Vorrei mettervi a parte di alcune riflessioni che mi sono venute in mente in seguito alla recente scomparsa di Michail Gorbacev. Quest’uomo sarà certamente ricordato come l’ultimo segretario del PCUS e il liquidatore dell’Unione Sovietica, del che gli siamo francamente grati. Il suo è stato un tentativo generoso di dare vita a un comunismo rispettoso delle libertà e dei diritti umani, ma il risultato è stato quello di sfasciare tutta la baracca (e si trattava di quella che allora era la seconda superpotenza planetaria) e una dimostrazione che più chiara di così non si potrebbe, che il comunismo non è compatibile con la libertà e il rispetto dei diritti umani.
Tuttavia, io penso sia sbagliato attribuire esclusivamente a Gorbacev la responsabilità (o il merito) della morte del comunismo. Non è un discorso nuovo, anche se penso che soprattutto i più giovani dovranno fare un po’ di mente locale. Soprattutto negli anni ’80 e ’90 del XX secolo si è fatto un gran parlare e straparlare di morte delle ideologie, un discorso che, fatto prevalentemente da “intellettuali” di sinistra, a me è sempre sembrato sommamente ipocrita: si attribuiva “alle ideologie” in generale, quella che era la crisi letale specifica di una ideologia che aveva perso il suo potere attrattivo, l’ideologia “rossa”, soprattutto dopo che l’intossicazione mentale del decennio precedente, l’epoca della “contestazione” (che era stata l’ultimo colpo di coda del comunismo che davanti all’impossibilità di aver ragione del mondo non comunista per via militare, tentò la strada dell’invasione ideologica), col suo seguito inevitabile di delusioni, tentava ora di fare della sua specifica crisi un fenomeno generalizzato.
Era, naturalmente, un discorso falso.
Noi, il nostro ambiente umano, soprattutto la nostra visione del mondo (quando si tratta di noi, preferisco quest’espressione al termine ideologia). Dopo ottant’anni di ghettizzazione e demonizzazione ci siamo ancora, e siamo intenzionati a restare.
Per ovvi motivi anagrafici, nessuno di noi ha conosciuto il fascismo, ma ben abbiamo conosciuto e conosciamo la repubblica democratica e antifascista, la sua incuria per l’interesse nazionale, il suo servilismo verso poteri stranieri, USA, UE, perfino il Vaticano, l’ipocrisia delle sue dichiarazioni di libertà mentre nei codici si infittiscono sempre più le fattispecie di reati d’opinione.
L’incuria per l’interesse nazionale la conosciamo bene soprattutto noi che abbiamo la ventura di essere italiani dei confini, a contatto con minoranze etniche tanto più pretenziose quanto più vezzeggiate, ma oggi il problema non è più solo nostro, ma di tutta Italia, oggi che siamo vittime di una incontrollata immigrazione/invasione dal Terzo Mondo.
Estremisti? A me sembra che siamo piuttosto i non molti vedenti in un mondo di ciechi.
Ci siamo, continueremo a esserci, non hanno finito di fare i conti con noi, e non è detto che le nostre fila non tornino a ingrossarsi man mano che la gente si renderà sempre più conto che la repubblica democratica e antifascista e i partiti di sinistra trattano gli Italiani nativi come persone di serie B in confronto alle minoranze etniche e agli immigrati.
Per un giovane, per qualcuno che ha meno di trent’anni, è difficile capire cosa fosse il comunismo ai suoi tempi d’oro. Non è stato soltanto l’ideologia addotta a giustificazione del potere della seconda superpotenza planetaria, non è stato soltanto forse il movimento politico che, con una presenza ubiquitaria in quasi ogni parte del mondo, ha più di ogni altro segnato di sé (e disseminato terrore, sofferenze e cadaveri) la storia del XX secolo, è stato qualcosa di più, per i suoi adepti una vera e propria religione. Una religione laica e materialistica, con la dialettica immanente della storia (cascame hegeliano) al posto di Dio, con la futura società senza classi come paradiso finale, con il proletariato rivoluzionario come messia, con Karl Marx come profeta. Una religione, nondimeno, pervasa da un fortissimo afflato messianico.
