, esso tuttavia ci offre quanto meno il destro per una riflessione sul reale significato del cosiddetto pacifismo.
La guerra è certamente un’eventualità da scongiurare finché è possibile, significa sempre morte e distruzione, ma queste dichiarazioni di pacifismo mi ispirano una profonda diffidenza, ci sono circostanze in cui l’unica opzione praticabile è combatterla. Quando si subisce un’aggressione, quando il futuro della tua gente, della tua terra, dei tuoi figli sono in pericolo, l’unica alternativa è tra la lotta, la fuga disonorevole o andare al macello come un capretto.
La non violenza alla Gandhi ha precisi limiti, essa può funzionare soltanto finché è possibile fare appello a un certo fondo di umanità presente nell’avversario. Si può fermare un treno sdraiandosi sui binari solo se chi guida il treno è disposto a fermarsi per non schiacciarti, se proseguire la corsa per lui è più importante della tua vita, la tua protesta non violenta diventa un masochismo inutile.
Le religioni abramitiche se portate al giusto grado di fanatismo, sono lo strumento ideale per sopprimere questo fondo di umanità. Il terrorista islamico pronto a suicidarsi per la sua causa, non si preoccuperà certo della vita di coloro che ritiene i propri nemici, non sarà certo con la non violenza che lo si potrà fermare.
A onor del vero, bisogna dire che non è che i cristiani dei “bei tempi andati” fossero migliori degli islamici di oggi, basta ricordare la maniera atroce in cui fu martirizzata la sfortunata Ipazia, o le atrocità, le torture, le morti sul rogo inflitte dall’inquisizione ai sospetti di dissidenza.
L’ebraismo? Beh, basta leggere la bibbia con attenzione, notare il compiacimento nel descrivere le stragi compiute dagli israeliti nel nome del “Dio degli eserciti” che supponevano fosse alla loro testa, si capiscono molte cose, compreso il sionismo odierno, e si vede bene quale è la radice del fanatismo sia cristiano sia islamico.
Noi oggi siamo in guerra, una guerra “a bassa intensità” ma assolutamente reale e che non possiamo rifiutarci di combattere se vogliamo avere un futuro, siamo vittime di un’invasione mascherata da immigrazione, sapientemente manovrata dal potere dietro le quinte allo scopo di arrivare alla sostituzione etnica, di distruggere i popoli europei.
Questa realtà rende ancora più sospette le dichiarazioni di pacifismo come quella che ho riportato sopra. Occorre tenere presente che i cosiddetti migranti non si possono integrare, non hanno alcuna intenzione di integrarsi, cioè adottare la nostra cultura rinunciando alla loro, dovunque si insediano le loro comunità si formano “ghetti” di non-Europa dove le nostre leggi non valgono e non c’è spazio per noi, cellule tumorali che proliferano formando metastasi sempre più estese. L’integrazione non può avvenire che a senso unico, con la rinuncia da parte nostra a tratti sempre più consistenti della nostra identità “per non offendere” coloro che sono arrivati chiedendo accoglienza per carità e una volta insediati si comportano da padroni.
Chi fugge, che si sottrae al confronto, è un vigliacco e chi collabora con gli invasori con la scusa dell’integrazione, è un traditore. Se si dà alle parole il loro giusto significato, la situazione è drammatica ma semplice da capire.
La crisi che oggi dobbiamo affrontare non richiede lo spirito pacifista; per fare la pace, come per fare l’amore, ci deve essere il consenso da entrambe le parti, altrimenti è solo cedevolezza all’arroganza altrui, sono le attitudini guerriere quelle di cui abbiamo più che mai bisogno.
All’indomani delle stragi parigine del novembre 2015, i media fecero fare il giro del mondo a una lettera aperta ai terroristi scritta dal marito di una delle vittime, dai toni decisamente patetici. “Non avrete il mio odio”. Non si tratta di odiare o non odiare. Non si odia una bestia malata perché è una bestia malata, ciò non toglie che un cane idrofobo vada abbattuto.
