“La saggezza della Terra è ordine senza allineamento, si trova con tutto e con tutti. Il codice vibrante è il linguaggio della Madre perché noi possiamo evolvere e capire”
(Giuliana Poli, tratto da” Dio è femmina”)
La genesi della Madre veniva officiata l’11 giugno, a Roma, con il culto di Mater Matuta (festa di origine etrusca), la festa delle BonaeMatres dell’Aurora. La ritualità ripropone il momento nel quale il femminino riproduce se stesso. E’ la festa della rivincita femminile, in cui viene esaltato il ruolo della zia e delle sorelle che si scambiano la prole. Nei luoghi di questo culto era vietato l’accesso agli uomini, pena la morte. Erano presenti soltanto donne vergini o sposate una sola volta, il cui marito era ancora in vita e ne erano severamente escluse le donne in condizioni servili. L’unica ammessa era una schiava che subiva il rituale del “venir cacciata” con schiaffi e colpi di verga, poiché il principio femminile non può ammettere nessun tipo di sottomissione. La malcapitata era di solito di proprietà del marito e quindi non libera. Per la nobiltà femminile della societas romana lo stato della donna schiava implicava “l’allontanamento dell’esser donna”, e lo star fuori da qualsiasi partecipazione ai culti dedicati al principio femminile stesso. La derivazione di questa festa romana arriva da molto lontano, dal tempo in cui alcune donne speciali si autogeneravano. E’ giunta l’ultima età dell’oracolo cumano: nasce di nuovo il grande ordine dei secoli.
Già torna la Vergine…
Già la novella prole discende dall’alto del cielo.” Virgilio IV Ecloga (4-7). Nel primo matriarcato le Madri dee partorivano figlie a loro identiche. Ri- troviamo questa realtà, oltre che nella festa dell’11 Giugno, anche nei Misteri Eleusini, dove il mistero di Demetra e Kore/Persefone è solamente al femminile (se eliminiamo le successive aggiunte operate dai Greci con l’ingresso violento nella storia da parte di Ade). Demetra è una dea partenogenetica pre-ellenica che aveva creato spontaneamente dal suo essere, oltre che il mondo naturale, anchePersefone. Partenogenesi significa auto-concepimento. Dalle vergini divine scaturirono degli ordini sacerdotali fem- minini, le Ninfe, che aspiravano a replicare le capacità partenogenetiche delle loro madri. La parola Parthenos identificava proprio questa pratica: la procreazione di bambine speciali, future regine monadi, uguali alla madre. Ad un tratto, a cause di episodi violenti (si pensa ad Ade che rapì e imprigionò Persefone), questa tradizione fu spezzata dall’instaurazione del patriarcato, che negò il potere delle sacerdotesse facendo avvenire la “cadu- ta”: lo hierosgamos, un matriarcato “impuro” in cui avveniva l’unione fra una figura divina ed una umana. Le nozze sacre tra la sacerdotessa del tempio ed il futuro re avevano lo scopo di creare la discendenza patrilineare sacra. La divisione doverosa tra le due tipologie di matriarcati spiega e risolve molte cose, prima fra tutte la figura paradossale di Artemide che rifiuta l’accoppiamento eterosessuale ma che è anche la dea cui le donne si affidano durante il parto. Si comprendono anche gli strani stupri sulle ninfe di cui è piena la mitologia greca, perpetrati dalle divinità maschili come esempi d’intrusione nei misteri femminili della nascita divina. Questi fatti giustificano anche la “collera mitologica” delle dee gravemente offese che in molti racconti puniscono le ninfe coinvolte in simili episodi.
