Maglietta rossa la trionferà, evviva l’immigrazione in gran quantità. L’esibizione di esponenti delle sinistre sotto choc, orfani del potere, vestiti con magliette rosse in segno di solidarietà con i “migranti” può essere derubricata a folklore estivo o liquidata con una battuta come quella con cui abbiamo iniziato l’articolo. Ci sembra invece necessaria una riflessione, giacché il tema dell’immigrazione non è uno dei tanti problemi all’ordine del giorno, ma è il problema per eccellenza della nostra epoca, esito naturale del processo sovrastante, la globalizzazione nella forma della privatizzazione del mondo, fonte di povertà generalizzata unita all’abolizione della sovranità nazionale e di quella popolare. Se le sinistre occidentali stanno perdendo terreno nonostante l’immenso potere che detengono nella cultura, nella scuola, nell’intrattenimento, nel possesso del linguaggio e nella formazione delle coscienze, è dovuto alla combinazione di due fattori principali: l’abbandono dei ceti popolari autoctoni al contrattacco “di classe” delle oligarchie transnazionali, e il disprezzo per le identità nazionali, sociali, popolari, spirituali, per usi e costumi dei popoli europei, a cui preferiscono le masse terzomondiste. Tuttavia, anche queste motivazioni non spiegano la bancarotta ideale e programmatica progressista, la cui causa profonda è avere assunto le ragioni, accolto i punti di vista, difeso gli interessi del nemico di ieri.
Il simbolo della maglietta rossa, dunque, non è un semplice ritorno nostalgico al passato, ma una vera e propria disperata chiamata alle armi, ancorché in nome di un obiettivo poco popolare, la difesa dell’immigrazione di massa, percepita come invasione da una parte crescente dell’opinione pubblica per le sue dimensioni e per le modalità di cui abbiamo preso coscienza. Contro Matteo Salvini, l’uomo delle felpe, il nuovo nemico assoluto – di cui le sinistre hanno bisogno come dell’aria per respirare -viene alimentato un odio disgustoso, il cui simbolo è la maglietta rossa. La novità è che l’invenzione non è di parte comunista, ma proviene da un prete poco devoto al suo ministero, mediatico e schierato a sinistra, don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione antimafia Libera, abituale oratore alle manifestazioni del 25 aprile. Non è un caso: i comunisti superstiti hanno perduto la bussola, l’opera di rianimazione della sinistra non può provenire dai becchini del progressismo libertario neoborghese. Viene in soccorso la chiesa cattolica, o quel che ne resta. Don Ciotti ha scelto il colore giusto: il rosso antico che, chissà, potrebbe significare anche porpora cardinalizia. Nella neo Chiesa della “puzza di pecora” (parole di Jorge Mario Bergoglio) nulla può stupire, tranne la fedeltà al deposito della fede. Hanno trovato una nuova ragione di vita: meno evangelizzazione, dottrina poca o punta, tutto per i migranti. Migrante: un participio presente, un vocabolo “liquido”, una condizione provvisoria come la società intera. Don Ciotti, quelli della maglietta rossa e un vasto settore d’élite (!!!) hanno trovato l’uomo, come Diogene: homo migrans, il nuovo sottoproletario, il prolet di Orwell. Pazienza per la caduta di stile del giornalista medio orientale Gad Lerner, fierissimo nella sua maglietta troppo stretta, fotografato con Rolex al polso. Il nuovo simbolo piace alla gente che si piace.