In seguito agli stupri di Colonia, in Olanda, Paese che oggi sembra ogni tanto mostrare delle punte di buonismo ancora più deteriore di quello che alligna in Italia, a Rotterdam, c’è stata una manifestazione le cui foto hanno pure fatto il giro del mondo mediatico, di uomini che si sono messi in gonna “per solidarietà” con le donne tedesche. Penoso e ridicolo, le donne europee non hanno bisogno di uomini che indossino le gonne “per solidarietà”, hanno bisogno di uomini che si comportino da uomini, che le proteggano e le difendano, che mettano a posto come si deve gli invasori che le molestano, che sappiano rispondere con la durezza necessaria a uno stupro o a un’aggressione, sapendo bene che la legge è contro di noi nativi e a protezione dell’arroganza dell’invasore, perché le autorità delle cosiddette democrazie sotto le quali abbiamo la disgrazia di vivere, sono complici e strumenti della sostituzione etnica, quello che si chiama il piano Kalergi.
Ça va sans dire, il primo passo della nostra autodifesa dovrebbe essere non prestare orecchio alla voce dei traditori, lasciare vuote le chiese e le sedi dei partiti di sinistra, fare in modo che chi a Roma blatera da una finestra di piazza San Pietro, possa tenere i suoi sermoni ai piccioni.
Qualche volta sembra che il dio delle coincidenze si dia davvero molto da fare. Contemporaneamente alla “dichiarazione di pace” di cui sopra, mi è arrivato nella casella di posta un messaggio del nostro Luigi Leonini che riporta un articolo di Stefano Fait apparso sul sito “Informare per resistere” in data 19.12.2011, che forse rappresenta la replica migliore a questa “dichiarazione di pace”: 300 milioni di psicopatici se ne fregano della non violenza e dei diritti.
Prima di addentrarmi in un’analisi di questo testo, sono tentato di anticiparvi una frase che mi sembra la sintesi perfetta di tutto il nostro discorso: “Il pacifismo integrale e la nonviolenza senza alcun distinguo sono pratiche irresponsabili e suicide. Si è pacifici e nonviolenti solo con chi è pacifico e nonviolento. Con gli altri si lotta quando c’è da lottare”.
Ora noi, se abbiamo una certa capacità di riflettere sulle cose e non ci chiamiamo Barack Obama, possiamo facilmente capire che principi che da noi ci si ostina in maniera ridicola, una sorta di grottesco cascame della mentalità illuministica, a considerare universali, fuori dal mondo cosiddetto occidentale non hanno alcuna presa: non solo l’idea (chiamiamola così) pacifista, ma nemmeno quelle di libertà, diritti, stato rappresentativo (fingiamo per un momento che le cosiddette democrazie lo siano), e l’esempio più illuminante è probabilmente rappresentato dalle cosiddette “primavere arabe”, in realtà movimenti creati dall’esterno, a tavolino, per eliminare i rais dei vari stati arabi e sostituirli con élite di modello occidentale, che hanno prodotto solo nuove tirannidi, violenze, inasprimento dei fondamentalismi.
L’articolo ha un taglio prevalentemente psicologico, e questo fatto va tenuto presente, altrimenti i conti non tornano. 300 milioni di persone sono appena un quarto del numero degli islamici nel mondo. Gli psicopatici in questione poi non sono tutti mussulmani e non sono tutti i mussulmani, sebbene a mio parere non esista dubbio sul fatto che l’islam sia una “cultura” psicopatica.
E’ interessante osservare che la descrizione dello psicopatico dal punto di vista clinico è praticamente identica alla professione di fede di una religione abramitica, soprattutto islamica:
“Esibiscono la loro moralità ma sono privi di amore. Ipermoralisti, difendono i sistemi morali in modo ossessivo perché temono che venga a galla la loro assenza di morale. Seguono pedissequamente le ricette morali come chi è un pivello culinario. È facile notare la loro rigidità morale, l’adempimento forzoso dei propri doveri, l’osservanza puntigliosa di tutte le norme, la scrupolosità esagerata. Vedono il mondo in termini rigidi e manichei: quel che non gli piace lo detestano, quel che gli piace lo ammirano. La loro sofferenza è martirio, un’ideologia”.
Citazione da: Adolf Guggenbühl-Craig, Deserti dell’anima.
Ma un moralismo soffocante e puntiglioso che rivela la più assoluta mancanza di moralità, soprattutto nei rapporti con gli “esseri inferiori” che non appartengono alla comunità dei credenti, è tipico anche dell’ebraismo.
