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1 Maggio 2025
Cultura

Mario Monicelli e Venezia! – Renato Padoan

 

Qualsiasi nozione non può intendersi se deprivata del suo contrario.

Che cosӏ il male se non si ha nessuna idea, esperienza del bene?

E’ senza dubbio cosi.

Come può sussistere un’affermazione se si prescinde dalla sua negazione?

Tutto ciò implica altresì la sua rappresentazione spaziale come nei cerchi di Venn-Eulero, nei quali alla negazione logica si fa corrispondere il complemento di un insieme e cioè quell’altra porzione del tutto in cui non si racchiudono quegli elementi che stanno secondo la rappresentazione di Carrol da quell’altra parte dell’universo scisso e diviso in due, Yin e Yang!

Può esserci mai una montagna sulla terra che non abbia un versante illuminato dal sole e un altro oscuro?

Vengo ora a parlare del complemento di Venezia cioè della “non-Venezia”,  della negazione formale di “Venezia’” nel senso di coloro che se ne escludono, perché a mala pena potrebbero sopportarla. Ne parlo ovviamene da veneziano autentico come io lo sono ed esperto.

Nel corso della sua storia furono praticamente tutti gli altri quelli che non sopportarono Venezia e d’altronde per ogni autentico veneziano come io lo sono tranne Venezia tutto il resto è “Campagna”!

Venezia si mantenne per quasi un millennio, più a lungo dell’Impero romano stesso, del quale  pretese d’essere l’epigono, lottando persino fino allo stremo nel 500 contro tutta l’Europa restante ed il Turco. Fu persino per un breve periodo estromessa dalla fede cristiano cattolica e dal Papa dichiarata eretica.

Non ebbe mai un momento di tregua e si arrese soltanto alla fine con la formula ridicola di una “neutralità disarmata”, perché si rese conto che quanto stava accadendo in Francia e prima della Francia nelle Americhe era di un tale sovvertimento che mai più tutto sarebbe stato come prima.

Ne sono testimonianza le lettere degli Oratori Ambasciatori della Serenissima da Parigi durante la Rivoluzione.

I servizi segreti, diremo oggi della Serenissima, prima della spedizione di Napoleone si erano accorti di quanto danaro contante soprannumerario circolasse nel Dominio Veneto proveniente dalla Svizzera per foraggiare la propaganda “democratica”, prima ancora che l’armata napoleonica muovesse alla conquista dell’ Est dell’Italia Settentrionale per colpire l’Impero.

La massoneria era quella novità che fu l’impronta della Democrazia con la triade Liberté, Egalitè et Fraternité , donde si derivano tutti i tricolori  bandiera di questo mondo come l’imitazione italiana del francese, che si sarebbe sostituita al Trono e all’Altare compiendo una completa desacralizzazione della politica prima nella fase teista e poi in quella borghese restauratrice o come oggi si dice Liberale.

La forma statuale veneziana non era propriamente quella del Trono e dell’Altare, ma nemmeno si sarebbe potuta dire perfettamente democratica nel senso dell’eguaglianza dei cittadini che stavano divisi in caste, ma era sicuramente fraterna come assistenza reciproca, ma non libera perché percorsa ovunque da un intreccio di vincoli che non le consentirono tra l’altro di reggere alla concorrenza spietata della Repubblica delle Fiandre, in cui va ricercata la vera fine più prematura della Serenissima di quella finale “manu militari” dell’esercito napoleonico.

Venezia cessò di esser quel formante politico e militare, ma soprattutto sacrale che fu per quasi un millennio nel 1797 col Trattato di Campoformido in cui fu transitoriamente ceduta agli Asburgo.

