“Se stavano a casa loro, questo non sarebbe successo. Ma poi, come si fa, quattro ragazzi a mettersi contro quelle feccie degli Arditi del popolo… Per conto mio sto a casa. Tutti finiranno male”
Non c’è niente per noi, non comprensione, non riconoscenza, canaglie, che purtroppo con la Patria difendiamo il loro sporco grasso ventre, le loro pantofole, il loro amore per il sabato, che alla domenica si può dormire un’ora di più” (1)
di Giacinto Reale
FATTO (TERZA FASE): Ignari di quanto successo a Maiani e Bisagno, nella notte fra il 20 e il 21 luglio, un numero mai ben precisato di fascisti, ma che si può comprendere tra i 300 e i 500 (2), muove – partendo alle due circa – su Sarzana. Provengono da varie zone della Toscana, non sono “affiatati” tra di loro, e, alla partenza, hanno scoperto di essere molto meno del preventivato (2.000) per disguidi organizzativi e dissidi interni. (3)
Al comando vi è Amerigo Dumini, con Bruno Santini di Pisa e Goffredo Corsi di Carrara vice Comandanti; Umberto Banchelli è “Capo di Stato Maggiore” di quello che, più che un esercito in marcia, sembra un male assortito raduno di volenterosi.
Muovono a piedi, perché sanno che le strade di accesso al paese sono presidiate da nuclei di Arditi del popolo armati, e che vige un sistema di avvistamento basato su vedette fisse e in movimento, al cui allarme si attiva una rumorosa sirena che allerta tutta la cittadinanza.
In fila per uno, con alla testa Dumini e Banchelli, che scelgono quella posizione anche per essere i primi a sostenere il previsto scontro con l’avversario, la colonna si avvia, partendo da Avenza, nel massimo silenzio: in tutto ci sono da fare una quindicina di chilometri.
Per non rischiare di sbagliare strada, prima gli uomini procedono lungo la costa, e poi seguono la strada ferrata commettendo così un duplice errore: la marcia sulla sabbia è più faticosa di quella sull’asfalto, e sfianca molti, mentre il passaggio di un treno merci scortato da sovversivi armati svela il loro arrivo, così che i passeggeri, giunti a Sarzana, danno subito l’allarme.
I fascisti, che hanno capito essere svanita la sorpresa, fanno gli ultimi chilometri di corsa, lungo i binari, commettendo un altro errore: il gruppo, infatti, si sfalda, e quando i primi arrivano in stazione (sono circa le cinque del mattino), a Sarzana, gli ultimi sono ancora a Luni, a fare a pistolettate con i sovversivi locali.
Usciti sul piazzale della stazione, gli squadristi trovano ad attenderli una quindicina tra Carabinieri e militari del 21° Rgt Fanteria, guidati dal Capitano Guido Jurgens, presente in paese da qualche giorno perché appositamente inviato da La Spezia.
Tra Dumini e l’Ufficiale dei Carabinieri (che, per il suo comportamento, sarà poi definito “il sicario di Bonomi”) inizia una discussione animata, il cui tema dominante è la liberazione di Ricci e degli altri arrestati. Il confronto va per le lunghe, mentre la massa fascista comincia a premere, per avviarsi verso il centro del paese, pur senza imbracciare le armi, e continuando a gridare: “Viva l’Italia, siamo fratelli vostri”, e altri simili slogan.
È a questo punto che un colpo di fucile ferisce di striscio un Carabiniere e un altro colpisce a morte un militare del 21°. Su chi abbia esploso questi colpi, le versioni sono contrastanti: esso parte sicuramente (e, ovviamente, direi) dalla parte dei fascisti, e questo ha autorizzato molti a pensare che a sparare sia stato uno squadrista, ma:
- il Comandante della Guardia Regia che condurrà un’indagine sul fatto ne attribuirà la responsabilità ad “un sovversivo pratico di tumulti e conscio che il primo colpo genera conflitti”(4);
- il colpo è di un fucile a pallini, arma che non risulta in dotazione a nessun fascista, ma di uso comune tra i loro avversari, come dimostreranno i fatti successivi;
- la situazione “a contatto” tra i militari e le camicie nere fa escludere la possibilità di uno sparatore non identificato nelle prime file, così come la traiettoria del proiettile risulta incompatibile con un fuciliere che, sparando da dietro, avrebbe dovuto alzare l’arma, per evitare di colpire qualcuno dei suoi che fanno muro;
- le svariate testimonianze rese da testimoni oculari nel dopoguerra concordemente attribuiscono agli Arditi del popolo la responsabilità di quel colpo. (5)
Sta di fatto che, a quel punto, i militari aprono il fuoco sulla massa fascista (che risponde con rabbia) e fanno, in poco meno di un minuto di intensa fucileria, sei morti e una quindicina di feriti, dopo di che si ritirano (hanno anche loro un altro morto) lasciando il campo alle Guardie Regie accompagnate da camion con mitragliatrici montate.
Mentre la maggior parte dei fascisti rimane sul piazzale della stazione, a comporre i morti e soccorrere i feriti, un buon numero si sbanda, e, se alcuni si infilano nelle stradine che circondano la stazione, i più cercano una via di fuga nelle campagne alle spalle, senza immaginare che proprio lì sono concentrati Arditi del popolo e inferociti contadini in armi.
Ed è così che si scatena una furia che ha dell’inumano, in una “caccia al fascista” che – anche in questo caso – presenta drammatiche e impressionanti somiglianze con quel che accadrà nelle “radiose giornate” dell’aprile ‘45.
