“La Terra andrebbe vista per come appare: blu e bianca, non capitalista o comunista; blu e bianca, non ricca o povera”.
(Michael Collins, astronauta Apollo 11)
“La prima cosa che ho notato nel guardare la Terra dallo spazio era la sua incredibile bellezza. Le fotografie e le immagini che vediamo, per quanto sbalorditive, non renderanno mai giustizia. Era uno spettacolo maestoso: uno splendido gioiello bianco e blu sospeso su un’infinità di nero vellutato”.
(Edgar Mitchell, astronauta Apollo 14)
Il 4 febbraio 2016 si spegneva l’ex astronauta americano Edgar Mitchell, dopo un’intensa esistenza, durata 85 anni, nel corso della quale Mitchell ebbe come pochi altri esseri umani il privilegio di mettere piede su un suolo extraterrestre, quello della Luna. Fu infatti pilota del modulo lunare – assieme con il comandante Alan Shepard e il pilota del modulo di comando Stuart Roosa – nella missione Apollo 14, inziata il 31 gennaio 1971 e conclusasi con successo il 9 febbraio dello stesso anno. Una missione in sè considerevole sotto l’aspetto strettamente scientifico, in quanto fornì importanti informazioni per arrivare, ad esempio, a stabilire che età avesse la Luna. Gli strumenti posizionati nei pressi della zona di allunaggio contribuirono parimenti alla fornitura di dati dall’alto valore scientifico, da cui la scoperta che la maggior parte dei terremoti lunari avvengono nel momento in cui la Luna si trova in perigeo, cioè nel punto più vicino alla Terra durante la sua orbita.
Di quella missione, tuttavia, è l’esperienza maturata da Mitchell nel viaggio di ritorno verso il pianeta madre, a interessarci di più in questa sede; qualcosa che avrebbe modificato per sempre la sua personale prospettiva sull’esistenza. Ponendo lo sguardo verso lo spazio, attraverso il vetro della navicella nella quale sta viaggiando, una forza immensa come l’energia primordiale dell’universo, potentissima, di estasi, di unicità, e insieme di unità, lo coglie improvvisamente. In maniera del tutto inaspettata, Mitchell percepisce un contatto subatomico fra le stelle, il suo apparato di molecole di materia, il suo equipaggio ed anche il mezzo su cui si trova. La navicella, trovandosi
“Chiesi aiuto ad alcuni grandi filosofi circa l’esperienza che avevo avuto. Loro trovarono una spiegazione nel pensiero sanscrito e mi dissero: ‘L’esperienza che hai avuto si chiama Samadhi’. Chiesi, ‘Che significa?’ ‘Significa che tu vedi le cose separate fra loro, ma sei in grado di sperimentarle interiormente come unicità, come una cosa sola’”. In diverse culture antiche è descritta questa esperienza: in quella greca, ad esempio, è nota come Metanoia, che attiene al radicale mutamento del modo di percepire il tutto; in quella zen come Satori. “Satori”, secondo il filosofo e storico delle religioni giapponese Daisetsu Teitarō Suzukiin, in termini psicologici significa travalicare i confini dell’Io. Da un punto di vista strettamente logico, è scorgere la sintesi dell’affermazione e della negazione. In termini metafisici, è afferrare intuitivamente che: l’essere è il divenire e il divenire è l’essere. “Ho potuto ripetere questa esperienza molte volte in meditazione”, racconta Mitchell in un’intervista che ne precede di poco il trapasso. “Ciò che ho vissuto mi ha portato a capire quanto ciò che facciamo come terrestri sia al di là di ogni ragionevole dubbio sbagliato. Che invece di passare il tempo a combatterci e a ucciderci, dovremmo unicamente lottare per la pace reciproca e la cooperazione”.
Meditare fu per lui una pratica di totale illuminazione che perseguì fino alla fine dei suoi giorni. Nel suo testo Psychic Exploration definisce la meditazione in termini scientifici: “Studi di yogi, maestri Zen, meditatori trascendentali e insieme a loro genti di altre tradizioni stanno dimostrando che la meditazione produce cambiamenti qualitativi e benefici nelle condizioni psicofisiologiche. Le onde cerebrali alfa e theta sono due correlati fisiologici presenti nelle fasi psicologiche della meditazione, insieme ai cambiamenti nella respirazione, alla frequenza cardiaca, alla pressione sanguigna, alla tensione muscolare e a vari altri correlati metabolici”. Mitchell racconta che osservare la Terra da centinaia di migliaia di miglia di distanza permette di sviluppare un en enorme senso di sacralità nei riguardi della stessa, nonchè un sentimento di protezione nel constatare che dallo spazio risulta pià facile capire come tutto quanto, sul nostro pianeta, sia interconnesso. Tutti gli esseri respirano la stessa aria e condividono le risorse del pianeta.