Fu successivamente accolta nel multilingue impero Austro Ungarico e conglobata dal 1866 nel nascente Stato Italico Sabaudo, vera propaggine di quello Stato Francese Repubblicano fattosi coloniale in Africa e nelle Americhe a tutt’oggi, che divenne più che mai forte, ideologicamente e militarmente fino al presente possesso dell’arma termonucleare  non condivisa con gli altri membri della fantomatica Europa.[1]

Venezia come ogni modello di civiltà fu con le parole di Ruth Benedict quella tazza in cui si raccoglie l’acqua per berla e con altra metafora, diremo noi, quel concavo del geroglifico che accogliendo nell’ombra i raggi obliqui del sole ne rivela la forma.

La sua forma fu la completa accoglienza del vitale con il limite della morte.

La monumentalità di Venezia è terribilmente funeraria al punto che mi sembrò di dovermi convertire all’Islam quando stavo a Istanbul per la regia de “Il bugiardo” di Carlo Goldoni e frequentavo spesso per ristorarmi la mente nella bellezza della moschea azzurra, seduto in contemplazione, al punto tale che un giorno un Muezzin, informato dall’interprete che mi stava accanto su chi fossi, volle benedirmi con l’aggiunta di queste su parole…. che quel che si proferisce in un luogo sacro si realizza … !

La forma, il formante è perciò insieme vita e morte, apertura e chiusura.

Finora e prima e dopo si potrà insistere di più o di meno l’aspetto di apertura o chiusura, ma non si può certo fare a meno dell’una o dell’altra, di un braccio della contraddizione.

Dopo di che ritornai a Venezia in questo luogo così cimiteriale e violentato da torme turistiche.

Vengo ora a parlare dell’aspetto di chiusura della forma.

La chiusura si manifesta nell’esclusione dell’escluso, volontaria o involontaria che sia come antipatia e intolleranza.

I casi di persone che non sopportano Venezia potrebbero essere da parte mia una sufficiente raccolta d’individui più o meno noti agli altri.

Non intendo incorrere però all’induzione che non è probante ma al suo contrario per cui mi varrò di un solo caso!

Sceglierò dal mazzo soltanto un personaggio che da sempre, ma soprattutto alla fine, ebbe la mia massima stima come artista e intellettuale e tutto ciò  per la semplice ragione che soltanto così posso promuovere nella mia mente la soluzione, forse di un paradosso che continua ad ottenebrarmela!

Se una persona, un intellettuale che mi reputo affine per sensibilità, ideologia e capacità intellettuali ed artistiche non sopportò con le sue parole quel formante che io pongo al sommo della mia stessa persona come Venezia quale ne sarà mai la ragione?

Che cosa ha mai egli compreso che io non abbia compreso o viceversa che cosa non ho io compreso di male ed insufficiente in questa mia patria Venezia? O che cosa puoi esserci per lui e per me di oscuro?

Vengo ora a una tentata disamina e ne rivelo il nome: Mario Monicelli!

Credo, so che così si espresse in occasione di un film stravagante e intelligente meno noto di altri che girò a Venezia il grande regista.

Monicelli disse che Venezia gli era semplicemente insopportabile!

Ciò fu in occasione di quel film diverso dagli altri che girò a Venezia “Le due vite di Mattia Pascal”

Nella trama del film il personaggio che riecheggia il Mattia Pascal di Pirandello giunge a Venezia dopo traversie diverse per perdere al Casinò di Venezia tutto quel danaro che la Fortuna gli aveva dapprima offerto nel Casinò di Montecarlo.

Il figlio del grande De Sica in un’intervista disse che conosceva soprattutto Venezia per via del Casinò di cui suo padre era un frequentissimo e generosissimo sempre di mance con i valletti le assai meno volte che vinceva.

Non so se de Sica amasse poi Venezia nel senso che gli restasse del tempo per passeggiarla, studiarla e ammirarla al di fuori del gioco che lo accompagnò come un demone per tutta la vita.

Io abitavo proprio difronte al Casinò, e quando tornavo a casa nelle ore pomeridiane ero colpito da una fila di persone irrequiete ben vestite, ma a volte insensibili al freddo senza pelliccia o cappotto, quasi agitate, che stavano fuori del portone chiuso in attesa dell’apertura, fremendo tutte e ballonzolando sui piedi e le gambe come dei cavalli da corsa nei box di partenza.

