“Se stavano a casa loro, questo non sarebbe successo. Ma poi, come si fa, quattro ragazzi a mettersi contro quelle feccie degli Arditi del popolo… Per conto mio sto a casa. Tutti finiranno male”
Non c’è niente per noi, non comprensione, non riconoscenza, canaglie, che purtroppo con la Patria difendiamo il loro sporco grasso ventre, le loro pantofole, il loro amore per il sabato, che alla domenica si può dormire un’ora di più” (1)
di Giacinto Reale
Resta da fare cenno, a questo punto, ricostruiti i fatti, all’importanza che sul piano storico e politico essi ebbero, perchè: “…non è esagerato dire che nel 1921 il destino dell’Italia passò per Sarzana. Quel che accadde a Sarzana il 21 luglio fece infatti precipitare la crisi interna del fascismo, e fece esplodere la rivolta dello squadrismo contro il patto di pacificazione, contro Mussolini e contro la parlamentarizzazione del fascismo”.(2)
Indubbiamente vero; è la prima grande crisi del fascismo: mentre il nuovo Governo Bonomi prova a stringere i freni (si pensi ai decreti per l’ordine pubblico del 14 luglio, che pure sono all’origine di quanto avviene a Sarzana), in casa fascista si arriva allo scontro tra la base che non vuole più aspettare e il vertice che media e cerca la soluzione politica.(3)
Di qui a qualche giorno sarà firmato il “patto di pacificazione”, tra molti mugugni (e rifiuti) fascisti, ma sarà solo col Congresso di Roma di fine anno che la crisi potrà dirsi superata.
Difficile, per chi ogni giorno si deve confrontare con un nemico crudele ed inumano – come i fatti di Sarzana dimostrano – accettare la logica della “pacificazione”. La situazione è quella che è; la propaganda sovversiva ha uno scopo preciso:
“…ogni operaio doveva vedere nel fascista un odioso persecutore, ogni donna un assassino, ogni contadino una belva feroce, un brigante, cui il meno che potesse farsi era l’ucciderlo, il distruggerlo, in qualunque modo, con qualunque mezzo”.(4)
Questa è la migliore spiegazione di quanto accade a Sarzana e dintorni quella maledetta mattina del 21 luglio. Tutto il variegato fronte antifascista da mesi parla di assassini prezzolati che arrivano per uccidere, distruggere, e finanche violentare donne(5) con la complicità delle Forze dell’Ordine, e predica sia giunto il momento che la gente comune si difenda, con la tecnica dell’agguato, con l’aggressione al nemico isolato, con tutti i mezzi e con tutte le armi per dare la morte al fascista, anche se arreso e catturato, meglio se in maniera atroce, così che serva da esempio.
Solo in questa logica di odio sanguinario si spiegano le torture, gli accecamenti, i ferri roventi, i colpi di pugnale sui corpi morti, i supplizi col fuoco, l’ingiuria ai cadaveri. Delitti di folla, come si dice, ma nei quali ha un ruolo preminente l’avanguardia armata della rivoluzione, Arditi del popolo e Guardie rosse che dir si voglia, quasi sempre regolarmente iscritta ai Partiti della sinistra che, invano, dopo la scoperta delle atrocità, si avventureranno in una serie di sottili distinguo.
Vi è, però, a Sarzana, anche una precisa responsabilità dei tutori della legge, che qui sono, in primo luogo, due Ufficiali dei Carabinieri, il Tenente Antonio Vinci Nicodemi e il Capitano Guido Jurgens.(6)
Il primo originario di Massa, del quale si dice sia stato amico di infanzia di Renato Ricci, soffre, probabilmente, del sospetto di parzialità che a questa voce si accompagna, e reagisce comportandosi con inusitata durezza.
È lui che il 17 obbliga i fascisti a scendere dai camion all’ingresso di Sarzana, esponendoli, di fatto, con una pericolosa marcia a piedi, al fuoco del nemico appostato tra siepi e casolari (e, infatti, c’è un morto fascista), ed è sempre lui che procede, lo stesso giorno, all’arresto di Ricci e di una decina dei suoi, che si sono attardati, sul greto del Magra, per proteggere il passaggio degli altri(7).
Arresto che avverrà, è lecito pensare, con forme di violenza sbirresca, se si diffonde la voce (comunque smentita) di uno schiaffeggiamento del ras carrarese ad opera dello stesso Nicodemi.
Se per Nicodemi ho azzardato l’ipotesi di uno stato psicologico alterato da fattori contingenti, per Jurgens parlano i fatti: destituito quasi subito gli avvenimenti dal Comando della Compagnia di La Spezia, per il gran clamore causato dal suo comportamento, viene posto – a domanda – in aspettativa per malattia (“non dipendente da causa di servizio”) per vari periodi successivi, fino al novembre del ’24. In questo periodo, però, si imbarca in un’azzardata avventura finanziaria per l’apertura di un Casinò, abbandona la moglie e i figli, si trova un amante di 15 anni più giovane, (“figlia di un noto dirigente comunista”, come annotano i rapporti di polizia), conduce vita dispendiosa alloggiando con lei nei migliori alberghi fiorentini.
