La recente pubblicazione sulle pagine di “Ereticamente” del mio articolo Memorie controcorrente ha sollevato diverse reazioni fra i lettori. Quando si va a parlare della nostra storia recente, diciamo degli ultimi tre quarti di secolo, si vanno a toccare nervi ancora scoperti. In un precedente articolo la cui pubblicazione sulle pagine della nostra testata risale ormai a qualche anno fa, mi era capitato di osservare il fatto che le vicende dell’epoca della Guerra Fredda, del lungo bracco di ferro fra l’Ovest controllato dagli Stati Uniti e l’Est dominato dall’Unione Sovietica, appaiono oggi ormai del tutto sbiadite, al punto che gli appartenenti alle generazioni più giovani sembrano letteralmente ignorare tutto quanto è avvenuto nel lasso di tempo non breve che va dal 1945 al 1991, cosa che provoca fatalmente una sensazione di straniamento in chi, come nelle persone della mia generazione o, a maggior ragione chi ha qualche anno in più, nella prospettiva del “mondo diviso” ci ha vissuto, e questo orizzonte è stato al centro delle sue scelte politiche, civili, culturali in un senso o nell’altro.
Al contrario, l’epoca della seconda guerra mondiale (o forse il suo ricordo deformato/manipolato), è molto più viva nella coscienza attuale, al punto che si potrebbe dire che osservando le scritte che compaiono sui muri delle nostre città, essa e soprattutto per quello che ci riguarda, la parte più tragica di essa, la guerra civile 1943-45, sembrerebbe ancora in corso.
Analizzare le reazioni dei lettori è sempre utile: i commenti elogiativi fanno piacere, danno l’idea che lo sforzo che si sta facendo non cade nel vuoto, ma sono soprattutto le critiche costruttive quelle da cui si può imparare qualcosa di nuovo.
Naturalmente, lettori attenti e preparati come quelli di “Ereticamente” “beccano” subito tutte le imprecisioni, ma anche questo fa parte delle regole del gioco.
Un lettore che si firma “Cupo”, mi fa notare che ho sbagliato circa l’età di Norma Cossetto, che aveva ventitré e non sedici anni, anche se per il resto definisce il contenuto dell’articolo “tutto sacrosanto”. Ne prendo nota, anche se questo modifica ben poco o nulla l’atrocità della tragedia subita da quella povera ragazza ad opera dei “liberatori partigiani”. Tanto per la cronaca, vogliamo ricordare il caso di Giuseppina Ghersi? Questa ragazzina fu rapita, stuprata, seviziata in modo atroce e infine uccisa dai partigiani perché colpevole di aver scritto un tema scolastico che era stato elogiato e premiato da Mussolini. Giuseppina di anni ne aveva tredici, era una bambina!
Non rispondo invece a tale “Alessandro”, non ne vale la pena, quel che afferma è semplicemente un rigurgito di propaganda antifascista di chiara faziosità come tutte le falsità che ci raccontano da settant’anni. L’unica cosa che merita osservare al riguardo, è che quando coloro che hanno subito il lavaggio cerebrale della disinformazione “rossa” su queste tematiche evocano le presunte violenze fasciste per giustificare il GENOCIDIO delle foibe, ricordano molto da vicino la parabola evangelica di chi critica la pagliuzza nell’occhio del vicino e non vede la trave nel proprio. Nessuno storico che studia gli avvenimenti di quei tragici anni con imparzialità può sottrarsi alla conclusione che le foibe non furono una reazione alle “violenze fasciste”, ma parte di un piano deliberato per annientare la presenza etnica italiana sulla sponda orientale dell’Adriatico, e se “Alessandro” nutre dubbi a tale proposito, gli consiglierei di leggere i due articoli di recensione, o meglio ancora il libro che ho recensito, Atti, meriti e sacrifici di Giorgio Rustia, tenendo magari presente che questo articolo io l’ho pubblicato subito dopo la doppia recensione nell’intento di dargli un significato di approfondimento delle tematiche trattate da Rustia.
Ben altra consistenza ha, a mio parere, l’intervento di Bruno Fanton di Treviso che si definisce “vecchio ricercatore storico” e deve avere riguardo alle cose militari una competenza senz’altro superiore alla mia (l’ho evidenziato più volte, io mi ritengo, se mi passate il termine, uno “specialista in elasticità” che si è dato un compito di apripista, sollevare questioni in diversi ambiti che poi dovrebbe toccare ad altri approfondire).