I morti saranno cinque: quasi tutti finiti a pugnalate, spesso dopo prolungate torture con ferri roventi, mentre i colpi di fucile sono generalmente a bruciapelo, presumibilmente sparati da vicino a vittime che si erano inconsapevolmente consegnate ai loro carnefici.
I feriti una ventina, in gran parte salvati in extremis da pattuglie di Carabinieri e Guardie Regie che perlustrano le campagne: uno incatenato ad un albero sotto il quale sono già ammonticchiate fascine per il rogo, alcuni legati a veri e propri pali di tortura, altri nascosti tra i cespugli, in rassegnata attesa della morte.
Protagoniste di molti episodi atroci sono le donne; lo testimonieranno in parecchi, negli anni successivi, in sede processuale, attribuendo ad alcune di loro la responsabilità di episodi di sadica violenza, mentre “L’Ordine Nuovo” del 23 luglio si limiterà a scrivere – non si capisce se con addolorato stupore o con orgoglio – che: “C’è chi dice che quattro fascisti sarebbero stati uccisi da donne del popolo armate di fucili”.(6)
In paese, frattanto, si organizza la partenza dei fascisti, che inizia già verso le 6,30 del mattino, con treni ordinari e uno speciale.
Prima, però, Dumini “solo e disarmato” (7), si reca nell’ufficio di Jurgens (che lì è tranquillamente tornato, dopo aver provocato quel macello) a chiedere l’intervento delle ambulanze per i feriti e un colloquio con il Procuratore, per ottenere la scarcerazione di Ricci.
Le sue richieste sono accolte: i feriti vengono soccorsi (anche se non mancheranno casi di maltrattamenti e percosse ad opera degli infermieri comunisti) e il ras carrarese è scarcerato verso le 10,30, così che, con gli altri suoi compagni di cella, può salire a bordo di un convoglio: a tre chilometri da Sarzana il treno viene fatto oggetto di un violento fuoco di fucileria, che provoca un’ultima vittima tra gli uomini di Dumini.
Su Sarzana cala una coltre di silenzio, mentre i fascisti organizzano, nelle città di provenienza, i funerali dei loro morti, man mano che i cadaveri vengono recuperati e, sia pure faticosamente, a causa delle sevizie che ne hanno deturpato i lineamenti, riconosciuti.
Squadre armate di social-comunisti ed anarchici continueranno a circolare per diversi giorni nel paese e nelle campagne, nel complice silenzio delle Autorità; a farne le spese, con aggressioni e ferimenti, innocenti di passaggio, scambiati per fascisti in perlustrazione prima di un temuto ritorno per vendetta.
L’Ispettore Generale di PS Vincenzo Trani, presente in zona per coordinare le attività inerenti all’ordine pubbl
ico e poi per condurre un’indagine sui fatti, sembra non accorgersene, e si muoverà in direzione dichiaratamente antifascista. Egli: “ha un’idea fissa, una sorta di bussola che guida tutti i suoi atti…..che, cioè, una volta disarmati i fascisti, le cose si appianeranno e tornerà la normalità. “Il segno della volontà di pacificare questa zona – scrive ad esempio il 28 luglio – risiede solo nel disarmo dei fascisti e non vi sono indizi che lo facciano ritenere prossimo, poiché coloro che nel fascismo si sono formati una posizione non intendono rinunziarla, e insistono nel dire che prima debbono essere disarmati gli anarchici e i comunisti, e poi essi deporrebbero le armi, da tenersi sempre pronte, per farne uso al primo bisogno” (8)
ico e poi per condurre un’indagine sui fatti, sembra non accorgersene, e si muoverà in direzione dichiaratamente antifascista. Egli: “ha un’idea fissa, una sorta di bussola che guida tutti i suoi atti…..che, cioè, una volta disarmati i fascisti, le cose si appianeranno e tornerà la normalità. “Il segno della volontà di pacificare questa zona – scrive ad esempio il 28 luglio – risiede solo nel disarmo dei fascisti e non vi sono indizi che lo facciano ritenere prossimo, poiché coloro che nel fascismo si sono formati una posizione non intendono rinunziarla, e insistono nel dire che prima debbono essere disarmati gli anarchici e i comunisti, e poi essi deporrebbero le armi, da tenersi sempre pronte, per farne uso al primo bisogno” (8)
Fin qui la cronaca dei fatti: occorre ora procedere ad un’analisi del “perché” essi si siano verificati, delle responsabilità, del “mito” che li ha accompagnati, e anche accennare a qualcuno dei protagonisti
Nella foto: squadra “L’Ardita” di Sarzana
NOTE SECONDA PARTE
(1) L’ipocrita e vile giudizio dei borghesi e l’irato commento fascista dopo l’eccidio di Sarzana, in: Mario Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano”, Roma 1980, pag 186
(2) Sembra più credibile la cifra di 300, se non altro perché 129 furono gli “identificati” dalle Forze dell’Ordine (presumibilmente al momento della partenza dei treni del rientro); 170 “sbandati” che rientrano con i propri mezzi (cioè, a piedi) appare un numero più che congruo
(3) Per avere un’idea sulla situazione del fascio di Firenze, può essere utile il pur faziosissimo: Roberto Cantagalli, “Storia del fascismo fiorentino 1919-25”, Firenze 1972
(4) La relazione in: Riccardo Borrini, “Il tricolore insanguinato”, Copiano 2005, pag 132 e segg
(5) Vds Franco Ferro, “I fatti di Sarzana”, Sarzana 1971, pag 79
(6) in: Giuseppe Meneghini, “La Caporetto del fascismo”, Milano 2011, pag 150
(7) Così Giuseppe Mayda, “Il pugnale di Mussolini”, Bologna 2004, pag 96
(8) In: Meneghini, op cit, pag 165