Chaos indica in origine la distanza intercorrente fra cielo e terra, una sorta di abisso indistinto e nebuloso. Quel precipizio di cui parlerà Nietzsche a cui l’aquila s’arpiona al ciglio e non ne teme la profondità. Solo più tardi assume la valenza di disordine (e anche qui ‘le stelle danzanti’ dello Zarathustra ne sono eco), a cui i quattro elementi – la terra e l’acqua, l’aria e il fuoco – Pongono rimedio. Appunto legittimando il detto che l’ordine insegue il disordine. E così Eraclito e Parmenide – simili e difformi nel contrasto più apparente che in realtà tra il divenire e l’essere – si ergono anch’essi a proteggere dal timore panico che attanaglia l’uomo greco, del tutto simile al bambino atterrito dalle ombre della Notte (strettamente correlata con il Chaos, del resto). Un fanciullo che genera il mondo, da cui abbiamo tanto attinto e a cui ricorriamo.
Rileggendo vecchi appunti e pubblicazioni mi ritrovo frammenti di Melisso di Samo, discepolo di Parmenide ma anche di Eraclito (dimostrando la banalità delle contrapposizioni dovendosi leggere quasi una sorta di dialettica hegeliana). Filosofo acuto (Diogene Laerzio gli attribuisce aver indicato ai concittadini di Eraclito il suo valore) e uomo politico apprezzato (ne parla Plutarco rilevando autorità e abilità nello sconfiggere gli Ateniesi). Dando qui ulteriore avallo all’ipotesi di chi ritiene i filosofi presocratici di fatto schierati, nella vita della pòlis, chi con gli aristocratici (l’Acropoli) chi con la nuova classe dei mercanti (l’agorà). La spada e il possesso della terra contro il denaro e i commerci in mare…
Altro saranno quegli aristocratici che, e nello scorrere del tempo e in tanta parte d’Europa, diverranno di se stessi pallida ombra e il sangue si ridurrà immagine di privilegio arrogante; d’altronde la ‘democrazia’, quale indiscriminata estensione di libertà ed uguaglianza di cui si farà pilastro e vanto (se siamo liberi, però, non si può essere uguali e viceversa), poco o nulla riguarda le sue origini nella ‘piazza’ della città greca. Quando il deforme Tersite, il più vile, all’inizio dell’Iliade (Libro II), aizza i soldati achei contro i rispettivi re guerrieri sulla spartizione del bottino (il latinista Concetto Marchesi da marxista tenta una improbabile riabilitazione in nome degli umili e degli oppressi, rifiutando l’ideale greco della kalos-kai-agathia), non soltanto riceve mazzate da Ulisse tanto da suscitare la derisione dei suoi stessi compagni ma il signore di Itaca rinnova il senso di quel diritto in quanto la sovranità discende dalla razza degli dei. E, siamo già nella seconda metà del XIX secolo, l’erede dei Borboni di Francia, Enrico V (il conte di Chambord, in esilio), rifiuta l’offerta di salire al trono propostagli dal parlamento francese in quanto egli non può rinnegare la bianca bandiera con i gigli e giurare fedeltà al tricolore, simbolo della Rivoluzione dell’’89. E dei borghesi si potrà dire altrettanto distinguendo, là dove è lecito, gli uomini dal censo e dalla morale.
Che c’entra, mi si dirà, il prossimo paragrafo incentrato sulle folli esternazioni di Céline, quell’ininterrotto vomitio di parole punti esclamativi tre puntini di sospensione? Devo darvi spiegazioni? Sarebbe umiliante in primo luogo per il sottoscritto e per voi tutti, tanti o pochi affezionati lettori. Ricordo la collaborazione con Ereticamente ebbe inizio con alcuni interventi – sei, se la memoria non mi tradisce – sull’anarco-fascismo e Céline la faceva da padrone, ovviamente. Contro tutti e contro tutto, in fondo a difesa del Non-Essere e di tutti coloro che, compreso Melisso di Samo, s’intestardiscono con le maiuscole… Andate su youtube, Edith Piaf, l’usignolo, con il giovane amante greco che l’aspetta nel letto in attesa di intascare l’eredità, e Je ne regrette rien (no, non rimpiango nulla, nulla rinnego, ed io in buona compagnia con tutti i folli i disperati i funamboli bastoni e barricate), ascoltate. Visioni miraggi il deserto cresce stranieri della legione perduta di tutte le legioni nei deserti della mente e del cuore. Contro…
Ecco: ‘Non sono uno scrittore, sapete, uno di quelli che si ruffianano i giovani, che rigurgitano di idee, che sintetizzano, che hanno delle idee! Sono soltanto un piccolo inventore, proprio così!… non mando messaggi al mondo, io, no! Quel che ho inventato… l’emozione del linguaggio scritto!… sì, il linguaggio scritto era a secco, sono io che ho restituito l’emozione al linguaggio scritto… la trovata, la magia, che adesso qualsiasi coglione può commuoverla per iscritto!… ritrovare l’emozione del ‘parlato’ attraverso lo scritto! Non è niente, è l’infimo degli infimi, ma è sempre qualcosa! (Parola di Céline, qualcosa di mio) al punto in cui siamo, non tarderà troppo, la maniera emotiva, uno di questi giorni sarà alla moda… nemmeno io, io in persona, saprei dire quante volte mi han copiato, trascritto, trafficato! La natura concede molto, solo molto di rado… tutti a quelli che vanno in giro a strillare che si sentono, loro, pieni fino al collo di invenzioni, sono solo dei sacramenti di pagliacci… l’emozione non si lascia riprodurre attraverso lo scritto se non a prezzo di sforzi, anni di marciapiede accanito, austero, monacale, e molto culo… proverbio spagnolo (riportato in Bagatelle per un massacro): con molta vasellina e tanta pazienza l’elefante s’incula la formica… ho sempre dovuto rubare, riscattare la mia vita, giorno per giorno, di mano in mano… con centomila astuzie e miracoli! … no!… non posso raccontare la mia vita… mi sale alla gola… mica tristezza… beninteso… me la sono anch’io goduta… ma non posso più spiegare agli altri quel che sono, che son solo un acrobata sulla corda tesa a 45 metri… la mia musica…’ (riconoscersi ritrovarsi rinnovarsi).