Nel frattempo, viene arrestato due volte per reati finanziari, espulso dall’Arma, finché si stabilisce a Roma, dedicandosi allo studio dell’araldica e ritagliandosi poi – forse – un ruolo nel movimento resistenziale della Capitale di matrice monarchica. Muore, in estrema miseria nel 1963.
Meneghini, che gli dedica pagine affettuose, definendolo ripetutamente “eroe” e “vittima” non può non attribuire le sue stranezze comportamentali a “un disturbo che la psichiatria moderna classifica come DPTS (Disturbo Post Traumatico Da Stress), patologia che, come insegna la letteratura in materia, comporta nel paziente “un’attenuazione della reattività generale, uno stato di intorpidimento, insensibilità…”
La causa va ricercata nell’esperienza al fronte, quindi logico supporre che questo stato anomalo sia già presente quel 21 luglio…una prova potrebbe essere il suo gesto – testimoniato da molte parti – all’origine della sparatoria sulla piazza della stazione: rivolto ai suoi, fa, col nerbo di bue che impugna minaccioso, uno stizzito movimento, che a molti ricorda l’ordine di fare fuoco impartito ai plotoni di esecuzione dei disertori.
Se questi sono gli “antagonisti”, alcune parole vanno dette anche sui protagonisti in camicia nera della giornata: appaiono un tantino esagerate le critiche che all’intera operazione muoverà ex post uno dei responsabili, il citato Banchelli(8), ma è indubbio che errori “tattici” ed organizzativi ci sono, tali che la compagine fascista ha in sé dei motivi di debolezza che incideranno pesantemente sulla tragica conclusione.
Uno, soprattutto: l’assenza – come raramente è successo – di un mix calibrato tra giovanissimi, non di rado alla loro prima prova sotto il fuoco, e reduci resi esperti dalla trincea e dalla guerra civile. Dei quindici morti ben dodici hanno meno di 21 anni (e, quindi, non hanno preso parte alla guerra, uno ne ha 22 (nella migliore delle ipotesi un “ragazzo del ’99”), uno 29 (mutilato e decorato) e solo l’ultimo 44 (e forse, proprio per questo, nemmeno lui “mobilitato” per il conflitto).
Giovanissimi sono anche molti dei feriti, sì che è logico pensare che le percentuali anagrafiche possano essere attendibilmente estese a tutti i partecipanti.
È questa la spiegazione prima dello sbandamento fascista; esso, però, va detto, riguarda solo una parte – presumibilmente quella più giovanile – dei convenuti: la massa rimane sul piazzale e sui binari della stazione, tanto che già alle 6,30 i primi possono ripartire con un treno di passaggio.
Qui, credo vada aggiunto un ulteriore elemento psicologico: se i loro avversari sono vittime del mito della spietatezza fascista, i fascisti sono succubi della convinzione che Sarzana rappresenti una roccaforte inespugnabile, tenuta da centinaia di uomini armati, organizzata su sistemi di difesa di tipo militare, supportata da masse pronte a tutto.
È anche per questo che, all’origine, il concentramento previsto è di 2.000 uomini (un numero assolutamente esagerato, e non facile da raggiungere), e la delusione per la esigua realtà provoca, di fronte al fuoco dei Carabinieri (non prevista reazione, che già di per sé appare ingiustificata ai più ), lo sgomento.
Arrivo così all’ultima cosa da chiarire: a Sarzana non c’è nessuno “scontro” tra bande fasciste e Arditi del popolo o simili: le vittime (escluse la prima, il giorno 17, e l’ultima, il 21, sul treno che riporta a casa gli squadristi) cadono sotto il fuoco dei Carabinieri o sono uomini isolati, spesso in fuga nelle campagne, già spaventati e armati alla bell’e meglio.
Nessun caduto(9) vi è dall’altra parte il giorno 21 (solo uno il 17), a definitiva dimostrazione che non c’è nessuno “scontro” , anzi i due contrapposti gruppi non vengono mai a contatto diretto. Così come a Parma l’anno successivo, a “fermare” i fascisti sono i fascisti stessi e il colpevole atteggiamento delle Autorità che, in ambedue i casi, è perlomeno di copertura delle bande sovversive armate.(10)
Quindi, è una menzogna, sul piano dei fatti, parlare di una “Caporetto del fascismo”: battaglia non ci fu, e nessun “fronte” venne sfondato.
Nel dopoguerra si può dire che, tutto sommato, quanto accaduto verrà rivendicato “con prudenza”, chè troppo forte sarà il disagio ad ammettere le atroci modalità delle morti, tali da sporcare anche quella “bellissima pagina di resistenza popolare” che, in effetti, non ci fu.
Nessuno vorrà mai farsene pienamente carico, e, chi lo farà, nelle inevitabili occasioni “ufficiali”, condirà la sua rievocazione di omissioni e “non detto”. Questo, di fronte al Tribunale della Storia, mi pare sia la condanna più grave.
