9 Ottobre 2024
Tradizione

Mistica wagneriana: il tramonto di Sigfrido, l’alba di Parsifal – 3^ parte – Alfonso Piscitelli

Un altro tema forte della Valchiria di Wagner è quello del tramonto degli antichi Dei, un tema congeniale al germanesimo dal momento che la mitologia nordica culmina nel Ragnarǫk, il crepuscolo degli Dei. Nella trama wagneriana, Wotan scende in mezzo agli uomini. Lo fa travestito da viandante, una modalità non ignota allo Zeus greco nel corso delle sue avventure erotiche. Sceso tra gli uomini Wotan genera due splendidi fanciulli: Siegmund e Sieglinde. La doppia S delle iniziali di questa covata, il richiamo alla parola Sieg (Vittoria) ha un che di profetico che ci riporta alle tempeste d’acciaio del XX secolo. Siegmund e Sieglinde sono i perfetti ariani: belli, biondi, prodi.

Separati nell’infanzia essi si riscoprono, si attraggono e si amano non come fratello e sorella, ma come coppia incestuosa. Premonizione di quel che accadrà nel Novecento con la esaltazione, nell’ambito dell’ideologia volkish tedesca, della più pura endogamia: dell’amore incestuoso proiettato su scala politica nazionale in una paradossale analogia con il mondo che si riteneva più lontano ed opposto, quello del talmudismo, della ortodossia jahvetica che appunto condanna ogni mescolanza con sangue straniero e prescrive la più rigida endogamia. Wagner suggerisce con toni solenni che anche su tale amore incestuoso (così come sulla brama dell’avido nano Alberich) aleggia la maledizione. Dalla coppia è destinato a nascere Siegfrid, eroe nobilissimo eppure destinato a sconfitta. La sua invulnerabilità è quasi totale.

Quasi. Stesso destino di “quasi invulnerabilità” ebbe poi nel Novecento la linea Sigfrido costruita al confine tra Francia e Germania durante la prima guerra mondiale, difesa con valore dai migliori protagonisti della storia militare moderna, e che pure franò alla fine della seconda guerra mondiale. Parafrasando Oscar Wilde possiamo resistere “a tutto”, ma non alla tentazione di cogliere nella Tetralogia di Wagner gli accenni a quello che sarebbe stato il destino tragico della Germania dal 1870 al 1945. Destino tragico non per ineluttabile necessità, ma per un mancato incontro col principio-Parsifal, lungo la via diritta del Graal. Una via che oggi l’Europa deve ritrovare, pena la sua estinzione.

Ripetiamo ad abundantiam: Wotan, il dio supremo della tradizione germanica, scende sulla terra, si incarna nella concretezza storica e genera due figli, legati nel nome da una duplice Sieg: Siegmund e Sieglinde. Questi rampolli della magnificenza della razza nordica nel labirinto della storia a un certo punto si ritrovano e si amano di un amore incestuoso. Dalla loro improvvida congiunzione nasce Siegfried, l’eroe senza paura che (esattamente come il tedesco nelle due guerre mondiali) non si arrende e non fugge dinanzi alla prova, ma combatte il drago e lo abbatte. Tuttavia gli manca una tessera per comporre appieno il mosaico della sua invulnerabilità, dal momento che nella vita oltra al coraggio è necessaria una qualità, anche più alta: l’amore, qualità che emergerà in Parsifal.

In questa vicenda già di per sé corrusca si inserisce la Valchiria: Brunilde, che si innamora di Siegfried. Ma anche Brunilde è figlia di Wotan, per cui si esaspera qui il tema dell’amore tra consanguinei che prelude alla catastrofe. Siegfried dopo aver combattuto il drago viene a sua volta ucciso, in nome di una giustizia inesorabile che discende dal Walhalla stesso. Brunilde si lancia nel rogo non osando pensare di sopravvivere al suo amato. Ma l’incendio dal rogo dell’eroe si estende al Walhalla e lo divora. Il 30 aprile del 1945 la breve storia del III Reich si conclude con il rogo nel bunker. L’ammiraglio Dönitz annuncia alla radio tedesca: “Unser Führer Adolf Hitler ist gefallen”. Segue la marcia funebre di Sigfrido. Luchino Visconti nel 1969 descriverà con sensibilità decadente l’atmosfera del III Reich in un film significativamente intitolato “La caduta degli dei”, ma Wagner mette in scena come in una colossale premonizione l’incendio della sede degli dei germanici, la disfatta e la morte degli eroi nati dal coniugium consanguineo. Sulle note della marcia funebre di Sigfrido.

