In anni in cui il dibattito teoretico è caratterizzato dalla marcia trionfale della filosofia analitica, sovrastruttura teorica del Gestell, dell’Impianto della tecno-scienza, qualsiasi scritto richiami l’attenzione sul senso autentico del filosofare, rappresenta una boccata d’ossigeno spirituale nell’asfittico panorama intellettuale del presente. In tal senso, uno studio di notevole rilevanza, dovuto a Roberto Radice, già allievo di Giovanni Reale e docente alla Cattolica di Milano di Storia della filosofia antica, va sicuramente segnalato. Si tratta di, Magica filosofia. Sapere occulto e sapere illuminato nel pensiero antico e arcaico, comparso nel catalogo di Morcelliana editrice (pp. 203, euro 19,00). Il volume, oltre che fornire un quadro esaustivo ed organico della problematica esplicitata nel titolo, è impreziosito da numerose illustrazioni che accompagnano il lettore in un viaggio affascinante nel lontano passato dell’umanità.
L’assunto centrale che muove le intenzioni dell’autore deve essere rintracciato nella domanda che, già negli anni Settanta del secolo scorso, Giorgio Colli si pose: cosa c’era prima della filosofia? Quale sapere aveva, fino all’VIII secolo a.c. circa, sostenuto l’umanità nel suo incontro con il mondo? Prima della filosofia, aveva sostenuto Colli c’era il sapere mitico-religioso, il sapere, che secondo modalità differenti, si era incarnato nelle straordinarie figure dei Sapienti. Solo alcuni tra loro potevano essere considerati, in senso proprio, filosofi. Rispetto a Colli, Radice, fin dalla prefazione del testo che presentiamo, precisa che i miti non nascono belli e pronti, ma sorgono per agglomerazioni di storie. Risulta, pertanto, necessario indagare ed interpretare: «la somma delle sue (del mito) variazioni» (p. 7). Allo scopo, per esplicitare il senso del titolo, egli rintraccia un tempo in cui magia e filosofia furono coeve, precisando che, a suo dire, la filosofia svolge, comunque, un ruolo giudicante rispetto alla magia e, più in generale, al sapere mitico. Con il che, la distanza dalle posizioni sapienziali di Colli è già marcata nettamente.
La magia viene presentata da Radice quale sapere generale che aspira: «a coinvolgere tutta la realtà, senza bisogno di spiegarla, ma tuttavia avvertendo in ogni fenomeno un cosmo sottointeso, un inframondo dotato di regole non eterogenee rispetto a quelle fisiche» (p.12). La magia, ab antiquo, si è presentata come tecnica atta ad agire su tale inframondo. L’artista del paleolitico che dipingeva sugli sfondi delle caverne gli animali, persuaso che essi fossero portatori di una forza insuperabile, come altri enti ed oggetti della realtà, pensava che le rappresentazioni iconiche consentissero il passaggio di tali potenze in lui. Tale atteggiamento mentale era ancora presente nelle teogonie del mito e nella dimensione religiosa. L’autore concorda con quanto espresso in tema da Dario del Corno. Questi ritiene che nelle culture arcaiche fosse impossibile discriminare, con chiarezza, l’elemento propriamente religioso da quello magico. Allo stesso modo, i primi pensatori greci assorbirono la visione del mondo del mito e furono sostenuti dall’intuizione che «la verità giace nell’abisso», e, quindi, come asserito da Eraclito, si spinsero nel profondo, scandagliarono l’abisso alla ricerca dell’arché.
La differenza tra il paleofilosofo e l’uomo religioso delle origini, va rintracciata nel fatto che il primo ha elaborato una strumentazione di decodificazione dell’abisso diversa da quella in possesso del secondo. Su di esse agì, secondo modalità preponderanti, la cultura sciamanica, ruotante attorno all’esperienza personale della trance. Questa fu interpretata quale «male sacro», aprente ad un’altra dimensione, secondo fasi e passaggi determinati: «Con ciò non si vuol dire che la magia abbia prodotto la filosofia, ma che le ha dato un campo di indagine estremamente interessante» (p. 30). Momento capitale dell’interazione di filosofia e magia lo si ebbe nel fenomeno dello sprofondamento degli dei, attuato di fatto dai primi pensatori che assimilarono dio e divino all’arché (acqua, aria, indefinito). Da qui il riferimento costante dei presocratici, non alla religione olimpica, ma a quella misterica ed orfica, il cui senso è stato pienamente esemplificato dalla potestas dionisiaca. Con Dioniso, chiosa Radice, cambia la collocazione dell’anima: «nel paleolitico sembrava immergersi nel fondo della natura […] qui invece si prospetta come un al di là esclusivamente umano» (p. 46). Le regole fondamentali che dominarono la filosofia magica furono il principio del «simile-col-simile» e la simpatetica «unità del tutto».
Alla loro luce, preghiere e litanie potevano produrre effetti necessari e meccanici, in quanto suscitanti l’unità con gli dei invocati. In tale idea è implicita la credenza che il cosmo sia la solidificazione di una «vibrazione universale» (la cosa è stata ribadita dall’etnomusicologo Marius Schneider). Con Platone si produsse la frattura tra sensibile e sovra sensibile e furono gettate le premesse della scissione moderna di soggetto ed oggetto, di teoria e prassi. Paradossalmente, però, a muovere dalla dottrina platonica dell’anima, implicante la capacità di quest’ultima di porsi in comunicazione con tutti gli altri enti di natura, la magia tornò ad avere una positiva considerazione a partire dal neoplatonismo di Proclo e Giamblico: «da scienza occulta qual era, assunse la dignità di sapienza» (p. 147). Anziché trascinare gli dei nel mondo, l’uomo ascendeva ad essi. Sinteticamente ed in conclusione, per Radice, la filosofia pur essendosi sviluppata, per un certo lasso di tempo in sintonia con la magia, aveva inscritta, nella stessa idea di arché, la possibilità della falsificazione che l’avrebbe resa migliorabile, emendabile nel suo percorso storico.
Noi restiamo convinti, con Colli, con Tonelli ed anche con Susanetti, che hanno dato sviluppo alle intuizioni sapienziali del pensatore torinese, che il filosofare debba recuperare la sua costitutiva dignità tornando a proporsi come quel sapere cha sa il mondo essere espressione di altro. Le cose, pertanto, con Leopardi, non sono mai quello che dicono di essere e la filosofia, deve mostrare, come nel cosmo sempre si dia, per dirla con Donà, la possibilità dell’impossibile. Che la filosofia, allora, torni davvero ad essere magica!
Giovanni Sessa