Il nostro amico apre il suo intervento con un elogio che mi ha fatto indubbiamente piacere definendo il mio pezzo “Un vero capolavoro di articolo che meriterebbe di essere divulgato nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado”, ma mi fa tuttavia notare lo stato di impreparazione delle nostre forze armate al momento di affrontare la tragica prova del fuoco delle secondo conflitto mondiale.
“Nonostante le velleità guerriere del Fascismo, il Regio Esercito era agli sgoccioli, sin da subito, e l’ immagine parla chiaro: quanto 1000 parole. Il ridicolo mortaietto Brixia da 45mm, esempio cervellotico di come “non voler nuocere al nemico”, e che richiedeva una particolare abilità per poter essere utilizzato proficuamente, il cui munizionamento (diviso in due parti nemmeno numericamente uguali: bomba propriamente intesa e carica di lancio posteriore) era equivalente alle bombe a mano “offensive” ammazzagalline (Breda, nella migliore delle ipotesi, o altre schifezze come la SRCM e la OTO), le divise scomode e incravattate e la stoffa autarchica. Gli elmettini di latta che bisognò attendere fino al 1935 ed oltre per poterli avere”.
Senza contare il fatto che anche là dove i mezzi c’erano, intervenivano la disorganizzazione e spesso la vera e propria corruzione esistenti negli alti gradi, che riducevano lo “spirito guerriero” a una mera finzione propagandistica, uno strato di cartone dorato che copriva una realtà ben diversa.
“Ci vuole organizzazione, preparazione, logistica e mezzi, che da noi talvolta mancavano, ma anche quando c’ erano, per via degli “alti papaveri” tutti lambrusco, spaghetti, rubinetti dorati, uniformi di gala e puttane di lusso, non erano mai dove avrebbero potuto servire! Ma la guerra è una cosa seria e non la si vince con gli slogan”.
Caro Fanton, lei fa un discorso giustissimo, che io sono il primo a condividere, ma ci sono un paio di cose che vanno tenute presenti: innanzi tutto, il reale stato di impreparazione delle nostre forze armate fu accuratamente tenuto nascosto a Mussolini, precisamente allo scopo di fargli prendere le sue decisioni basandosi su dati errati, esattamente perché si voleva arrivare alle disastrose conseguenze che poi si sono verificate. E’ un fatto che una parte consistente degli alti gradi militari, l’entourage della corona, probabilmente la stessa monarchia, contavano sulla sconfitta militare come mezzo per liberarsi del fascismo.
A tal proposito, in particolare Antonino Trizzino in Navi e poltrone, Settembre nero e soprattutto Gli amici dei nemici ha raccolto una documentazione impressionante su comportamenti deliberatamente autolesionisti dal nostro punto di vista e passaggi di informazioni al nemico.
Era uno sporco gioco condotto sulla pelle dei nostri combattenti e delle nostre popolazioni, un tradimento vilissimo con il quale, a mio parere, già prima dell’8 settembre 1943, casa Savoia ha bruciato in un sol colpo qualsiasi benemerenza verso gli Italiani potesse aver acquistato durante il periodo risorgimentale.
L’altro punto che vorrei sottolineare con forza, è che il valore sfortunato che i nostri combattenti seppero dimostrare, non cessa in ogni caso di essere tale. È facile fare gli eroi quando si dispone di una schiacciante superiorità numerica e di mezzi, come fu purtroppo il caso dei nostri nemici, ben altra cosa è riuscire a esserlo quando ci si trova ad affrontare il nemico in condizioni di inferiorità. È il valore dei vinti, non quello dei vincitori, che noi ricordiamo alle Termopili, a Kosovo Polje, a El Alamein.
Recentemente, mi sono trovato a rileggere (anche se non è che non li conoscessi già) due libri, uno dei quali è Aviatori italiani di Franco Pagliano. Come certamente Fanton saprà, la nostra aeronautica si trovò a battersi contro il nemico in condizione costante di inferiorità non soltanto numerica ma tecnica nei confronti del nemico. Per quanto riguarda la caccia, solo con il Macchi 202 i nostri piloti arrivarono a disporre di un aereo da caccia appena decente, mentre i velivoli della serie “5” che ci avrebbero potuti mettere in grado di competere con il nemico in condizioni di parità tecnica, arrivarono troppo pochi e troppo tardi.