E’ stato questo spirito messianico, con il sogno, l’illusione di una palingenesi finale in cui tutto sarebbe andato miracolosamente a posto, a spiegare la cecità dei suoi adepti verso gli orrori e le atrocità del comunismo realizzato. Soprattutto gli “intellettuali” di sinistra ci hanno dimostrato che si possono usare la propria intelligenza e la propria cultura precisamente per non vedere e non capire.
Se un giorno si dovesse (si potesse) studiare la storia del comunismo con l’imparzialità che si dovrebbe riservare allo studio dei fenomeni storici, non ci si potrebbe mancare di stupire per il fatto che un “pensiero” così rozzo come quello di Marx abbia potuto condizionare, devastare, sopprimere la vita di milioni di uomini per quasi un secolo.
Secondo Marx, il motore della storia è la lotta di classe. E’ innegabile che tra imprenditori e lavoratori esista conflittualità, un imprenditore è interessato ad avere un costo del lavoro quanto più contenuto possibile, mentre un lavoratore è interessato ad avere un salario o uno stipendio quanto più alto possibile. Ma questa conflittualità ha dei limiti: se l’impresa fallisce, il lavoratore si ritrova sul lastrico.
Qualche anno fa, Walter Veltroni, allora segretario del PD, vale a dire il più consistente partito ex comunista oggi esistente in Europa, dichiarò che “La lotta di classe non esiste”. Per fare un paragone, certamente qualcuno può pensare che la bibbia e i vangeli siano una raccolta di antiche favole e di avvenimenti storici travisati, che Cristo fosse un uomo come tutti gli altri e che non sia mai risorto, ma non ci aspettiamo che sia il papa a dichiararlo, o almeno non ce lo saremmo aspettato fino a Benedetto XVI, perché con Bergoglio possiamo aspettarci di tutto.
“L’analisi” marxista, poi, considera esclusivamente le suddivisioni del consorzio umano di tipo orizzontale, fra strati sociali, e non quelle verticali fra gruppi etnici, anzi nega esplicitamente la loro importanza, rifacendosi a un mito cosmopolita che non è altro se non un cascame di illuminismo (e forse l’idea più falsa tra quelle che gli illuministi hanno sostenuto), “Proletari di tutto il mondo unitevi”, è forse l’idea più falsa fra quelle sostenute da Marx, noi abbiamo visto in concreto che finché è esistita l’Unione Sovietica, “l’internazionalismo proletario” ha significato di fatto mettersi al servizio dei suoi interessi.
Non solo l’appartenenza etnica è importante, ma ha un ruolo di gran lunga più preminente dello stato sociale per spingere gli uomini a decidere chi è “dei nostri” e chi “dei loro”. Pensate forse che nel 1945, quando i partigiani iugoslavi hanno fatto irruzione in Istria e cominciato a massacrare gli italiani, prima di spedirli nelle foibe consultassero la loro dichiarazione dei redditi?
Infine l’economia, intesa nel senso ristretto usato da Marx, ossia di procacciamento dei beni necessari all’esistenza, non ha un ruolo così fondamentale da farne la molla di tutte le vicende umane. Un uomo può possedere due case, ma non può abitarle entrambe contemporaneamente. Tuttavia noi sappiamo che il possesso di più abitazioni, magari una urbana e una villa al mare, che so, magari un camper, uno yacht e via dicendo, sono importanti nella società umana perché sono status symbol, riflettono il prestigio sociale, cioè il potere. Questo è un punto cruciale, e non averlo capito è forse la ragione ultima del fallimento del marxismo. Marx non si avvide (o secondo i teorici della cospirazione, fece finta di non avvedersi, perché non si trovano molti elementi per ribattere a chi attribuisce all’uomo di Treviri una fondamentale insincerità), che in una condizione di “socialismo realizzato”, una volta attribuita ai lavoratori la proprietà teorica delle aziende, questo di per sé non avrebbe portato ad alcun miglioramento concreto della loro condizione, che, una volta esautorata la borghesia, il potere sarebbe di fatto passato, come è avvenuto, nelle mani di una “nuova classe” di burocrati intesi ad amministrare il verbo socialista, un “clero” che non trovando limiti al proprio potere, si sarebbe presto trasformato in una feroce autocrazia.
