di Mario M. Merlino
Ho davanti a me, su questa scrivania, dove arrangio anche questo ‘pezzo’, l’ultimo dei miei figli (forse, più esattamente, un ennesimo me stesso ove contemplarmi e compiacermi)… Ai confini del nero, il suo titolo con la copertina grigio-scura e la fotografia realizzata da Simone e ridefinita da Marco. Copertina nata mentre si percorreva la via Tiburtina, poco dopo il complesso carcerario di Rebibbia. Ad altro era rivolta la nostra attenzione, poi questo edificio alto scheletro dismesso senso di abbandono fine di un mondo desolazione (Bakunin rilevava che nello spirito della distruzione si annidano già le premesse dell’edificazione; Nietzsche, filosofo e poeta dal linguaggio asciutto ed abissale ammoniva che ‘là dove ci sono sepolcri, là vi sono resurrezioni’).
Ora del tramonto, tripudio e incendio di luci gioco di ombre… L’ora in cui per il filosofo Platone si addensano i pensieri e Giulio Cesare invita, nel silenzio della tenda, di prendere tavoletta e stilo e misurare quanto e come si è vissuto il giorno. Poi Martin Heidegger annota, dopo aver trascorso la notte ospite di un suo ex allievo, mentre, su Friburgo, le bombe alleate si divertono a devastare, annientare, radere al suolo quanto di cultura tedesca ed europea aveva sfidato per secoli il mondo: ‘Il tramontare è diverso dal perire. Ogni tramonto resta al sicuro nel sorgere’.
Una copertina che può apparire decadente, con la mia immagine da hippie che non favorisce i colori dell’arcobaleno le api che succhiano il polline le formichine laboriose i bambini che saltellano sul marciapiede… Forse una provocazione, non so. Però non è così: ho sempre a mente il testimone che Robert Brasillach ci ha lasciato, poco prima di essere portato davanti al plotone d’esecuzione, a conclusione di Lettera a un soldato della classe ’40 quella fierezza e quella speranza a cui abbiamo tentato di tenere fede. E la gioia di vivere, senza la quale non vi sarebbe premio, la fierezza finirebbe in testardaggine e la speranza in illusione…
Dunque la copertina si offre al mio sguardo e, se fossi capace di usare lo skanner (?), l’avreste anche voi… beh, magari venite a qualche prossima presentazione o l’ordinate in libreria… mi darete ragione. La luce che filtra e colora d’una calda aurea atmosfera il luogo abbandonato alla nientità non può evocare funerei pensieri, lande desolate, malevoli storie. E la luce del sole, pur nel volgersi alle ore della sera, ben corrisponde a quella luce che pervade le storie che compongono il contenuto del libro. Cinque in tutto, come furono in Atmosfere in nero, con qui delle dediche più lunghe e un fuori programma tutto personale.
Chi sono i protagonisti di questa raccolta se non, salvo in un caso, persone esistite o ancora esistenti, pur nell’arbitraria rielaborazione di un momento della propria esistenza. Il vero il verosimile la libertà dello scrittore. E ci insegnano che si può avere un animo grande. Si può scegliere, comunque e nonostante tutto, con uno scatto di reni, un attimo di follia, per un sì o per un no e magari senza sapere cosa si cela dietro l’uno o l’altro. Intensità o durata… Negli ultimi anni dietro la cattedra avvertivo l’astrattezza delle idee dei concetti delle teorizzazioni delle visioni sistematiche protese ad essere onnicomprensive e finire per essere divoratrici dell’esistente. E, al contrario, la vecchia storia piena di aneddoti, di uomini e di donne, e dei filosofi che abbracciano i ronzini percorrono le vie di Koenigsberg con il medesimo passo e alla medesima ora cercano l’immortalità bevendo la polvere del ferro limato…
Abbandoniamo il mio libro al suo destino… Ogni lettore lo renderà a se stesso con la propria sensibilità attenzione interesse oppure lo respingerà fuori dal proprio mondo. Era forse per questo che Socrate non volle avere nulla a che fare con la parola scritta e Platone rimprovera il dio egizio Toth per aver insegnato agli uomini l’uso della scrittura. Avremmo trovato la nostra strada anche su un libro dalle pagine bianche… Eppure, eccomi qui a scrivere, scrivere per vincere la morte, scrivere per sentirmi meno solo, scrivere per lanciare ponti verso gli altri la natura e, chissà, qualche oscura divinità, scrivere per vanità per dispetto per riderci sopra o per rabbia, per essere fedele ai ‘confini del nero’ dove ho collocato ‘la torre del nostro orgoglio e della nostra disperazione’.
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