Nonostante questo i nostri cacciatori, i bombardieri alleati riuscivano a tirarli giù. E’ molto illuminante quella che si può definire la breve epopea dell’aviazione da caccia repubblicana, che pure nel crescente clima di disfacimento, in mezzo a difficoltà enormi, riuscì a continuare ad abbattere i quadrimotori alleati che seguitavano a imperversare seminando morte sulle nostre città, e del suo asso Adriano Visconti, che ebbe alla fine una raffica di mitra alla schiena dopo aver deposto le armi con il suo reparto, come premio per aver difeso fino all’ultimo la nostra gente, perché ogni quadrimotore abbattuto significava tonnellate di bombe non più destinate a cadere sulle nostre case e sulla testa delle nostre popolazioni, ma certo la vita della nostra gente era l’ultimissima delle preoccupazioni degli “eroici” partigiani, “eroi” del colpire alla schiena.
L’altro libro che mi è capitato di rileggere recentemente, è El Alamein 1933-1962 di Paolo Caccia Dominioni. Tranne forse che in questo testo, la vera storia della battaglia di El Alamein, con tutta probabilità non è mai stata raccontata. Il fatto è che asserendo che il famoso attacco a tenaglia con il quale il maresciallo Montgomery scardinò il fronte italo-tedesco era dimostrativo verso sud e risolutivo verso nord, lo stesso Montgomery ha spudoratamente mentito per nascondere il proprio insuccesso, e la sua menzogna è stata presa per buona dagli storici successivi, ma basta studiare una carta geografica con un minimo di attenzione per rendersi conto della verità: il settore sud del fronte era il più lontano dalla costa, quello più difficile, dove i rifornimenti arrivavano con difficoltà, dove non c’erano unità tedesche né corazzati, solo italiani appiedati. Per di più, uno sfondamento il quel settore avrebbe permesso agli Inglesi di prendere in trappola l’Afrika Korps che si sarebbe trovata circondata tra l’anello d’acciaio dei tank britannici e la costa. Fu la resistenza disperata degli italiani, soprattutto della divisione Folgore che si fece letteralmente massacrare sul posto senza cedere un metro, respingendo i tank britannici con le bottiglie di benzina e quasi a mani nude, che salvò l’Afrika Korps dall’accerchiamento e permise a Rommel di continuare a tenere il fronte africano per un altro anno.
Tutte cose che si vuole che soprattutto i giovani NON SAPPIANO, coloro che hanno deciso il destino di morte per la nostra gente, la nostra sparizione come etnia, vogliono che ci percepiamo come un popolo di bonaccioni furbetti e vigliacchetti, in modo da creare una profezia che si auto-adempie.
Rivedendo il mio lavoro con occhio critico (ogni tanto bisogna pur farlo, e non bisogna mai pensare di essere arrivati a un punto oltre il quale non è possibile migliorarsi), mi sono accorto di una cosa: come avete visto, una delle cose che faccio, è scegliere un’immagine che di volta in volta correda i miei articoli e, a meno che il motivo di questa scelta non sia proprio evidente, mettere alla fine del pezzo due righe con una nota di spiegazione. Stavolta le due righe sono diventate una pagina, ma soprattutto c’è una differenza di argomenti rispetto al resto dell’articolo che è giusto rilevare, infatti, se il tema dell’illustrazione e della nota che accompagna il pezzo, ha finito per essere il comportamento dei militari italiani in guerra, l’argomento principale dell’articolo è piuttosto il comportamento degli altri verso di noi, soprattutto degli slavi comunisti del maresciallo Tito, e infatti avevo pensato di pubblicare questo articolo subito dopo la doppia recensione del libro di Rustia, come una sorta di ulteriore commento-approfondimento della stessa tematica.
Bene, ora torniamo su quest’altro aspetto. È raro che nelle grandi tragedie della storia, e la vicenda della nostra gente sul confine orientale indubbiamente lo è stata, manchi qualche elemento grottesco, e difatti non manca neppure qui.