È significativo di questa cecità (voluta?) che per questa “nuova classe” non si sia trovato un termine migliore di quello di nomenklatura, espressione che nel gergo leninista dei tempi della rivoluzione d’ottobre indicava la lista dei “compagni di sicura fede”.
Io, penso che lo ricorderete, ho già dedicato, sempre sulle pagine della nostra “Ereticamente”, negli anni scorsi diversi articoli a esaminare La mutazione genetica, cioè la trasformazione della sinistra in qualcosa di diverso, di totalmente altro rispetto agli originali presupposti marxisti e leninisti, e vi ho fatto osservare che i tempi di questa mutazione coincidono con la storia stessa del comunismo. Già con la rivoluzione d’ottobre e l’instaurarsi del regime sovietico, abbiamo una rottura radicale con il socialismo ottocentesco, umanitario e deamicisiano, poi un altro punto di svolta fondamentale è stato rappresentato dal movimento contestatore del 1968 che ha rappresentato per i movimenti di sinistra non solo la conquista di posizioni di potere fondamentali in tutti i gangli della società (e della cultura) occidentale, ma anche l’immissione nelle loro file di elementi borghesi e alto-borghesi cui “la pelle” proletaria andava sempre più stretta.
Ebbene, nonostante tutto ciò, il mutamento avvenuto nei movimenti di sinistra all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, nel giro di una notte, è stato così repentino da lasciare sbalorditi, è come se avessero detto alla gente:
“Vi abbiamo ingannati per tre quarti di secolo, quindi continuate ad avere fiducia in noi”.
In effetti, i fatti del 1991, il repentino crollo dell’impero sovietico hanno determinato la morte anche di un’altra ideologia, quella liberale. Fateci caso, oggi nessuno è più liberale, semmai “liberal”. Non si tratta del solito orribile vezzo di anglicizzare tutto. Il significato è diverso. Come sa bene chi si occupa di traduzioni, esistono, e sono spesso insidiosi, i falsi amici, parole che somigliano a quelle della nostra lingua ma hanno tutt’altro significato. “Burro” in spagnolo significa asino, “crane” in inglese non è cranio, ma gru, “sale” non vuol dire cloruro di sodio, ma vendita. Bene, “liberal” è un falso amico dello stesso genere, non significa “liberale”, ma “di sinistra”, e nello specifico indica la sinistra americana, che quella europea, ripudiato il marxismo, ha preso a modello.
L’eclissi del liberalismo, dunque, è molto facile da spiegare. Per il grosso capitale internazionale “le riforme” che gli interessano, che consistono regolarmente in privatizzazioni e riduzioni dello stato sociale, è più conveniente farle fare a movimenti di sinistra che le classi lavoratrici continuano falsamente a percepire come “dei loro”. In questo modo, “riforme” che proposte da destra avrebbero spinto la gente sulle barricate, vengono accettate in tutta tranquillità. È come il paradosso della rana bollita. Se noi gettiamo una rana nell’acqua bollente, schizzerà subito via, ma se la mettiamo nell’acqua tiepida e gradatamente alziamo la temperatura, se ne starà buona e tranquilla finché non sarà bollita a puntino. Nello stesso modo, si è visto, si possono “cucinare” le classi lavoratrici.
Secondo una nota espressione, si può dire che la sinistra post-comunista ha “buttato il bambino insieme all’acqua sporca”, ha ormai del tutto smarcato le classi lavoratrici per costruirsi un nuovo “popolo” di gay e immigrati.
