Da studente, lessi con grande interesse i libri di Alain de Benoist. Eravamo negli anni Settanta: l’Italia viveva i drammatici “anni di piombo”, seconda fase della guerra civile. La parte politica nella quale militavo, la “destra”, sembrava attardarsi culturalmente sulle posizioni del nostalgismo neofascista, incapace di leggere il reale con strumenti esegetici innovativi. Subiva, quindi, l’egemonia culturale degli avversari. Anzi, non riusciva neppure, schmittianamente, a individuare il nemico cui contrapporsi.
Nell’intervista, egli ricostruisce le proprie esperienze politiche (l’iniziale militanza nella destra estrema, all’epoca della guerra d’Algeria), i primi esperimenti giornalistici, la creazione del GRECE e della ND e delle riviste ad essi collegate, soffermandosi su figure chiave, che hanno esercitato su di lui un’influenza significativa. Tra queste, va ricordato Giorgio Locchi, il cui ruolo, nella via teorica di de Benoist, fu assai rilevante: «Mi ha insegnato come, basandosi sui concetti nietzschiani […], fosse possibile reinterpretare la tridimensionalità della temporalità storica, vedendo “passato” e “futuro” solo come dimensioni date in ogni istante presente» (p. 209). Oltre ciò, dalle intuizioni del pensatore italiano, de Benoist ha tratto l’idea per la quale ogni “mitema”: «si esprime dapprima in forma teologica, poi come ideologia secolare, infine in una forma dalle pretese “scientifiche”» (p. 209). Proprio per influenza di Locchi, la ND negli anni Settanta individuò quale “nemico principale”, l’egualitarismo, stigma della modernità. I rapporti tra i due si diradarono nel periodo in cui, il francese, avvicinatosi a Louis Pauwels, dette vita, con quest’ultimo, all’esperienza de Le Figaro-Magazine, che gli concesse notorietà internazionale. Operazione probabilmente giudicata “entrista” da Locchi. Anche Dumèzil è stato, senz’altro, uno degli autori di de Benoist. La concezione dell’ideologia tripartita dei popoli indoeuropei condusse il filosofo della ND a interpretare la modernità quale epoca dell’usurpazione esercitata dalla terza funzione (mercantile), nei confronti della prima (conoscenza): modernità, quindi, quale età della sovversione borghese.
Le tesi religiose de Benoist, ribadite in Memoria viva, sono decisamente critiche nei confronti del cristianesimo e mirano alla rivalutazione filosofica dei culti classici: una rivalutazione, si badi, assai diversa dal ritualismo fideista, o sterilmente reazionario, proprio di certo neo-paganesimo. Tale posizione, durante l’adolescenza, si manifestò quale atteggiamento spontaneo nei confronti della vita e, in seguito, si consolidò, sotto il profilo intellettuale, attraverso le letture di Rougier, Nietzsche e Heidegger. Memoria viva chiarisce, infatti, come l’enciclopedismo del francese, abbia trovato sintesi nell’incontro con la tradizione filosofica, in particolare con il pensiero di Nietzsche: «La sua interpretazione della morale cristiana […] dava forma a qualcosa che fino a quel momento avevo intuito solo confusamente» (p. 77). Da quel momento, la critica del cristianesimo è diventata per de Benoist questione di coerenza intellettuale. Non è possibile, infatti, criticare liberalismo e marxismo, così come la gran parte delle idee contemporanee, senza cogliere la loro origine nell’individuo-universalismo, che si è imposto in Europa con l’irruzione della buona novella: «La distinzione teologica tra essere creato ed increato porta in sé l’idea della […] svalutazione del mondo» (p. 391). La teologia della storia biblico-cristiana è, del resto, all’origine degli storicismi moderni.
Per chi scrive, l’incontro davvero dirimente, il fondatore della ND lo ebbe con Stéphane Lupasco, studioso di logica ed epistemologia, almeno in Italia, pressoché sconosciuto. Questi sosteneva la contraddittorietà del reale, che avrebbe potuto esser colta, a suo dire, solo attraverso un approccio logico atto a registrare la dimensione metamorfica del mondo, che si sottrae alle distinzioni escludenti indotte dal principio d’identità. Stando a tale logica “magica”: «le cose reali possono essere questo e quello, possono essere una cosa e il suo contrario […] il terzo incluso permette di sintetizzare ciò che viene opposto artificialmente […] realizza l’unione dei contrari» (p. 212), la coincidenza degli opposti. In ambito politico, la logica del terzo incluso, induce il superamento dell’affermazione: «né destra, né sinistra», tipica delle “terze vie” novecentesche, nel nome di una sintesi inclusiva: «e destra, e sinistra».
Dietro ogni filosofia, insegna Fichte, c’è sempre un uomo. Così si descrive de Benoist: «Sono un moderno antimoderno, che è innamorato del reale e detesta la realtà circostante» (p. 368). L’universalismo liberale è oggi il nemico da battere, sostiene il pensatore: nemico subdolo, in quanto la Forma-Capitale, ha colonizzato, con la merce, il nostro immaginario. Esso, in ogni ambito, realizza la dismisura, l’abbattimento di limiti e frontiere. All’Unico della società post-moderna, de Benoist, contrariamente a quanto sostenuto dai “sovranisti”, memore della lezione evoliana, contrappone il locale, il regionale, l’Europa federata e imperiale. Memoria viva, pertanto, può essere l’occasione per aprire un dibattito, che potrebbe risultare rilevante per il nostro futuro.
Giovanni Sessa