La colomba e l’ape: Dodona ed Erice
La colomba e l’ape rappresentarono i simboli della nascita divina delle sacerdotesse oracolari di Dodona e Delo . Il verbo “oracolare” significa non solo profetizzare, ma anche “sollevare”, “fare profezie”, “concepire nel grembo”. L’oracolo di Dodona, secondo Erodoto, fu fondato da una sacerdotessa egiziana portata lì perché rapita dai Fenici. Si fermarono in quel luogo per messaggio di una colomba, tanto che le sacerdotesse di Dodona furono chiamate “pleiades”, ovvero colombe. Molto probabile che questa città fosse stata fondata dai Pelasgi, i primi abitanti della Grecia. Solo nel 1900-1400 a.C. questo luogo ebbe come dio Zeus, ma da Pausania si apprende che prima erano presenti solo le sacerdotesse, e questo è noto dai simboli religiosi evidentemente matrilineari. Le colombe, i cinghiali, le asce bipenni, i tripodi, i poteri profetici della quercia e le forme ctonie del tempio poi utilizzato da Zeus confermano un precedente culto della Madre Terra. Il primo nome formale di dea che apparì a Dodona è Dione, che deriva da “dis/dios”, la cui radice è “splendere”. I Pelasgi non davano mai nomi alle divinità, li chiamavano solo “theoi”: dei. Lo stesso nome Dione deriva da YVNH/ionah/ione/colombe. L’identificazione di Dione perdurò nel tempo, tanto da essere sacra anche ad Afrodite. Da Ionah potrebbe derivare Giona/Giano, che nella mitologia rappresenta i due solstizi. Nel tempio di Dodona la colomba faceva la spola con l’Africa, luogo di origine della dea; lo stesso avveniva nel tempio di Erice, dove il sacro volatile era in Sicilia e solo per nove giorni migrava in Africa come a ricordare l’antico centro oracolare delle origini. Sulla sommità di Erice (Trapani), posto sull’omonimo monte, anticamente era preesistente il luogo dedicato a Venere Ericina, un tempio ricchissimo e molto potente. Due grandi feste officiavano gli abitanti di Erice: Anagogie e Katogogie, cioè rito di partenza e di ritorno. Ecco cosa scrive Ateneo:
“In Erice di Sicilia v’ha certi giorni che appellano Anagogia o dipartita, nel quale dicono che Venere si tramuti nell’Africa. Appresso al nono dì che dimandanoKatagogie o di tornata, una colomba svolazzando dal mare nel tempio di quella si posa, e le altre tutte le vengon dietro. Allora i ricchi per tutti in trono banchettano, gli altri menano gran festa, la contrada olezza di burro, indizio della ritornata divinità”.
Eliano, storico del tempo, aggiunge un particolare adducendo che la colomba precorritrice non è come le altre ma è “rossoreggiante”; la stessa cosa dice Anacreonte, che imitando Omero dipinse Venere come un’aurea porporina e questo si concilia con l’idea della Venere/Spirito di fuoco che ha forma di fallo, come la Venere steatopigia, che nella simbologia successiva è divenuta uccello-colomba.
Io sono ciò che è stato e che sarà e nessuno ha mai sollevato il mio velo
Il famosissimo testo legato a Iside Regina potrebbe essere un’allusione proprio al residuo culto della partenogenesi pura. La colomba quindi era simbolo di partenogenesi e non di procreazione eterosessuale, anche perché depone le uova senza copulare. Le sette sorelle, incarnazione delle sette Pleiadi chiamate colombe o gallinelle erano le sette amazzoni che accompagnavano Artemide nella caccia. Erotodo dà una spiegazione al motivo dell’importanza del volatile totemico: scrive che la lingua egizia fondatrice dell’oracolo, quando venne udita dai Pelasgi, sembrava proprio il pigolio della colomba, che assomiglia molto tra l’altro al rumore del suono cosmico. Tale musica, lo strix (da cui deriva strega)è tipico delle sacerdotes- se colombe “messaggere”, ovvero Anime che scendono ma che ritornano sempre alla Madre celeste, la quale “dimora eterna fra le stelle”. La colomba rappresenta quindi l’essenza della divinità stessa nel suo aspetto femminino. In Anatolia era sacra a Cibele, a Babilonia adIsthar, in Fenicia ad Asthor, A Roma ed Efeso ad Artemide. L’iconografia cristiana ha ripreso la colomba proprio da questi antichi culti femminili, ed incarna lo Spirito Santo.