L’adesione della sinistra ai dogmi del liberismo con un entusiasmo da neofiti ha creato il cosiddetto “pensiero unico”, cioè “tutti” (in realtà non è proprio così) sarebbero ormai liberisti. Qualcuno ha osservato che per le classi lavoratrici e popolari lasciate senza difesa, il concetto di pensiero unico ha un’altra declinazione, per molti significa avere un unico pensiero: trovare il modo di mettere d’accordo il pranzo con la cena.
Sebbene oggi i movimenti di sinistra in Europa non abbiano certamente la stessa forza che avevano tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1990, costituiscono ancora oggi una parte notevole dello scenario politico, e questo vale purtroppo, soprattutto per l’Italia, dove la scena politica è pesantemente dominata dal PD che, a parte il nome ricalcato sui Democrats statunitensi, è una mostruosità generata dall’innaturale connubio fra ex comunisti ed ex democristiani, un partito-museo della prima repubblica. Non c’è solo il ripudio dell’ideologia marxista, ma lo smarcamento dalle classi popolari, il cui interesse è regolarmente posposto a quello dell’ultimo immigrato clandestino. Nonostante ciò, gode ancora di un’area di consenso non trascurabile. Come si spiega ciò?
Io credo che la spiegazione si possa trovare nelle parole di uno dei padri fondatori della sociologia, Max Weber:
“Le istituzioni tendono a creare uomini che credono in esse”.
Non c’è dubbio che un movimento politico che ha alle spalle una presenza massiccia e prolungata nella società oltre che nella politica, possa essere considerato un’istituzione, vantare una “legittimità” che è frutto della consuetudine, esattamente come una legittimità frutto della consuetudine ci fa percepire una differenza fra un’imposta e un’estorsione.
Alla gente, perlopiù, non interessa la dottrina, e nemmeno troppo il cambiamento dei simboli, come la scomparsa della falce e martello, quanto piuttosto il senso rassicurante che “l’istituzione” continua, al punto da non accorgersi che non persegue più i suoi interessi.
Beninteso, c’è un nucleo di persone che continuano a esserne beneficiate, non solo il “nuovo popolo” di gay e immigrati, ma anche i professionisti della politica e del sindacalismo (gli stessi che “per non apparire razzisti” alzano le spalle ogni volta che i nostri lavoratori si lamentano di non riuscire a reggere la concorrenza delle braccia a basso costo immigrate), ci sono poi i mezzi intellettuali che, una volta impadronitisi delle semplicistiche formulette sociali marxiste credono di avere in tasca la chiave per la comprensione dell’universo mondo a dispetto di ogni evidenza, ne ho conosciuti parecchi, soprattutto fra gli insegnanti. C’è il peso che non va assolutamente sottovalutato delle posizioni di potere che costoro detengono nell’istruzione, nei media, nella cultura.
Tutto ciò forma un complesso non di idee, ma di posizioni di potere. Anche questo è un concetto su cui sono tornato più volte. “Il pensiero unico” oggi adottato dalla sinistra non deve essere così unico. Contro di esso noi possiamo e dobbiamo alzare la bandiera del socialismo nazionale, della difesa dei lavoratori che essa ha tradito.
Anche questo l’ho spiegato altre volte, socialismo nazionale non significa l’accostamento, di due concetti distanti, sociale e nazionale, ma solo insieme essi assumono pieno significato, quello di una comunità nazionale in cui non ci possono essere figli e figliastri. Uno stato che recuperi il pieno potere di intervento nell’economia a fini di giustizia sociale rappresenterebbe l’unica arma per difendersi, specialmente oggi, dallo strapotere del grande capitale apolide.
In altre parole, recuperare e salvare il bambino che la sinistra ha gettato assieme all’acqua sporca.
NOTA: Nell’illustrazione, Marx, Engels, Lenin e Stalin in un manifesto di propaganda sovietico, i volti del marxismo che oggi la sinistra vorrebbe far dimenticare.
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