Esistono due attitudini uguali e contrarie delle avverse tifoserie: la curva Salvini detesta gli immigrati, la tribuna Ciotti, Saviano, Lerner ha in uggia la gente comune che non vuole immigrati. Entrambe le parti sbagliano avversario. Non si può detestare lo straniero come tale, né disprezzare la sua condizione: il nemico è il sistema di potere che sradica, induce, costringe alle migrazioni, sfrutta, ingrassa su di esse. Schiavista è Soros con la sua ricca Open Society, schiavisti e negrieri gli scafisti delle centrali che per scopi di dominazione planetaria impongono la globalizzazione. Ci tediano da decenni con le cosiddette quattro libertà: dei capitali, delle merci, dei servizi, delle persone. L’esito è sotto gli occhi: l’Africa attraversata da milioni di giovani uomini, le sabbie della Libia un magazzino umano a cielo aperto, le navi “umanitarie”, i tanti che si arricchiscono di là e di qua del mare. Le città e i paesi pieni a scoppiare di giovanotti nullafacenti: come potrebbe essere diversamente? Vanno alimentati, curati, e poi? Maglietta rossa non trionferà, perché ha già vinto il cosmopolitismo delle oligarchie nemiche. Migranti a vita gli uni, nomadi per scelta imposta dall’alto noi, specie i giovani. Lì c’è il nemico, e bisognerebbe davvero che i vecchi arsenali ideologici, incapaci di rappresentare il presente, venissero abbandonati per sempre. La sinistra indossa la maglietta rossa che garantisce gli interessi del Signore e irrita il Servo, continuando a giocare per la squadra avversaria. La destra abbaia agli immigrati, ma non mette in discussione il modello generale, la cui fosca coerenza porta più stranieri, meno diritti sociali, maggiore insicurezza, fine di secolari appartenenze, frantumazione di ogni equilibrio comunitario, deserto di principi condivisi.
Le due tifoserie perdono entrambe la partita. Don Ciotti, dal canto suo, segue le orme di tanti sacerdoti (religiosi?) che hanno scambiato l’agostiniana città di Dio con la Babilonia degli uomini. Pensiamo a Don Mazzolari, convinto che il difetto del comunismo fosse il materialismo, rimosso il quale cristianesimo e marxismo erano destinati a incontrarsi. Un ingenuo, come il Don Milani della Lettera a una professoressa, cantore sospetto dell’amore per i ragazzi poveri, profeta di un 68 clericale. Il peggiore fu probabilmente Giuseppe Dossetti, l’ex politico divenuto monaco, un ruolo importante nel Concilio, finissimo intelletto per il quale la Costituzione era il Vangelo. Bizzarra analogia con Lutero: sola scriptura. Forse ciò spiega l’insistenza con cui settori cattolici, come i gesuiti della stagione palermitana Sorge e Pintacuda, hanno lavorato sul concetto di “legalità” tanto caroa Ciotti. Per una nobile causa, lalotta alla mafia, il fine giustificava i mezzi, nonostante l’avversione per Machiavelli, ma intanto si scambiava la legalità (ovvero l’imperio concreto della norma vigente) con la legge naturale. A essere conseguenti, non i progressisti, ma i cattolici alla Ciotti dovrebbero essere i più intransigenti difensori dell’aborto – una legge dello Stato- e del matrimonio omosessuale. E’ legale, quindi è giusto. Vero Don Ciotti che ha sostituito il maglione scuro – di abito talare o di clergyman nemmeno a parlare – con la maglietta rossa rivelando finalmente i suoi sentimenti?
Trasformati in guru della sinistra in gramaglie, i preti dovranno aggiornarne il linguaggio. Magare convincere i compagni di magliette a ritrovare un pezzo del vecchio armamentario della sinistra d’antan. Assunto il linguaggio dei “padroni”, non sanno più nulla di rapporti di produzione, esercito industriale di riserva (ieri le donne, oggi gli immigrati), confondono l’internazionalismo con il cosmopolitismo, la libertà con la liberazione, i diritti individuali con quelli popolari. Certo, il nemico ha bisogno di un volto e di un nome. Più facile prendersela con il Sciurpadrun da libeli braghi bianchi. Lo incontravi davvero, era arrogante e sfruttava. Adesso ci sono i manager, i CEO, i dirigenti delle grandi corporazioni multinazionali, i vertici delle entità finanziarie, gli sconosciuti che manovrano la Borsa con la collaborazione decisiva di matematici e informatici abili nell’elaborazione di algoritmi, le “autorità monetarie”, gli azionisti speculatori a breve termine. Sono più potenti dei commendatori di ieri, più violenti, sfruttano in maniera più completa e subdola, guadagnano incomparabilmente di più degli industriali del secolo passato. Però non si vedono, e quando appaiono fingono progressismo, filantropia. Indossano magliette grigie come Zuckerberg, maglioni griffati come Marchionne. La proprietà “dei mezzi di produzione”, che oggi non sono più le officine, ma l’apparato tecnologico, informatico e finanziario è divenuta opaca. Eppure sono gli stessi di prima, anzi il loro numero è inferiore al passato, poiché la concorrenza vale innanzitutto all’interno. Hanno abbattuto senza pietà migliaia di imprese radicate nel territorio, nulla può importare loro della deportazione di milioni di uomini, se serve a destabilizzare i popoli e rafforzare il loro dominio.