Friedrich Nietzsche si distaccò da Wagner quando questi mise in scena il Parsifal, cogliendo nel Parsifal un elemento di rottura rispetto ai frutti della sua ispirazione precedente. Tuttavia, con buona pace di Nietzsche, l’opera di Wagner è organica e coerente. Il Parsifal rappresenta l’armoniosa prosecuzione del Crepuscolo degli Dei, senza strappi o contraddizioni interne. Se nella Tetralogia Wagner ha mostrato come il mondo antico degli Dei e degli eroi germanici sia destinato al tramonto, egli successivamente plasma un personaggio – Parsifal – per dimostrare che il mondo non è destinato a rimanere “vedovo” della sapienza antica. Dopo il funerale di Sigfrido, appare Parsifal, l’eroe che porta in sé l’essenza della tradizione nordico-germanica e la congiunge al sentimento cristiano. Parsifal è colui che col segno della croce ferma la lancia scagliata all’altezza della sua testa dal mago infero. Wagner si conferma, al compimento della sua opera, come il testimone della Tradizione Vivente, di quella tradizione che si rinnova di epoca in epoca cedendo il testimone a un eroe capace di congiungere valore ed amore.

La Tradizione è un albero vivente che dalle radici si innalza al di sopra di sé stessa, generando frutti ad ogni stagione del mondo. “Il crepuscolo degli Dei – sottolinea Daniele Laganà a cui sono debitore per le considerazioni che seguono – propizia il sorgere del Sonnenmesch, l’uomo-solare, di colui che era stato presagito da Nietzsche come superuomo”. Cosa mancò a Nietzsche per cogliere appieno la portata di quel traguardo “oltre l’umano”? Gli mancò il senso della compassione, che è uno dei valori-guida dell’universo wagneriano. Per sfuggire alla maledizione dell’anello bisogna appunto spezzare il cerchio chiuso dell’ego e giungere alla consapevolezza che la conoscenza si acquisisce “per servire” e non per servirsene. La conoscenza va messa al servizio dell’universo e chi volesse cercare orientamenti pre-cristiani per questa esigenza fondamentale potrebbe fare sicuramente riferimento al concetto indù di “Dharma” e “Svadharma” (la missione specifica di ogni persona, in relazione alla propria nascita e posizione nel mondo) o a quello romano di “officium”.

Il sentimento di compassione il senso di dover svolgere un servizio verso il mondo permette all’ego di non spezzarsi nel momento in cui esso si apre alla potenza folgorante di una Luce superiore. In pratica permette all’ego di superare sé stesso. La naturale brama di potere deve essere pertanto sostituita da una fondamentale questione: conseguire il potere per fare cosa? Per quale finalità? Chi rimane fermo alla dimensione dell’anello-potere e della conoscenza senza compassione non compie l’ultimo e decisivo passo. In questo contesto anche il dolore, come conseguenza dell’errore compiuto, diventa catartico e per questo Parsifal dopo avere infine sanato Amfortas gli rivolge questa benedizione: “Benedetto sia il tuo dolore che la forza suprema della compassione e la potenza di un purissimo sapere donò ad un timido folle”

In realtà è Parsifal il superuomo che Nietzsche ha soltanto intravisto, irretito com’era nel biologismo del XIX secolo. In lui si incarna la divinità dopo che gli Dei antichi sono morti. Il passaggio dagli Dei antichi all’Uomo Solare è parallelo al passaggio che si verifica nella tradizione biblica dall’Antico Testamento dominato dalla Legge al Dio del Nuovo Testamento che supera i meccanismi di azione-e-reazione del Karma attraverso il gesto del perdono. Significativo che il Cristo utilizzi la simbologia solare per illustrare il superamento di quella reattività istintiva: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo Sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Virgilio, colui che presagì la nascita del Puer nella pienezza dei tempi della “Pax Augustea”, disse da par suo: “Omnia vincit amor”: “l’amore vince tutto”, qui concepito come Forza dominatrice della natura e dei cuori degli uomini nel contesto delle Bucoliche.

Alfonso Piscitelli

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