La potenza dell’Essere è nel silenzio; la forza del Nulla nella parola. Ciò motiva la scelta di citare Céline che del linguaggio fu ardito innovatore. La potenza dell’Essere si esplicita nella ragione; la forza del Nulla risiede nelle emozioni. E Céline – come altri ‘guerrieri della Nientità’ (ad esempio, Mishima Yukio) – antepose la passione i sentimenti il corpo rispetto ai confini del ragionamento. E questo Nulla, simile dunque al Chaos, non solo precede le forme costituite ma porta in sé la vocazione della distruzione/edificazione. Bakunìn lo rileva nei suoi scritti, ove c’è il principio dell’annichilimento là s’accompagna la visione del nuovo che si erge si consolida dà senso alle rovine. E nel riso del bambino, nel suo puntare il dito contro ‘il re nudo’, l’Essere si raggela si distanzia cerca nella metafisica l’origine di sé ed evita così il mettersi in gioco, il confronto.
E’ ora di tornare, però, a Melisso di Samo, i cui frammenti ci sono pervenuti tramite il filosofo e matematico bizantino Simplicio (VI secolo d.C.), commentatore delle opere di Aristotele. Quel Simplicio di cui Galileo si servirà nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo per mettere in ridicolo i pregiudizi e i dogmatismi dei filosofi peripatetici del Seicento, incapaci di accettare le grandi innovazioni nel campo della Fisica e, in primo luogo, la rivoluzione copernicana. ‘Egli (Melisso) scrive: Sempre fu ciò che fu e sempre sarà. Che se fosse nato, sarebbe necessario che prima di esser nato fosse nulla; e se fosse stato nulla, in nessun modo avrebbe potuto nascer nulla da nulla’. Ed altri riferimenti al suo pensiero portano ad analogo intento. Siamo in linea con Parmenide, a proteggere l’uomo greco – e, suo tramite, l’uomo d’Occidente – dall’‘horror vacui’ (‘la natura aborre dal vuoto’, dice Aristotele in riferimento e aperto dissenso da Democrito e la teoria degli atomi vorticanti nello spazio aperto. Già Platone, si narra, avesse ordinato a due discepoli di bruciarne i libri e costoro disattesero la richiesta). Il rifiuto dello spazio vuoto, nell’arte con il sovraccaricare di ornamenti, espressione d’insicurezza e di fragilità nell’ambito della psicologia, senso d’abbandono (già Socrate rimane nella cella dei condannati a morte perché, lontano da Atene, si sente perduto, un ‘niente’).
Verrebbe la tentazione di confrontarci con l’Oriente, le sue dottrine, le tecniche di realizzazione del sé e le tecniche di liberazione dalle illusioni del sensibile. Non tanto in cammino verso l’Essere tronfio di sè (così guardava Drieu la Rochelle preparandosi a ingerire un flacone di gardenal ed aprire il rubinetto del gas), ma verso l’annientamento di quella sorta di ricorrente prigione che è la concezione del karma. Si racconta di Pirrone, che fu promotore della scuola scettica, che aveva seguito Alessandro Magno nell’impresa contro il re di Persia e che si era spinto fino alla pianura dell’India Arya. In quei luoghi egli s’era incontrato con alcuni ‘gimnosofisti’ (così i greci chiamarono i cultori dello yoga) ed uno di costoro, a dimostrazione di quanto la vita ed il corpo fossero mero inganno, si diede fuoco davanti a lui. Così, rientrando in Occidente, Pirrone si rese conto ed insegnò che la ricerca (da qui il termine ‘scettico’) era nobile impegno ma vano. Allora su di lui e i suoi seguaci, nel tempo, si scagliò l’anatema di tutti i cultori delle verità rivelate. Tutta la filosofia si sarebbe ridotta a poca cenere o, come scriveva Céline, un inutile simulacro per mascherare la paura della morte…
Arthur Schopenhauer si diede a inserire ne Il mondo come volontà e rappresentazione termini tratti dalle dottrine induiste e dal Buddhismo, ma forse poco le intese (e poco seppe farne modello di vita), tanto che, quando affronta il tema del Nirvana (apice d’ogni distacco), lo relega nell’ultima pagina del suo libro e ne tratteggia poco più o poco meno di… niente. (Figure quali Stirner e Nietzsche sono altra cosa e il tema del Nulla nell’esistenzialismo e in Heidegger altro ancora). Così Parmenide e il suo discepolo Melisso furono insigniti del merito d’aver dato il fondamento alla filosofia e… così sia.