Nell’articolo, avevo raccontato la vicenda di tre fratelli partigiani di Rovigno d’Istria che furono fucilati dai Tedeschi e a cui gli Jugoslavi hanno dedicato una strada, anche se questo non ha impedito loro di cacciare i loro familiari dalla città, come tutti gli altri rovignesi di etnia italiana. Dicevo che questo, a mio parere, evidenzia molto bene il carattere SCHIZOFRENICO dell’ideologia comunista, da un lato internazionalista, dall’altro portatrice del più feroce sciovinismo etnico. Non è un caso isolato, la stessa conclusione si potrebbe forse trarre dalla vicenda raccontata da Giorgio Rustia del capitano Alberto Marega, “assolto” da un “tribunale popolare” jugoslavo e subito dopo assassinato, assolto dall’accusa di essere un “boia fascista” ma comunque destinato a essere soppresso in quanto italiano.
Noi oggi viviamo in democrazia, cioè in un’epoca tirannica, un’epoca di oppressione ipocritamente mascherata. Fosse vivo oggi Voltaire, credo che il suo appello alla libertà di espressione sarebbe considerato dai “buoni democratici” fascismo allo stato puro. Un lettore che ha premesso di essere di etnia serba, commentando uno dei due articoli che costituiscono la mia recensione del libro di Rustia pubblicato su facebook, commentava che era sbagliato da parte mia usare il termine “slavi” perché nelle atrocità delle foibe furono implicati sloveni e croati (e peggio ancora, anche qualche comunista italiano traditore della propria gente), ma non serbi. Volevo dargliene atto e scusarmi di aver usato questo termine in modo improprio. Non mi è stato possibile perché facebook mi aveva giusto allora bannato (il bando è durato un mese, come al solito) per un commento politico, secondo la regola aurea della democrazia, cioè tappare la bocca a chi la pensa diversamente.
Se questo lettore avesse avuto una conoscenza maggiore dei miei scritti apparsi in questi anni sulle nostre pagine, avrebbe potuto constatare che nei confronti del popolo serbo ho espresso solo sentimenti di stima. Per secoli, la Serbia è stata l’antemurale dell’Europa in difesa del nostro continente contro la minaccia islamica sul lato orientale, e l’aggressione della NATO contro la Serbia nella crisi della ex Jugoslavia, ha costituito uno degli atti più infami che la storia ricordi, veramente degno di questa organizzazione bastarda che serve a mascherare da alleanza la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti. Oltre tutto, noi oggi sappiamo che l’atto che servì da pretesto all’intervento, il cannoneggiamento di Sebrenica, fu opera degli stessi mussulmani bosniaci su indicazioni NATO, appunto per creare il casus belli.
“Slavi” sono anche diversi altri popoli, Russi, Polacchi, Cechi e via dicendo. La Russia, soprattutto la Russia di oggi non più comunista, oltre a essere una parte essenziale dell’Europa, è forse l’unica grande potenza identitaria ancora in grado di opporsi alla multietnicità mondialista. Togliere dalla nostra cultura Tolstoj, Dostoevskij o Solgenitsin, sarebbe come eliminare Dante, Goethe o Shakespeare.
Io sono sempre disponibile al dialogo e a dare ragione ai miei interlocutori quando ce l’hanno, ma non sopporto la strafottenza.
Tempo fa su facebook un tale che si è qualificato come sloveno ha pensato, in risposta a un mio commento, di sbattermi in faccia “il fatto” che “loro” la seconda guerra mondiale l’hanno vinta e “noi” l’abbiamo persa. “Io sono uno sloveno, mio figlio è uno sloveno”, concludeva trionfalmente, “E saranno sloveni anche mio nipote e il mio pronipote”.
Gli ho risposto che noi abbiamo indubbiamente perso la guerra, ma non doveva illudersi che loro l’avessero vinta, che suo nipote sarà probabilmente mezzo peruviano, e suo pronipote un mulatto.
TUTTI GLI EUROPEI hanno perso la seconda guerra mondiale, anche quelli schierati nominalmente nel campo dei vincitori, anche se la conseguenza più esiziale di questo conflitto, l’attacco alla sostanza etnica stessa dell’Europa, è rimasta in sospeso per mezzo secolo a causa della Guerra fredda.
A noi rimane la soddisfazione del fatto che, a differenza di quello di questo “signore”, i nostri padri hanno combattuto dalla parte giusta, la causa dei popoli europei, per la quale intendiamo ancora continuare a lottare con ogni mezzo.
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