Il portone si apriva e allora tutti si precipitavano dentro!

Chiesi ragione di questo comportamento e mi dissero che era causato dalla superstizione.

Costoro avrebbero avuto un numero in testa o una combinazione da giocare alla Roulette, che premeva nelle meningi e che era legata a una qualche imperativa coincidenza per cui non si poteva proprio perdere tempo.

Il tempo effettivamente si perde come il danaro e si acquista, perché il tempo è danaro a differenza dello spazio feudale cui pose termine l’ Industrialesimo.

Ebbene l’immagine storica più tardiva di Venezia è potentemente legata al gioco d’azzardo.

Il cosiddetto Carnevale, di cui quello di adesso è un miserabile equivoco, era effettivamente un grande affare legato all’amministrazione del caso.

Non credo si sappia che quel numero irrazionale fatidico che è il 3,14 …

il P Greco cioè, può ottenersi per così dire coi dadi cioè per mezzo del caso e se si può ottenere con un simile procedimento può ottenersi così qualsiasi numero irrazionale come il PHI della sezione aurea.

E’ proprio così come si evince dall’illustrazione perché la sequenza delle cifre di cui si compone la parte decimale di un irrazionale è imprevedibile. Se non lo fosse il numero sarebbe razionale nel senso di periodico, ma se non è divinabile, prevedibile a prescindere dal calcolo che si effettua, una eguale successione periodica delle cifre, il numero è sorprendente e inatteso nella sua identità come lo sono la vincita o la perdita nel gioco d’azzardo, ben sapendo però che alla fine con la massima delle certezze o si perde o si vince perché la fine e la perdita sono finite cioè mortali.

La tragedia quasi più nota di Shakespeare de “Il mercante di Venezia” si fonda tutta sull’azzardo, il caso o la sorte avversa che affonda con la sua nave di mercanzie le speranze del mercante Antonio che dovrà restituire a Shylock la libbra di carne pattuita dal prestito.

Sarà l’intelligenza astuta avvocatizia della donna a salvarlo e la lungimiranza del potere dogale.

Anche in questo caso il tema principale è il gioco e l’azzardo.

Il grande Casanova del quale parlai a proposito della forma ottica, speculare e lenticolare della Venezia di vetro, fu promotore di lotterie in Francia. Egli per così dire esportò il gioco del lotto, che era piuttosto genovese per primarietà, ma trasmise con esso quello spirito della lotteria di cui era pervasa la Serenissima.

L’elezione del Doge era un gioco complesso di sorteggi incrociati che si svolgeva come una partita di bridge o di un qualsiasi altro gioco di carte in cui non sapendo quelle carte che sono dapprima in possesso dell’avversario, ci si affida al rischio di un’ iniziativa per conoscerle. Il poker resta comunque l’evidenza più prossima di come si possa combinare il caso con la ragione, il rischio con la certezza, la vittoria con la sconfitta e perché no la morte con la vita o viceversa.

Il formante Venezia sembrerebbe quello di una chiusura necessaria per aprirsi piuttosto che quello di un’ apertura che si richiude.

Monicelli a parere mio era ostico all’idea che si dovesse attingere la vittoria per mezzo del caso e perché no del rischio.

Egli fu un uomo inderogabile di certezze al punto di suicidarsi da vecchissimo per precipitazione dall’ultimo piano dell’ospedale in cui stava morendo affetto da un cancro alla prostata.[2]

Devo confessare che anch’io tranne che per questa “pars” che lo volle nemico di Venezia e della sua forma numerica irrazionale ma reale ed ambedue in senso matematico, la penso esattamente come lui e per questo non posso che disperare della mia città, della sua morte definitiva.

