26 Novembre 2024
Società

Manipolazione, pubblicità, propaganda: una guerra cognitiva – Roberto Pecchioli

Che il potere lavori per manipolare l’opinione pubblica è cosa nota che riguarda ogni tempo. La differenza rispetto al passato è la potenza immensamente superiore dei mezzi a disposizione, scientifici, psicologici, culturali, comunicativi. In più vi è l’insidiosa convinzione di massa – a sua volta diffusa ad arte – che l’uomo contemporaneo sia più libero, autonomo, colto e riflessivo delle generazioni precedenti. Una miscela esplosiva che rende vincente la manipolazione e meno reattivo l’uomo comune, persuaso di agire, decidere, pensare liberamente.

Basterebbe a dissipare questa credenza una visita agli scaffali dedicati alla psicologia e alle scienze cognitive di qualunque libreria. Abbondano, straripano testi dedicati alle neuroscienze, alla PNL (Programmazione Neuro Linguistica) trattati e manuali dedicati all’arte di convincere – ossia manomettere la libertà altrui – collane dedicate all’ “assertività” e al cosiddetto linguaggio persuasivo. Una macchina efficientissima lavora alla nostra spersonalizzazione, a farci diventare preda di imbonitori di ogni specie. E’ la società-mercato, ovviamente, ma vi è qualcosa di più, un’autentica guerra cognitiva il cui obiettivo è conquistare la nostra mente, penetrare nelle coscienze per modificarle, strumentalizzarle , in definitiva per occuparle e dominarle.

La guerra cognitiva è una violenza psicologica costante esercitata sulla popolazione a fini di controllo e mistificazione. È una violazione del nostro cervello, delle nostre vite, delle nostre esistenze fisiche e sociali. La conoscenza e l’informazione sono i campi di battaglia. Dobbiamo diventare consapevoli di essere l’oggetto di una guerra, addirittura di essere un territorio da conquistare. Nessun complottismo: l’ attacco alla mente umana nella forma di guerra cognitiva è stato teorizzato negli ultimi dieci anni in ambito Nato ed è apertamente utilizzato come arma dal fatidico 2020. La dottrina relativa è stata sviluppata per scopi di “ gestione della percezione” , sostenuta da studi di brillanti équipe scientifiche pubblicati in documenti ufficiali dell’alleanza atlantica.

La guerra cognitiva deriva dal concetto militare di “ambito umano” (human domain) definito dall’ufficiale americana Kathleen Curthoys come “tutto ciò che attiene le cose relative agli aspetti socio-economici operativi, di partenariato, cognitivi e culturali, che implicano impegno e influenza”. Un importante documento elaborato da strateghi della Nato afferma che “se i cinque ambiti bellici principali (terra, aria, mare, spazio e cyberspazio) possono fornire vittorie tattiche e operative, solo il dominio umano può portare alla vittoria totale finale” (François du Cluzel, The cognitive warfare concept, 2020), ossia il completo controllo sulla popolazione. Concetti applicabili tanto nello scenario bellico vero e proprio in territorio nemico, quanto nell’ambito di una guerra cognitiva condotta per modificare idee, comportamenti, valori di riferimento .

Possiamo affermare che la menzogna è diventata una scienza. Ciò è evidente nell’ambito più pervasivo, quotidiano, onnipresente, della nostra vita, la pubblicità. Così scriviamo nel nostro Il principio verità (Nexus Edizioni, 2024) : “la pubblicità non fa appello alla ragione ma all’emozione. Come qualsiasi altro tipo di suggestione colpisce emotivamente per sottomettere intellettualmente. I suoi metodi soffocano le capacità critiche come un sedativo o un’ ipnosi. E’ l’opinione dello psicologo e psicanalista Erich Fromm , risalente al 1976, quando la pubblicità non aveva ancora raggiunto la perfezione tecnica e la capacità di improntare ogni aspetto dell’esistenza sino a colonizzare il linguaggio, modificare il comportamento e la visione della vita. La società occidentale contemporanea può ben essere definita società della propaganda, nella quale l’apparato pubblicitario è il primo fattore di determinazione del comportamento. Un autentico Gulag mentale imposto, in cui la menzogna si trasforma in una scienza i cui esperti detengono un formidabile potere per conto dei loro mandanti commerciali, politici, mediatici. “