Svegliatevi, magliette rosse, e svegliatevi anche voi, tifosi di Salvini. Il nemico non è l’uomo nero – di pelle o di presunta ideologia – ma il sistema globale, quello che esternalizza il lavoro, lo delocalizza, poi elude per migliaia di miliardi le imposte poiché non ha un territorio, ma solo delle sedi, di preferenza in luoghi chiamati paradisi fiscali. Nemica è la razza apolide dei finanzieri creatori di denaro dal nulla, che generosamente prestano cliccando su uno dei loro server. Infine si appropriano del nostro lavoro chiedendoci in denaro e beni reali ciò che hanno finto di concedere come promessa di credito, gravato da interessi. La vecchia e nuova sinistra ha sottovalutato, nonostante i moniti del giovane Marx, il ruolo della finanza e il gioco diabolico della moneta. Gli immigrati solo soltanto le ultime vittime, simbolo dolente, inconsapevole della globalizzazione tesa alla omogeneizzazione zootecnica dell’uomo, prima persona, poi cittadino, indi individuo, risorsa umana, e, di caduta in caduta nomade, precario, migrante. L’invasore che ci aspetteremmo di vedere smascherato e combattuto dalle magliette rosse, è il feudalesimo di ritorno, con il suo parterre di vassalli, valvassori e valvassini, cui, per le mutate esigenze di produzione e riproduzione del sistema, non interessano servi della gleba legati alla terra, ma nomadi transumanti da un capo all’altro del mondo, schiavi da spostare come su una scacchiera o su un modello di giochi di guerra.
Per questo lottano accanitamente per abbattere costruzioni politiche di cui si sono serviti in passato; gli Stati nazionali, troppo piccoli e coesi per i loro interessi, l’idea di democrazia e soprattutto a quella di sovranità. Hanno pressoché completato la demolizione della sovranità nazionale, adesso lavorano a schiacciare quella popolare. I popoli avevano diritto a votare con lo schema “un uomo, un voto” finché lorsignori erano in grado di prevedere, orientare e precostituire gli esiti, ma se il popolaccio si ribella, allora perché permettergli di esprimersi? Le obiezioni dei reazionari d’altri tempi contro la democrazia e il suffragio universale fioriscono sulla bocca dei servitori dell’oligarchia feudale e finanziaria. Ogni popolazione, da sempre, è diffidente verso gli stranieri. Lo afferma la parola stessa, che richiama l’estraneità. Ci fidiamo di chi riconosciamo, di chi parla e pensa come noi, di chi ha la nostra faccia e le medesime radici. Per questo le civiltà tradizionali hanno considerato sacro l’ospite straniero. Occorreva sottrarlo all’ostilità, riconoscerlo come essere umano titolare di dignità nella diversità. Gli stranieri, quando sono in numero modesto, sono in genere bene accetti. Allorché il numero allarma e il potere pubblico mostra di preferirli ai concittadini, come capita da anni, la musica cambia e la gente ritorna, confusamente, popolo.