Pleiadi e costellazione del Toro
La costellazione delle Pleiadi è vicina a quella del Toro, identificato con Orione/Zeus/Elios, anche se questa costellazione, in alcune tradizioni greche, era ricollegata non al toro maschio ma alla vacca, rimandando agli antichi culti femminili partenogenetici e ad Hathor, dea con le corna. Gli egizi chiamavano le Pleiadi Athurai, le stelle di Athir, ovvero Hathor: le sette Pleiadi con la dea che è l’ottava. Nel sacro Libro Egizio dei Morti si scrive “… che nel rituale delle sette vacche e il loro toro, il defunto, per essere ammesso al loro seguito luminoso, doveva rinascere dalle loro cosce e bere il loro latte divino o ambrosia”. Di questo latte si ciberanno tutte le divinità maschili o eroi. Il latte è la Via Lattea, da risalire all’indietro, da parte delle Anime, nel loro viaggio verso l’aldilà. E’ il luogo dove le Anime di luce si reincarnano, quindi è sede d’immortalità e centro dell’universo. Porfirio, nell’“Antro delle ninfe”, credeva che le Anime fossero riunite nella Via Lattea e s’incarnassero sia come ninfe che come api. Secondo il mito, entrambe si rigeneravano spontaneamente dalle carcasse del bestiame in decomposizione, quindi dal bovino celeste da cui le anime emergevano, che non è altro che la costellazione del Toro, o meglio di Hathor. Interessante notare che il filosofo afferma che gli antichi consideravano sacre non tutte le api (anime), ma solo quelle che vivevano in modo virtuoso, in modo da poter tornare in cielo “dopo aver fatto cosa gradita agli dei”, ovvero dopo aver eseguito bene il proprio compito terreno. Le api sono l’incarna- zione di anime speciali, le sante parthenoi. Da Porfirio apprendiamo che le Pleiadi facevano incarnare esseri divini e speciali. Platone, nel “Timeo”, scrive che le anime sono impiantate in una stella e che “quelle virtuose tornano a casa dalla stessa” e saranno nutrite con il latte che non è latte materno ma l’ambrosia dell’immortalità associata alle madri partenogenetiche che sono sette. Questo numero (7) se moltiplicato, non appartiene alla decade (10) e non è prodotto dalla moltiplicazione di alcun numero, ma solo da un’addizione 4+3 ovvero terra + cielo; per questo, essendo un numero primo, è associato alle dee, ad Atena per esempio, nata senza padre e senza madre. Gal (da cui deriva gallinella e quindi anima) è comunque chiamata la Via Lattea che in alchimia è la materia prima della grande opera. La parola Pelago, ovvero il primo uomo dell’origine nato sulla Terra, è dato da Pel + ago, una parola bifronte il cui inverso è Gal quindi Log + Gal + ape. In Pelago è presente non solo il Gal, il latte della vergine primordiale, ma anche il Pel, la pietra che racchiude il segreto del fuoco e anche ape. E’ una parola quindi che essendo bifronte rappresenta l’anima che scende con moto orario e sale nel ritorno in senso antiorario. Non è un caso che gli Egizi dessero più importanza alla morte, che nella realtà era una ri-nascita divina che avveniva con moto antiorarioe meno importanza alla nascita, che in realtà è la morte (senso orario). Entrambi i “moti temporali” sono rappresentati dal mito di Ianus bifronte ed è ora spiegabile come il nome del primo nato dopo la rottura dell’uovo cosmico sia “Pelago” (che abbiamo analizzato sopra), in quanto racchiude il concetto del movimento della ruota celeste rappresentato dalle Pleiadi e da chi cammina: il Sole.
Il “solve et coagula”
Tornando ai riti ericini e agli effluvi del burro durante la festa di cui parla Ateneo, in alchimia il cagliare il latte per fare il burro e coagulare il sangue sono simbolicamente lo stadio iniziale per la formazione di una creatura. E’ il mistero della vita chiuso dentro due sacre parole: “solve et coagula”, fondamento dello Spirito alchemico. E’ la forza trasmutatrice del fuoco di Venere che contiene in sé le gemelle, una è nell’etere la seconda creata a sua immagine e somiglianza nella parte terrena nei due aspetti: (la forma della colomba) in una (entità della colomba), principio di vita che crea e dissolve. Da ricordare che tutti i centri oracolari del periodo arcaico erano collocati tutti tra due monti gemelli e sulla pietra oracolare ovale erano incise le due colombe che andavano e tornavano, come nella realtà si alterna la parte spirituale a quella materiale dell’Una. Se ricordate La colomba del tempio di Erice è rossa, colore che simboleggia il fuoco dell’universo presente in tutte le manifestazioni e