Uno dei temi che più facilmente ricorre nel dibattito filosofico, è proprio quello sulla conciliabilità tra la Modernità ed una forma di pensiero “altra” impostata, anziché sui soffocanti ed alienanti ritmi della prima, su principi-cardine quali la meditazione ed uno ieratico distacco dalle cose del mondo, in grado di condurre al risultato di un individuo in equilibrio ed armonia con l’intero Essere . Una domanda questa, a cui fanno da correlato logico, tutta una serie di paralleli interrogativi e considerazioni.
A fornire un valido spunto a questa tematica, è Massimo Scaligero (1906-1980), autore di “nicchia” per lo più conosciuto in ambito esoterico e che, invece, dimostra un eclettismo ed una versatilità senza pari. Nell’andare a sfogliare alcuni tra i testi di quella che, senza alcun dubbio, può esser considerata la sua sterminata produzione letteraria, non si può non rimanere piacevolmente sorpresi, sulla capacità che l’autore in questione sa dimostrare nel trattare con la stessa disinvoltura e preparazione, tematiche di stampo filosofico, accanto ad altre di taglio più decisamente esoterico. Questo perché, generalmente, quello dell’esoterismo “si et si”, è un ambito caratterizzato da una cerchia di autori, la cui estrema specializzazione finisce, talvolta, con il rendere tale forma di sapere una specie di contraltare alla conoscenza filosofica di cui, invece, il più delle volte, costituisce un fondamentale risvolto.
Tanto per inquadrare l’orientamento culturale ed i punti di riferimento all’interno dei quali ci stiamo muovendo, Scaligero è seguace di quel Rudolf Steiner (di cui abbiamo diffusamente trattato su Ereticamente…) di cui fu discepolo Giovanni Colazza, esoterista, passato attraverso l’esperienza esoterico-letteraria del Gruppo di Ur, animato da uno stretto rapporto con il filosofo e scrittore di orientamento tradizionalista Julius Evola che, nell’immediato dopoguerra, gli presentò un giovane Massimo Scaligero, (orientalista e reduce da esperienze intellettuali molto vicine al passato Regime Fascista, per quanto riguarda le dottrine sulla razza…) con il quale, altresì, intratteneva un rapporto di altrettanta empatia. Fatto sta che, lo Scaligero ben presto fa sue quelle istanze sapienziali dal Colazza trasmessegli, superando il proprio mentore, arrivando, addirittura, a conferire una propria, particolare, interpretazione alla vulgata steineriana, qui riletta in un’ottica più attenta alla sfera del pensiero umano ed alla autorealizzazione dell’individuo, in rapporto con la sfera del macrocosmo che non, piuttosto, nell’andare a rielaborare ed indagare quella dimensione ontologica (cosmologia, origine dell’Uomo, migrazione delle anime, oltre al suo lato più scientifico-pragmatico, rappresentato da agricoltura bio-dinamica, danza, scuole, etc.), su cui lo Steiner si era già ampiamente soffermato.
Da buon orientalista ed attento studioso delle dottrine Yoga e Zen, Scaligero si fa portatore dell’idea di un Pensiero risultato della stretta interrelazione e coincidenza tra la dimensione dell’immanenza e quella della trascendenza, in grado di dar luogo a quel Pensiero-Azione che, nello specifico delle dottrine Zen, trova nel “satori” o “illuminazione” il proprio momento apicale. Momento che, nelle dottrine Indù trova il proprio corrispettivo, nel concetto magistralmente scolpito nella “Baghavad Gita”, sulla capacità di un’azione imperturbabile, nella temperie del mondo e di cui, la pratica Yoga dovrebbe andare a costituire il substrato operativo. Ma qui, Massimo Scaligero ci pone di fronte ad una prima, e non indifferente, problematica che era già, in parte, stata affrontata dallo Steiner.