La guerra cognitiva segna autentici trionfi attraverso la comunicazione pubblicitaria/propagandistica, le cui differenze sono ormai quasi indistinguibili. Pochi aspetti della società contemporanea sono insidiose quanto la pubblicità, la sua invadenza, il suo infiltrarsi ovunque, occupare l’immaginario, modificare non solo le abitudini di consumo, ma anche le condotte, le preferenze, i modelli sociali. Sono detestabili il suo ottimismo falso da imbonitori, le sue tecniche raffinatissime, la sua capacità di utilizzare – a seconda dei beni, dei servizi, delle idee che serve – il registro mellifluo, ipnotico, l’allegria forzata del consumatore soddisfatto, la finta neutralità “scientifica” quando pubblicizza prodotti sanitari o igienici, la capacità di penetrare l’immaginazione, individuale e collettiva. Paga il conto di mille attività, pretende sottomissione.

Ultimamente ha acquisito la capacità di diffondere messaggi personalizzati grazie alla profilazione in rete e per mezzo dello smartphone, per la nostra sconsiderata tendenza a rivelare sulle reti sociali abitudini, movimenti, preferenze, idiosincrasie. Nessuno può chiedere alla pubblicità di dire la verità: non è il suo scopo. Essa afferma e vende comportamenti, induce scelte – non solo d’acquisto – diffonde, crea, cancella o normalizza idee. Dovremmo iniziare a prenderne atto. Il suo scopo è “propagare” qualcosa, innanzitutto la forma-merce e il suo feticismo (Marx), oltreché visioni, propensioni, l’accettazione o il rifiuto di valori o modelli di vita.

Sul più importante motore di ricerca, Google, la prima risposta – quella che milioni di persone accettano come vera – alla domanda sulla differenza tra propaganda e pubblicità è un cumulo di menzogne. “La propaganda comunica verità, certezze e valori con l’obiettivo di renderli di buon senso, mentre la pubblicità informa su un prodotto che risolve un problema quotidiano”. Una tale definizione – frutto delle officine culturali del sistema – è smaccata falsificazione, bugia elevata a regola e contemporaneamente promozione del sistema del consumo.

Anni fa, all’inizio dell’esplosione pubblicitaria indotta dalla televisione commerciale, una coppia di amici ci rivelò con preoccupazione i pianti del figlioletto che non riusciva ad accettare la fine degli spot e la ripresa della programmazione. Pubblicità e propaganda agiscono su tutti, ma diventano devastanti per i più giovani, di cui creano i comportamenti e la visione del mondo. Ad esempio l’attitudine a consumare prodotti, indossare abiti e possedere oggetti “firmati” da una certa azienda. Il marchio (brand) conferisce, anzi restituisce l’identità perduta – personale e comunitaria – diventando preminente rispetto al prodotto. Karl Marx impazzirebbe vedendo rovesciata la sua distinzione tra valore d’uso e valore di scambio.

La guerra cognitiva della cultura globalista di matrice progressista impregna ogni ambito e dà vita a veri e propri lavaggi del cervello, specie attraverso la televisione e la rete. Propaganda manipolatoria spacciata per progresso, come nelle periodiche giornate dedicate ai temi che interessano il potere. La comunicazione pubblicitaria commerciale non sfugge alla regola, proponendo, ossia imponendo sottilmente, modelli di comportamento, ideologie , visioni del mondo in linea con gli interessi delle oligarchie dominanti. Dal 2020, anno iniziale della pandemia, ma anche del battage mondiale dell’antirazzismo isterico promosso dal movimento BLM (Black Lives Matter, le vite dei neri contano) non vi è messaggio pubblicitario destinato al pubblico italiano in cui non compaiano protagonisti di colore. Propaganda alla società multietnica, unificata nella forma-merce e nel consumo compulsivo.