Ho detto all’inizio che sulla strage di Sarzana si poserà – regime fascista durante – un velo di retorica; credo che buon esempio sia questo brano di Farinacci (che, peraltro, sbaglia date e riferimenti fattuali) riferito alla morte di Bisagno e Maiani:
“All’alba del 22 (si tratta, invece, del pomeriggio del 20 ndr) i ragazzi sono svegliati dagli sghignazzanti carcerieri, armati di randello e pugnale. Oh, perché tanto tempo lasciato all’agonia della speranza e del terrore? Anche senza il fuoco delle pistole automatiche (di cui non ci si voleva servire) un colpo di bastone o di pugnale è ben veloce per uccidere! ma gli assassini non volevano uccidere. Quale gioia può dare il colpo ben aggiustato che ti fa chiudere in pace gli occhi per sempre? Dov’è più il fascino dell’orrore, il rabbrividente urlo della vittima straziata, lo spasimo, il rantolo del morente, senza una lenta tortura che tenti tutte le vie della morte, assaggi tutti i visceri, provi tutte le sofferenze?(8)
Aldilà delle enfatizzazioni farinacciane, per i fascisti resterà l’onere di ricordare e restare fedeli al sacrificio dei loro camerati caduti. Ma lo faranno a modo loro.
Su una parete della Sala “N” della Mostra della Rivoluzione Fascista ci sarà una foto mosaico dei caduti, sovrastata dalla dicitura: “Martiri di Sarzana /dormite in pace il sonno / vi vendicheremo un giorno”
Nella foto: l’ara ai caduti fascisti e la lapide sulla piazza della stazione
NOTE TERZA PARTE
(1) L’ipocrita e vile giudizio dei borghesi e l’irato commento fascista dopo l’eccidio di Sarzana in: Mario Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano”, Roma 1980, pag 186
(2) Emilio Gentile, “ Storiografia come interpretazione”, in La Storia come identità, atti del convegno sui fatti di Sarzana del 21 luglio del ‘21”, Sarzana 2003 “, pag 76
(3) Per un quadro d’insieme, vds: Renzo De Felice, “Mussolini il fascista, la conquista del potere 1921-25”, vol. II, Torino 1968
(4) Giuseppe Gregori, “L’ecidio di Sarzana”, Roma 1937, pag 17
(5)
“Se le sono godute le nostre mogli ? Noi ci siamo vendicati” così uno degli assassini di Maiani e Bisagno cercherà di giustificare il suo gesto, secondo la testimonianza processuale di un altro Ardito del popolo presente, riportata ne “Il Lavoro” del 14 ottobre 1925
“Se le sono godute le nostre mogli ? Noi ci siamo vendicati” così uno degli assassini di Maiani e Bisagno cercherà di giustificare il suo gesto, secondo la testimonianza processuale di un altro Ardito del popolo presente, riportata ne “Il Lavoro” del 14 ottobre 1925
(6) Per dimostrare la strana situazione venutasi a creare in paese, con le Forze dell’Ordine succubi della prepotenza sovversiva, basti un episodio: la sera del 17, dopo gli incidenti mortali della giornata, e mentre una decina di fascisti sono in cella, il Capitano Jurgens prima ordina la scarcerazione di alcuni sovversivi arrestati perché armati senza licenza, e poi si accorda con gli Arditi del popolo così che fino alla mezzanotte siano loro a provvedere al mantenimento dell’ordine (e ci saranno alcuni feriti nel tentativo di fermare l’ auto di alcuni innocenti estranei ai fatti ) dopo di che “avrebbe provveduto lui”
(7) Poco convincente la sua tesi, datata 1949, secondo la quale avrebbe proceduto all’arresto “per la loro stessa salvaguardia” (la si veda in: Sandro Setta, Renato Ricci, dallo squadrismo alla RSI, Bologna 1986, pag 42): infatti il piccolo gruppo era di retroguardia e stava abbandonando il paese
(8) Vds: Umberto Banchelli,”Le memorie di un fascista”, Firenze 1922; va detto, però che l’irrequieto autore è, all’epoca in polemica col fascio della sua città, e questo, probabilmente, giustifica certi toni un po’ “esagerati”; né va dimenticato, su un piano più generale, che una buona dose di improvvisazione è di incosciente faciloneria è un dato costante di tutta l’avventura squadrista, come abbondantemente testimoniato da memoriali e ricostruzioni dei fatti
(9) In verità, Meneghini accenna ad un marittimo,Giorgio Scribanis, deceduto all’Ospedale di Sarzana per colpo di arma da fuoco, ma che, non essendo stato “rivendicato” dai fascisti, potrebbe essere la vittima tra gli Arditi del Popolo alla quale fa cenno, nella sua relazione, l’onorevole socialista Francesco Rossi
(10) Con molta onestà, Eros Francescangeli, nel suo “Arditi del popolo”, Roma 2008, parla di: “episodi di resistenza popolare allo squadrismo fascista che vedono anche le Forze dell’Ordine schierarsi contro i fascisti” e di: “antifascisti e Carabinieri (che sparano) nella stessa direzione per respingere l’invasione squadrista”
(11) Roberto Farinacci, “Storia della rivoluzione fascista”, Cremona 1938, vol III pag 116
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