L’uomo occidentale di oggi, non ha gli stessi parametri di pensiero di un individuo del passato, orientale od occidentale che sia, Zen, Yogi o Ermetista, che dir si voglia. Le pratiche ascetiche e meditative del passato, ad oggi tornate tanto di voga, erano impostate sul distacco “ sic et simpliciter” della dimensione spirituale dell’individuo da quella prettamente materiale, per connettersi con l’Assoluto. Con Scaligero, invece, al fine di poter pervenire alle radici a-dialettiche, caratterizzate dalla contemporaneità di immanenza e trascendenza, del Pensiero e pertanto, a quel Pensiero Vivente, strettamente connesso con il senso ultimo dell’Essere o Logos, è necessario, per quanto strano o incoerente ciò possa sembrare, sfruttare la forza trainante di quello stesso Pensiero dialettico e svuotato di contenuti, che a noi si presenta nella propria illusoria veste di Oggettività. Guscio vuoto la cui “vis” trainante, ha sì permesso la nascita della Civiltà della Techne, però svuotata di superiori contenuti principiali (metafisica, sic!) e perciò stesso inane, alienante, priva di significazioni che non siano quelle legate ad una discesa dello spirito umano, dalle superiori dimensioni del Logos Solare a quella della infera materia bruta, in una dimensione di meccanica ed ottusa cecità.
La materialità deve farsi pertanto motivo di spinta, ricerca e sintesi tra essa stessa e la solare dimensione della ragione di tutte le cose (Logos) per poter addivenire a quel momento di a-dialettica espressione del Pensiero in grado di realizzare quella coincidenza tra le due sfere (Pensiero-Azione…), nel nome di un “satori” occidentale, ma che, badate bene, “satori” non è più…E qui Scaligero nell’elaborare il suo “Pensiero Vivente” sembra sfiorare sul filo del rasoio la dottrina Zen, enunciando un qualcosa che le somiglia all’inverosimile, ma tale non è… Il problema qui non è tanto quello che potrebbe esser paventato da qualche frettoloso lettore, a proposito di una qualche indebita interpolazione testuale, quanto, piuttosto, un altro di ben più vasta portata e natura.
L’uomo contemporaneo ha dei parametri di pensiero differenti da quelli di un individuo del passato, ovverosia usa il proprio cervello, in modo peculiarmente differente da questi. E qui, ci soccorrono tutte quelle elaborazioni lontane dai binari del sapere ufficiale. Tanto per citarne una, la teoria dello studioso americano Julian Janes che nel suo “Il crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza” ci prefigura l’ipotesi di quello che, ad oggi, viene definito uno stato patologico, ovverosia la schizofrenia e che, invece , a detta di questi, rappresentava una modalità d’uso dell’organo cerebrale, in tal modo determinante nell’uomo uno stato di “coscienza sognante” che, in verità, metteva questi in grado di colloquiare ed interagire con piani superiori dell’Essere. La nascita di una coscienza raziocinante ed oggettivante avrebbe, nel corso dei secoli, trascinato via via l’uomo lontano dalla possibilità di tale interazione, con tutto il portato delle odierne, alienanti conseguenze.
E qui ricorrono i motivi enunciati con differenti modalità da Heidegger e da Jaspers, sull’allontanamento dell’uomo occidentale dall’Essere, (Heidegger) e della sua presa di coscienza oggettivante attraverso l’Età Assiale, (Jaspers). Quanto Steiner ed ancor più Scaligero, vengono qui proponendoci, in quel mix di gnostico emanazionismo, ma anche di trascendente immanentismo che tanto risente dei motivi Hegeliani, ma anche delle precedenti istanze ermetiche e rosacruciane, affiancate a motivi di Buddhismo Mahayana, Zen e Yoga/Hindu, altro non risponde che ad una sola ed impellente necessità: quella di addivenire ad una nuova forma di Pensiero Tradizionale, ad una nuova istanza Metafisica, in grado di reggere l’urto dirompente della Modernità Tecno-Economica, adeguata ai nuovi parametri di pensiero dell’uomo globale-occidentale.
Una tematica complessa che deve fare i conti con un non indifferente problema strutturale, rappresentato da quella che in termini “esoterici” viene generalmente definita “legittimazione” e di cui, autori come il Guenon ( ed anche Evola…) si sono fatti gli strenui portabandiera, identificando in talune forme di moderna spiritualità, altri se non delle deviazioni e delle degenerazioni, di preesistenti forme sapienziali e metafisiche, la cui tenuta morale e spirituale si sarebbe consolidata attraverso una plurimillenaria pratica e continuità. Ed a tal proposito, nel loro manifestarsi, le dottrine teosofiche ed antroposofiche, offrono non pochi spunti di perplessità.