Sono perfettamente d’accordo inoltre con Monicelli per tutto il lungo percorso della sua arte, che fu comica e tragica insieme, e della sua vita stessa perché anch’io in tarda età mi sono voluto unire in matrimonio con una donna assai più giovane di me, ma non certo quanto la sua che aveva 19 anni quando lui la sposò che ne aveva 59. A differenza di lui però che ebbe un figlio da lei

io non ho voluto figli dopo il primo abortito perché non mi andava proprio di tentare la sorte!

Egli fu dunque più veneziano di me nel meditare su quel fattore Venezia che è l’azzardo della vita per generarne una al punto di morirne coerentemente.

Ma su di un punto infine ed inoltre sono stato e continuo ad essere completamente d’accordo con lui e cioè che quel che rende mutilo questo paese altrimenti grande, come lo fu prima dell’ unità, e potrebbe esserlo ancora, è una vera, lunga e prolungata guerra civile come l’ebbero tutti quegli stati europei che ci sono superiori dai grandi ai meno grandi come la Jugoslavia ora divisa od un tempo La Francia ugonotta e cattolica, Vandeana lealista e Repubblicana fino alla divisione in Fascista e Gollista.

Se si persegue il principio falsamente cristiano di una tolleranza alla San Vincenzo de Paoli non si avrà mai neanche un briciolo di quella che fu la supremazia della Repubblica di Venezia di contro al presente avvilimento.

Quale migliore parabola per illustrare al negativo la sudditanza di questo paese Italia del suo straordinario e immenso film “La grande guerra” in cui due militi inferiormente italiani sono restituiti alla dignità della lotta mortale nel cimento di una guerra inutile come fu la prima guerra mondiale!

Ecco quel soldato settentrionale vigliacco interpretato da Gassman che muore da eroe offeso per il suo fegato mancante e quell’altro soldato meridionale l’incredibile Sordi così frainteso che muore con la menzogna di una menzogna per proteggere la verità dell’amico.

Gli italiani dovrebbero dunque combattersi dividendosi fintantoché come si dice vinca il migliore.

Se ciò non accadrà e continua a non accadere non potrà attendersi nessuna vera e profonda emancipazione e l’onore che ne consegue per questo popolo.

Ecco le parole che Monicelli disse e che da veneziano esiliato dalla storia e dalla politica  condivido:

«Quello che in Italia non c’è mai stato, è una bella botta, una bella rivoluzione, rivoluzione che non c’è mai stata in Italia… c’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania. Dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, sono 300 anni che è schiavo di tutti. Monicelli

Può conciliarsi questa visione estrema di una vita come la sua con la viltà dei più che mai e poi mai si getterebbero a 95 anni dal quinto piano di un ospedale per porre fine a una vita ECCELLENTE? Non lo so!

Venezia fu senz’altro grande per i rischi che continuamente corse.

Una vita di vetro è fragile ma da essa traspare il futuro.

Una vita d’acqua è instabile e fluttuante.

Una vita ombrosa è sottilissima, fantasmatica ma trasparente.

Sono le ombre dentro il cannocchiale che ci consentono di avvicinare il distante, le stesse che mirò Galileo scrutando la volta celeste e le lontananze invase dal nemico dal campanile di San Marco ( o il rischio mortale che corse Giordano Bruno tradito da quel mediocre nobile veneziano cui era stato promesso tutto il sapere nella forma banalmente a buon mercato di un teatrino mnemonico)

 

Renato Padoan

[1]Per chi volesse ulteriormente sapere a proposito del pensiero dello scrivente sull’Europa di adesso non ha che da consultare i diversi articoli dello scrivente su questa rivista! E se non basta anche tutti gli altri articoli dei diversi autori.

[2] Ormai minato da un cancro alla prostata in fase terminale, la sera del 29 novembre 2010 verso le ore 21, Monicelli, a 95 anni, decide di togliersi la vita gettandosi nel vuoto dalla finestra della stanza che occupava nel reparto di urologia, al quinto piano dell’Ospedale San Giovanni Addolorata, dove era ricoverato.

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