Come possono essere una società, una cultura, una religione psicopatiche se in essa, come in qualsiasi gruppo umano, gli psicopatici sono una minoranza? Non è difficile da spiegare:
“I traumi possono riguardare intere società, quando le crisi e le tirannie introducono discontinuità nella maturazione della personalità, fatta di dissociazione, rabbia latente e gregariato, tipica strategia di un autoritarismo votato alla soppressione dello spirito critico, dell’autonomia di giudizio, della voce della coscienza…
Le persone normali sono spaventate da eccessi di colpa, masochismo, auto-immolazione, auto-repressione. Colpa, ansia e vergogna inibiscono l’aggressività”.
Un rapporto assolutamente psicopatico caratterizza gli invasori cosiddetti migranti e il buonismo cattolico e sinistrorso.
“Gli psicopatici danno sempre la colpa alle vittime. Se funziona, le vittime si sentono in colpa e sono ulteriormente depotenziate (es. figlio vittima di padre violento che si scusa con lui per averlo disturbato e pensa che le botte sono meritate perché è cattivo e inutile come gli ha detto il padre). Nella Sindrome di Stoccolma la vittima si identifica col carnefice e finisce per riverirlo e per detestare i suoi avversari (che sarebbero i soccorritori)”.
La sindrome di Stoccolma, ecco la chiave per spiegare l’atteggiamento catto-sinistro, i senso di colpa di cui gli psicopatici si servono per manipolare le loro vittime, e con la quale gli idioti per scelta, i topi di sacrestia, di cellula del PD o dei Centri Sociali si auto-flagellano per le presunte colpe occidentali, compreso per lo stillicidio dei conflitti tribali, di cui gli africani e solo loro hanno responsabilità.
In più, nei catto-sinistri c’è una convinzione profonda di essere creature particolarmente nobili, in quanto riescono a vedere negli immigrati qualità positive che sono solo il frutto della loro immaginazione, a illudersi che costoro siano “risorse”.
L’ebraismo non è per nulla meglio dell’islam, e la “fede” mosaica è strettamente connessa alla mentalità sionista, e l’articolo riporta a questo riguardo una citazione tanto più notevole in quanto il suo autore, Gideon Levy, è un ebreo:
“Non si chiede agli Israeliani di dare qualcosa, ma di restituire ai Palestinesi ciò che è loro, la terra, l’autostima ed i loro diritti. Nessun ladro può pretendere qualcosa per restituire il maltolto. Solo uno psicopatico sarebbe pronto a distruggere un condominio o un intero quartiere per eliminare dei malviventi. Ma è quel che succede a Gaza”.
Naturalmente, le organizzazioni palestinesi che operano contro Israele non possono essere considerate terroristiche, sono le estreme forme di autodifesa di un popolo che lotta per la propria sopravvivenza. Semmai, terrorista è l’organizzazione, il sedicente stato sionista. Le organizzazioni terroristiche, quelle vere, come l’ISIS che ha fatto bagni di sangue in Europa, non hanno mai mosso un dito contro Israele, e ci sono fondati motivi per sospettare complicità con l’entità sionista.
Durante la sua visita a Gerusalemme, doverosa leccata al fondo della schiena ai suoi veri padroni, il nostro premier-ebetino ha pronunciato una frase memorabile secondo la quale “Israele è il nostro futuro”. Alla luce del fatto che Israele è uno stato dove gli immigrati (gli israeliani) hanno derubato, massacrato, emarginato, imprigionato, portato sull’orlo dell’estinzione la popolazione nativa (i palestinesi), le parole di Renzi assumono il significato di una sinistra profezia.
Noi non dobbiamo dimenticare che il terrorismo islamico è solo un effetto collaterale dell’invasione allogena dell’Europa, un effetto probabilmente non gradito da chi manovra i fenomeni migratori dietro le quinte, e vorrebbe che la sostituzione etnica fosse quanto più possibile “indolore”, silenziosa, inavvertita in modo da non provocare resistenze. Il male, quello vero, è la sostituzione etnica in quanto tale, la morte dei popoli europei, destinati nell’intenzione di chi comanda, a essere sostituiti da turbe di magrebini e neri, e quale religione dovessero professare questi ultimi: cristiana, islamica o che so io, è del tutto indifferente.
Quello in cui viviamo, non è tempo di pacifismi, rivediamo le magistrali parole di quest’articolo:
“Il pacifismo integrale e la nonviolenza senza alcun distinguo sono pratiche irresponsabili e suicide. Si è pacifici e nonviolenti solo con chi è pacifico e nonviolento. Con gli altri si lotta quando c’è da lottare”.
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