L’interpretazione “ad usum delphini” che sia le prime che le seconde, fanno delle dottrine orientali Hindo-Buddhiste e Zoroastriane al pari della stessa dottrina cristiana (come nel caso di Steiner e degli steineriani…), inducono ad una certa diffidenza, giustificata e sostenuta dall’entusiastica ampollosità di toni e linguaggi da guru che, prima o poi, finiscono con lo sconfinare in vere e proprie confusionarie “teogonie”…
Lo Scaligero, in particolare, nel suo interessante tentativo dell’elaborazione di un nuovo pensiero, “vivente”, in grado cioè di vivere partendo dalle contraddizioni della Modernità per poi oltrepassarle, sembra dimenticare d’improvviso i propri slanci per andare a ricadere in quegli stessi errori e vizi propri di certo Tradizionalismo che, il Nostro pensava, invece, di aver superato alla grande. La dimostrazione più evidente di quanto detto, è l’attacco virulento che in “Zen e Logos” muove alla psicanalisi junghiana, accusata, a suo dire, di aver declinato miti, archetipi, motivi spirituali, all’insegna di un arido ed indagatore materialismo scientifico, finendo con il sottomettere qualunque istanza di pensiero, di motus spirituale “vivente”, alle leggi di un subconscio che rimanda ad una sfera di tellurico materialismo sensista, lontano anni luce da quel Logos Solare a cui l’animo umano dovrebbe, invece, anelare… e qui il Nostro ha dimostrato di non aver assolutamente compreso l’oscura fisiologia spirituale che sovrintende allo sviluppo ed allo svolgimento dell’intera vicenda Occidentale e della Modernità.
Un Occidente le cui principali istanze fondative, a partire dall’universalismo giudaico-cristiano prima, mercantilista-progressista poi, sino all’attuale globalismo liberal-progressista, si autocontraddicono continuamente, andando a generare un fiume carsico che, di tanto in tanto emerge, nel tentativo di modificare il corso della Storia… Romantici contra Illuministi. Irrazionalisti e Vitalisti contra Positivisti e Progressisti e via così… Ed in questa secolare catena di dialettiche contrapposizioni, va inserita la tematica portante degli ultimi trecento anni di filosofia occidentale: quella della demolizione della metafisica, portata avanti sì dall’Illuminismo, ma anche da coloro che, certamente non si possono inserire a pieno titolo in quell’ambito, Vitalisti ed Irrazionalisti in primis e di cui F. Nietzsche costituisce il più eclatante esempio.
In questo continuo sommovimento, determinate istanze partono da certe premesse, per poi arrivare a ben altre conclusioni, contraddicendo quelle di partenza. Un’ altra Modernità poteva sorgere, all’insegna di un Vitalismo ed un Irrazionalismo elevati a direttrici spirituali per l’intero Occidente. Nel nostro caso, la Psicanalisi, inizialmente partita quale innovativa terapia, in grado di dare un’arida definizione scientifica e quantitativa persino agli oscuri moti istintivi dell’animo umano, si fa, invece, chiave di lettura ed interpretazione della realtà intera, connettendo la dimensione del microcosmo umano a quella del macrocosmo universale, all’Essere. Non per nulla, Jung, nella fase più tarda della sua esistenza, sempre più andrà ad appuntare le proprie attenzioni sull’Alchimia non senza aver cercato, tramite il processo di “individuazione” di dare un asse psico-fisico e spirituale ad una frammentata ed incerta anima occidentale…
Esempi potrebbero esservene ancora a bizzeffe, ma a noi ci basti portare alla memoria di chi legge uno tra i molti casi, per far capire l’enorme errore di valutazione di un intero contesto umano e spirituale, quello cosiddetto “tradizionalista”, a cui, a pieno titolo, ci sentiamo di iscrivere anche Scaligero, non senza chiederci, proprio in base a quanto abbiamo poc’anzi descritto, cosa significhino ad oggi “Tradizione” o “Metafisica”, se alla base di talune odierne interpretazioni non vi sia un micidiale equivoco di fondo. Quella “demolizione” della Metafisica di cui abbiamo poc’anzi parlato ha per oggetto, un impianto preordinato di pensiero, un vero e proprio “panoptikon” che, in qualche modo, strangolava ed inibiva il sorgere di una nuova forma di coscienza nell’individuo occidentale.