Le magliette rosse sono il segno visibile di chi preferisce gli “altri” a “noi”. E non ci raccontino la storiella che non esiste l’Altro, siamo tutti fratelli e via dicendo. Soprattutto, non pontifichino da comodi pulpiti, salotti felpati, eleganti sotto e sopra la maglietta rossa, con il Rolex e la calcolatrice per valutare il profitto dell’affare dell’accoglienza. Il presidente dell’Inps, Boeri, un economista di regime, si affanna a raccontare che saranno gli immigrati a pagarci le pensioni. Due obiezioni, una di merito e una di principio. Come possono pagare le pensioni questi giovani maschi africani se non hanno un lavoro, e quando ne hanno uno, è precario e sottopagato, in concorrenza al ribasso con i milioni di poveri nostrani, afflitti da bassi stipendi e ancor più miseri contributi sociali? Inoltre, merita di sopravvivere il popolo italiano? Certo, non è una domanda per economisti, abituati ai modelli matematici, alla tabelle e alle previsioni fallite dal punto di vista dei cittadini comuni, ma assai favorevoli per le minoranze oligarchiche.
A Don Ciotti e al clero convertito alla nuova religione “migrante” non vale la pena rammentare le parole del papa detestato, Benedetto XVI, per il quale il primo diritto di un uomo è non dover migrare, ma vivere con decoro e dignità tra la propria gente. La Chiesa italiana, che una volta donava santi “sociali” religiosissimi come Don Bosco, Cottolengo, Don Orione, Don Gnocchi, dovrebbe chiedersi perché i seminari sono vuoti, deserte le chiese e poche coppie, anche credenti, si sposano davanti al prete. Il giornale locale dell’Alto Adige, terra di forti radici cattoliche, ha titolato in prima pagina che solo il 15 per cento dei matrimoni celebrati nella città di Bolzano avvengono con rito religioso. Indifferenti, le gerarchie pensano all’8 per mille e i preti di strada (o di potere come Ciotti) indossano le magliette rosse. Come capì Eliot ottant’anni fa, è la Chiesa ad avere abbandonato il suo popolo. Quella italiana, poi, è parte inscindibile dell’identità nazionale, nonostante tutto. Fa soffrire vedere tanti preti avversare la nazione che ospita la Chiesa romana.
Meglio supplicare i sinistri in maglietta rossa, da avversari di tutta la vita, di ritornare a difendere chi habisogno. Non è difficile trovarli: basta un giro nei mercati, negli uffici di collocamento, nelle onnipresenti agenzie di lavoro interinale, nelle code davanti alle istituzioni sanitarie. Promuovano, non importa sotto quale bandiera, un’alleanza tra chi lavora e chi vorrebbe farlo contro le oligarchie nemiche, traditrici dei popoli. Non indossavano magliette, non hanno mosso un dito contro le mille leggi che hanno privato dei diritti sociali la nostra gente. Hanno accettato norme contro il libero pensiero, a favore delle istituzioni finanziarie, delle banche, dei padroni del mondo. Ma non sopportano chi si oppone all’invasione programmata a tavolino da quegli stessi che ci hanno espropriati di ciò che era nostro.
Due categorie di collaborazionisti ci ripugnano: i chierici dimentichi di Dio e i progressisti da salotto con il dito alzato e le sopracciglia corrugate. Farisei e filistei. Amano il popolo, ma a debita distanza e se proprio non riescono a convincerlo, lo sostituiscono. Quante cose inconsapevolmente populiste scrisse un loro vecchio beniamino, Bertolt Brecht: “il popolo ha perso fiducia nel governo. Non sarebbe più semplice, allora, che il governo sciogliesse il popolo e ne eleggesse un altro?”Alcuni brani delle Poesie di Svendborg, sembrano fatti apposta per quelli delle magliette rosse: “I ben pasciuti parlano agli affamati dei grandi tempi che verranno. Quelli che portano all’abisso la nazione affermano che governare è troppo difficile per l’uomo qualsiasi.” Ed ancora: “al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico.” Dicono di essere dalla parte degli “ultimi”. Ma chi pensa a noi, i milioni di penultimi schifati dalle élite, traditi dalle sinistre politiche e beffati dalla Chiesa? Si guardino dalla collera dei penultimi, altro che magliette rosse.
ROBERTO PECCHIOLI
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