che alchemicamente trasmuta continuamente: la materia che crea, conserva e distrugge. Le tre manifestazioni del fuoco sacro (Philòs, Agape ed Eros) sono incarnate nel mito da Venere, la Una e la trina: Ar-Gal-Pel. Ar è la grotta, la fornace dove si crea la sostanza primordiale interme- dia tra le fiamme periferiche e la massa fredda umida centrale che girano in un “kirkus” che è alla base del circulus, cerchio da cui deriva Circe: “Colei che scatena le allucinazioni metamorfiche di trasformazioni sovrannaturali generative dell’universo”, circolare come il moto del Sole. Nel Sator dalla N centrale di TENET che in latino significa “per sempre”, parte la ROTAS e il suo contrario SATOR. AREPO è l’asse con il quale il seminatore regge la ROTAS. TENET regge ferma con ENE, racchiudendola la locuzione “per sempre”. Le colombelle quindi erano messaggere del piano materiale della terra (nera) e spirituale (rossa come il fuoco). Il numero nove (il tempo in cui mancavano da Erice per recarsi in Africa) è sacro poiché è il multiplo di tre, la perfezione, che sta ad indicare l’eternità, ovvero la triade femminile moltiplicata per se stessa come principio e fine del tutto. E’ il numero dell’iniziazione e della matrice per cui rappresenta l’archetipo femminino per eccellenza che feconda e genera. Questa alternanza è legata alle due porte solstiziali: la porta degli uomini terrena e materiale che è il Solstizio d’Estate (21 giugno) e quella degli dei legata al Solstizio di Inverno (21 dicembre).
Il mito di Dodona, proveniente dall’Africa e attecchito in Grecia come quello di Erice è l’antichissima storia delle prime antenate di gran parte della razza umana. Studi sul DNA mitocondriale evidenziano come tutti gli individui discendano da sette madri del mondo partenogenetiche. Su questa idea si fonda il culto di Mater Matuta, a Roma, che festeggia l’Aurora, gli albori del mito della donna autogenerata, indipendente, che ha scelto di esser prima madre, poi moglie, con una funzione assoluta e centrale nel sistema sociale in cui opera. Le matrone nobili romane conoscevano bene la loro origine. Mater Matuta è il ritorno ad Artemide, essere libero e autonomo nella scelta di divenire madre per assolvere al suo compito primordiale di essere matrice del tutto. L’abitudine all’esercizio della propria volontà le consente di non diventare dipendente da nulla e da nessuno, di portare a termine il compito riproduttivo assunto senza che questo diventi totalizzante per la sua vita. Pro- prio per questo le matrone schiaffeggiavano le schiave e scambiavano la loro prole solo con le sorelle come ancora fossero dee, come l’Aurora che prende in consegna il Sole o il fuoco, figlio della sua sorella Notte, e s’incarica di averne cura come fa una zia. Con questo culto le matrone ripercorrono il momento della genesi, della madre celeste Regina del Sole che caccia l’informità nera, respinge l’ostilità, le tenebre, come un eroico arciere caccia i nemici, insidie della notte. La medesima azione è mimata nei Matrinalia dalle BonaeMatres contro la schiava, in quanto rappresenta le forze malvagie, il negativo, che deve esser “cacciato via” sempre con lo stesso meccanismo: distruzione per ripristinare la giustizia della Luce. Mater Matuta porta il Sole ed è amorevole, buona e forte, tanto quanto è cattiva contro le demoniache tenebre. E’ l’impegno volontario assunto nei confronti dei flussi di energia vitale in continuo e costante rapporto con la Natura e con il cosmo nel suo insieme. L’ambivalenza del Sole splendente visibile (giorno) e di quello nero invisibile (Notte) per i Regveda, che sono gli inni della conoscenza indiana (I,24,8), è chiara: sono sorelle. Non è un caso infatti che il Sole venisse chiamato “La Sole”. Durante il giorno il Sole asciuga, la notte invece si riflette nello specchio argenteo della Luna che bagna la terra permettendo la vita (la scissione dell’1 in 3). Aurora rappresenta l’incarnazione che avviene attraverso la Luce, poiché è la geometria di ogni forma e sostanza universale. Insieme al calore si manifesta nel nostro mondo sensibile, ha bisogno della materia pura primigenia, ossia di particelle subatomiche e atomi che appartengono alla genesi. E’ la festa segreta, solo al femminile, uno spazio ricreato dalle donne romane ormai sottoposte al culto patrili\neare per ricordare la loro vera identità, derivante non da una femmina mortale, ma da una dea.
Giuliana Poli
Fonte: www.ishamagazine.it