Questo “panoptikon” si concretizzava nella vecchia “metafisica” catto-protestante, impiantata sull’Aristotelismo, sulla Scolastica e sul Tomismo, sostenuti dal Leviatano di hobbesiana memoria. Ora, per il contesto in cui sorge, “Tradizione” dovrebbe rappresentare una ulteriore espressione di quel processo di “demolizione”, nella sua natura di paradosso concettuale, di magica connessione tra un Individuo Assoluto ed una ritrovata espressione dell’ Essere in un senso quasi parmenideo (Novalis, Evola, ma anche il “reazionario” De Maistre…). In certuni contesti, “Tradizione” finisce, invece, con il divenire una vera e propria tautologia, una specie di visione ontologica compartimentata, unilaterale, mancante della capacità di spaziare oltre quei limiti imposti dalla stretta aderenza ad un assioma, che finisce con l’assumere una valenza di sistema ideologico chiuso.
Scaligero non è poi così differente da Evola, anche se, rispetto a quest’ultimo, prende una via differente, finendo, nei suoi testi, con il parlare ripetutamente, di “Metafisica”, (confondendo quest’ultima con la “Tradizione”), senza in alcun modo, porsi il problema del significato da questa assunto negli ultimi trecento anni. E così nell’attacco a testa bassa alla Modernità, (nel nome di una immobile e ieratica “Tradizione” o “Metafisica” che dir si voglia), si va perdendo di vista l’obiettivo principale, ovverosia , la possibilità di “cavalcare” e, in caso, esaltare gli aspetti meno conformisti della Modernità medesima, a detrimento dei suoi più deteriori aspetti, rimanendo, invece, irrimediabilmente confinati in splendide “torri d’avorio”.
Ma se, invece, vogliamo cercare di inserire Scaligero a pieno titolo nell’ambito della Modernità e dei suoi paradossi, dai suoi scritti possiamo anche trarre dei positivi spunti d’azione. L’esaltazione del Cristo quale espressione del Logos Solare, accanto al Mithra Tauroctono ed altre simili figure divine, ci offre la possibilità di risolvere positivamente il grande interrogativo circa il Monoteismo e la sua valenza di visione totalizzante alla base dell’attuale Globalizzazione, in cui dall’unicità di un modello in cielo, si passa disinvoltamente all’universale unicità di un modello in terra, quello Tecno Economico, per l’appunto.
In questo caso, la figura di Cristo, (direttamente conseguenziale, non scordiamolo, alla sintesi di età ellenistica tra Platonismo, Ebraismo e Religione Iranica…) quale ulteriore manifestazione-emanazione del Logos Solare in Terra, nell’essere tranquillamente inserita accanto a divinità appartenenti ad altre tradizioni religiose, finisce con l’assumere “motu proprio”, una sincretistica ed enoteistica valenza archetipale, pari a quella di altre consimili figure, come nel caso della “Iside-Sophia”. Questo, anche se si corre il rischio di astrattizzare il principio divino, nel nome di una ricerca all’insegna dell’introspezione.
La sua stessa idea di Meditazione, nel volersi differenziare da altre consimili forme di scuola Yogica o Zen, cercando di sfruttare il lato “oggettivo” e “dialettico” del pensiero occidentale, al fine di addivenire ad una innovativa sintesi Pensiero-Azione, all’insegna di una italica versione dell’heideggeriana “Ereignis”, rischia anche qui di ricadere nel pericoloso vizio di un astrattismo concettuale fine a sé stesso, dato anche da un testo dall’approccio sicuramente allettante, ma non privo di ghirigori ed incoerenze concettuali (come quelle già citate, sulla “Metafisica”…) . Come si può ben vedere, i testi di Scaligero cercano di offrire delle soluzioni sicuramente interessanti al grande problema della Modernità e della natura dell’Occidente, non senza, però, rimanerne strettamente avviluppati e questo, proprio a causa del ricorrere, anche in questo caso, di quella costitutiva ambivalenza, di quella “metafisica” doppiezza che, dell’Occidente, fa un immortale “unicum”.
UMBERTO BIANCHI
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