Quando secoli fa Cartesio scrisse Il Discorso sul Metodo col permesso della Chiesa, dice ancora, l’autore separava concettualmente il corpo dalla mente e lo spirito dalla materia, servendo il proposito degli intellettuali di fare ricerca evitando di approfondire il rapporto fra mente e coscienza, di modo da evitare l’Inquisizione. Ciò creò un precedente, poichè per 400 anni la Chiesa crebbe senza considerare il tema conduttore fra mente, coscienza e spiritualità. Soltanto con l’avvento della fisica moderna, con Max Planck e altri fisici, un personaggio come Einstein potè giungere alla scoperta di una realtà duale fatta di onde e particelle, da cui la nascita della meccanica quantistica. “Dunque Cartesio aveva torto”, spiega Mitchell. “Mente e materia interagiscono, ed interagiscono a livello quantico. Ho realizzato che c’era una lacuna nella scienza moderna, quella di non considerare la coscienza da un punto di vista scientifico e insieme il significato cosmologico che permette alla coscienza di essere quel che è”. L’interazione fra mente e corpo è un fenomeno quantico, duale, che esclude la semplice interazione elettromagnetica. La risonanza quantica è ciò che avviene tra due innamorati, tra un genitore e un figlio, tra fratello e sorella. C’è in sostanza un flusso quantico, che si realizza in risonanza quantica. L’intuizione è il nostro sesto senso, ma in realtà, sottolinea Mitchell, lo dovremmo chiamare primo senso, essendo questo fondamentale e alla base del tutto. “L’essere giunti sulla Luna significherebbe prima di tutto espandere il nostro obiettivo, per avere una visione più ampia di come noi umani ci collochiamo entro di esso; è sempre più evidente che quanto più avanziamo nelle nostre esplorazioni, tanto più realizziamo quanto piccoli siamo nell’immensità dell’universo. Espandere noi stessi, la nostra conoscenza, l’immagine di noi stessi, tutto questo è la cosmologia”.
Il suo samadhi nello spazio ha innescato un intenso impulso a investigare la coscienza, ma anche argomenti – ancora privi di un effettivo riscontro scientifico – come la percezione extrasensoriale, la telepatia e la chiaroveggenza. Nel 1973, Mitchell fonda l’Istituto di Scienze Noetiche (IONS), con l’intento di svolgere ulteriori ricerche sui fondamenti della coscienza. Il termine noetico deriva dal greco antico nous, meglio tradotto come “conoscenza interiore” o “coscienza intuitiva”. Il sito web dello IONS descrive le scienze noetiche come “Un campo multidisciplinare che riunisce strumenti e tecniche scientifiche oggettive insieme alla conoscenza interiore soggettiva, per poter meglio studiare l’intera gamma di esperienze umane”. Sin dalla sua fondazione, lo IONS, presente anche in Italia, si è concentrato su argomenti chiave come le interazioni fra mente e corpo e le intersezioni della scienza con l’esperienza spirituale. Le sue attuali aree di ricerca includono coscienza e guarigione, l’estensione della capacità umana e i cambiamenti della visione del mondo. Mitchell è sempre stato noto, inoltre, come fautore della questione ufologica. A suo dire non ebbe mai esperienze dirette con forme aliene, ma ha spesso confermato – attraverso quanto conferitogli da insider di alto rango (da considerarsi “fonti sicure”) – che la Terra è stata visitiata più e più volte da velivoli di origine non umana. Del resto, è corretto ripeterlo fino alla nausea, sarebbe ingiustificatamente egocentrico suggerire che “siamo soli” in un scenario di tale mastodontica e infinita ampiezza universale. Senza dimenticare che, grazie ai grandi telescopi spaziali, sempre più pianeti simili alla Terra vengono individuati. In definitiva, conclude Mitchell, se i leader politici potessero vedere la Terra dalla prospettiva dello spazio profondo, il modo di pensare la vita sulla stessa cambierebbe radicalmente. “Dalla Luna sviluppi una coscienza globale istantanea, un’intensa insoddisfazione per lo stato del mondo e un impulso a fare qualcosa al riguardo. Da lì in alto sulla Luna, la politica internazionale appare così meschina. Ti verrebbe voglia di prendere un politico per la collottola e trascinarlo a un quarto di milione di miglia per poi dirgli: “Guarda qui, pezzo di idiota!”
Per innalzarsi veramente, l’uomo dovrebbe divenire umanità; la sua idea di personale dovrebbe diventare transpersonale; la sua coscienza di sé dovrebbe tramutarsi in coscienza cosmica, mettendo in atto la realizzazione di un vero progresso, al di là di quello meramente tecnologico. “Ci siamo creati una realtà qui, sulla Terra, ma l’abbiamo fatto piuttosto male, dal momento che questa realtà, per come si presenta, non è sostenibile”. L’unica certezza è che, con l’entrata nel 2020, e con il sopraggiungersi, quindi, di una nuova decade, lo scenario internazionale terrestre appare ancora risibilmente distante dal considerare anche solo lontanamente la potente testimonianza esistenziale che fu del “sesto uomo sulla Luna”.
Simöne Gall
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