Il modello familiare della pubblicità è fluido, “allargato”; al richiamo sessuale sperimentato da tempo aggiunge una più esplicita volgarità. La volontà di orientare politicamente ed ideologicamente è chiara in campagne come quella della Gillette centrata sulla mascolinità “tossica”, e nella scelta di un testimonial transessuale per una nota birra. Fortunatamente, clamorosi insuccessi. E’ di questi giorni un segnale di inversione di tendenza. La novità è la pubblicità pro vita della Volvo, casa automobilistica svedese inglobata dal 2010 nel gruppo cinese Geely. A differenza della britannica Jaguar, che ha adottato l’approccio radical progressista woke nella comunicazione pubblicitaria, Volvo, nello spot realizzato per un modello di SUV, la cui durata integrale è di oltre tre minuti e mezzo, una sorta di cortometraggio con un soggetto e una morale, tocca corde profondamente umane, concentrandosi sulla sicurezza e la preservazione della vita nel grembo materno.

Un capolavoro narrativo per sottolineare la tecnologia di sicurezza del veicolo, capace di proteggere persino un feto. Nella sceneggiatura una gravidanza inaspettata impegna una giovane coppia sul terreno della responsabilità, della concordia generazionale (l’aiuto dei futuri nonni) sino a immaginare, come fa ogni genitore, le tappe della vita del figlio. Senza essere esplicitamente pro-life, il messaggio celebra il valore della vita ed esalta il valore di esperienze universali di amore, protezione, speranza. Un abisso rispetto alla campagna di Jaguar, che dà priorità ai messaggi politici a scapito del prodotto. Vale la pena acquistare una Jaguar, è stata la critica di Elon Musk, bestia nera anti woke ? Le enormi differenze tra queste campagne , rivolte al medesimo target di pubblico, evidenziano una frattura sociale fortissima. Colpisce il giudizio di un addetto ai lavori, Guillaume Huin, direttore marketing di McDonald’s. “ Va contro tutte le regole che si possano immaginare per una pubblicità sui social network: durata, formato, sovrapproduzione. Eppure tutti i commenti sotto l’annuncio affermavano di aver immediatamente inserito Volvo nella loro lista di considerazione. È fantastico.”

Resta un’evidenza, quella della comunicazione pubblicitaria come vettore privilegiato di propaganda delle ideologie dominanti: un fronte avanzato della guerra cognitiva che ha come obiettivo coscienza e cervello. Armi silenziose per guerre tranquille (solo apparentemente !) come il titolo di un documento datato maggio 1979, scoperto – o fatto ritrovare- sette anni dopo in una vecchia fotocopiatrice IBM. Si trattava di un manuale di addestramento ad uso di qualcuno impegnato a piegare le masse alla volontà di pochi, manipolando percezioni e pensieri, facendo credere alle persone di ragionare e scegliere liberamente.

Autentico o meno, i suoi contenuti sconcertano per verità e attualità. Le strategie illustrate sono proiettili di una guerra di lungo periodo condotta contro l’umanità. La stragrande maggioranza non capirà e neppure intuirà l’esistenza di armi psicosociali, si vanta il documento. Strumenti raffinati di operazioni di ingegneria sociale globale. di cui il Grande Reset e la pandemia sono le tappe più recenti. Poiché il dispiegamento delle armi silenziose è graduale, la popolazione si adegua accettando le conseguenze sino al passo successivo, in una ragnatela che immobilizza progressivamente. Le armi silenziose sono anche biologiche nel senso che colpiscono la vitalità, il libero arbitrio, la libertà. La guerra è in atto e il bersaglio sono io, sei tu, siamo tutti e ciascuno. Ne riparleremo.

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