8 Ottobre 2024
Appunti di Storia

Musealizzazione, Storicizzazione, Liquidazione – Pietro Cappellari

Il 20 Ottobre scorso, Giuliano Ferrara, dalle pagine de “Il Foglio”, ha rilanciato una vecchia idea della quale si era persa memoria: “È il momento di un museo sul fascismo”, “sarebbe un modo finalmente serio di agire nel segno della memoria per archiviare, catalogare tutto l’archiviabile”.

Ovviamente, l’appello è caduto nel vuoto e ben pochi sono stati coloro che hanno avuto il coraggio di mettere una firma sotto l’appello lanciato dal Ferrara. Soprattutto a destra. Ora che sono al Governo si sono tenuti lontani da queste “provocazioni”.

Quella di istituire un grande ente nazionale per la storia della Rivoluzione fascista non è un’idea che nasce dal nulla. Anche noi, in passato, tentammo la “provocazione”, che non ebbe nessun esito (cfr. P. Cappellari, Un museo per lo studio della Rivoluzione fascista, “Il Giornale d’Italia”, 20 Settembre 2017). Il fascismo, per la casta politica al potere – di destra, come di sinistra – è una “parentesi barbarica” che deve essere estirpata dalla storia della nostra Nazione. Quindi, «altro che musei ed archivi! Buttiamo giù statue e lapidi, anche palazzi e città se necessario… che tornino le paludi, sanando lo “scempio ambientale” compiuto dal Regime».

Sensibilità diverse si dirà, anche se noi ci vediamo solo lo zampino dell’antifascismo militante della sinistra, alleato con la fasciofobia della destra. Tutti uniti nell’opera di cancellazione della cultura (la famosa cancel culture di anglosassone tradizione).

A Predappio, ci sono stati già tentativi di creare un museo, ma hanno avuto scarso successo nonostante l’impegno e le energie investite. Mancando il determinante contributo pubblico, l’operazione non ha retto dal punto di vista economico. Del resto, le masse che si recano nella piccola cittadina della provincia forlivese non sono attratte certamente dalla cultura, ma da un certo sentimentalismo – spiritualismo, se vogliamo –, dall’amenità dei luoghi… non certo per fare ricerca storica. Ed è anche comprensibile. Anche se dobbiamo evidenziare che qualcosa sta cambiando e il successo straordinario della mostra O Roma o morte. Un secolo dalla Marcia, allestita da coraggiosi uomini di cultura come Franco D’Emilio e Francesco Minutillo, fa ben sperare.

Quando si è parlato di restaurare l’imponente Casa del Fascio di Predappio, proprio per farne un museo, all’ipotesi di uno stanziamento di milioni di Euro, subito sono scesi in campo le associazioni neopartigiane e gli istituti della Resistenza. Ci avrebbero pensato loro a fare il museo del fascismo!

Ci rendiamo conto?

È dal 1986 che esiste un istituto storico della Repubblica Sociale Italiana – l’attuale Fondazione della RSI –; sono oltre 70 anni che l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI – l’attuale Fondazione “Francesco Parrini” – si occupa di ricerche storiche e tutela della memoria; e nessuno si è mai sognato di entrare in contatto con questi enti culturali. Ci penseranno gli antifascisti militanti a parlare del fascismo…

Forse, vi è un pò troppa supponenza e ancor più interessi economici in tutte queste operazioni che con la storia non c’entrano nulla.

Bisogna, comunque, sottolineare che – almeno a quanto ci è sembrato – simili speculazioni ed infiltrazioni sono state per ora respinte al mittente, anche perché i soldi ancora non si sono visti. Ci mancherebbe altro che il fascismo ce lo spiegassero gli antifascisti con i finanziamenti pubblici pagati da tutti gli Italiani!

Ma il fascismo, si sa, tira. Anche economicamente. E l’antifascismo sa benissimo che conviene più parlare di Mussolini, dei suoi gerarchi e delle sue camicie nere che della Resistenza (che non si fila più nessuno ed è ridotta ad una caricatura tristissima).

Siamo d’accordo, ma sia chiara una cosa: “Chi fa antifascismo, non fa storia”.

Quindi, tornando al progetto-provocazione di Giuliano Ferrara, non possiamo che applaudire all’idea generale, anche se le nostre perplessità sono più grandi del nostro entusiasmo. Infatti, di là del progetto in sé – che è visto con il fumo agli occhi da tutta l’intellighenzia bulgara che tiene in ostaggio le nostre scuole e le università e che bivacca nelle redazioni dei grandi mass media – quali garanzie di obiettività storica e onestà intellettuale ci saranno un giorno che finalmente si potesse realizzare questa idea?

Chi saranno i Direttori di questo museo? Quali associazioni neopartigiane allestiranno le sale? Quali istituti della Resistenza stileranno le “linee guida politiche” per la gestione? Chi si “papperà” i milioni di soldi pubblici investiti nell’operazione?

Ci sarebbe solo da ridere se non stessimo parlando della storia della nostra Nazione e del solito fiume di denaro pubblico che scompare nel nulla.

E, poi, vogliamo andare anche oltre. Forse perché siamo dei polemici. Ma tutta questa volontà di musealizzare, archiviare, storicizzare il fascismo non è sospetta?

Nasce per studiare finalmente con obiettività e coraggio il nostro passato oppure risponde ad altre esigenze?

Siamo di fronte ad una operazione culturale da ammirare oppure ad una precisa finalità politica che trova i suoi sostenitori in una certa destra da qualche decennio in qua?

L’intenzione è culturale o politica?

Si vuole mettere in un museo il passato Regime o l’idea fascista?

Diego Marani, addirittura Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, che ha accolto la proposta di Giuliano Ferrara, è stato chiaro: «È stata una dittatura sanguinaria che ha portato il Paese alla rovina, ma è proprio quando si conosce il male, il pericolo, che ci si difende e si è vaccinati contro di esso» (M. Zanon, Perché urgente costruire un museo del fascismo, “Il Foglio”, 22 Ottobre 2022).

“Dittatura sanguinaria”… “Paese alla rovina”… “male”… “pericolo”… e vaccinazione! E questa si chiama conoscenza storica? Queste saranno le persone chiamate a “costruire” il museo del fascismo? O sarebbe meglio chiamarlo museo dell’antifascismo?

Ecco che se alle parole musealizzare, archiviare, storicizzare, aggiungiamo “liquidare” ci troveremo davanti ad uno dei capisaldi politici della destra fasciofoba, che da tempo si batte per seppellire parte della storia d’Italia con tutto il suo patrimonio ideale ancora attuale, confinandola nei libri di scuola, scritti ovviamente dai soliti Professori militanti di sinistra, sia chiaro.

Ricordiamo, a tal proposito, l’intransigenza culturale e politica di Pino Rauti, quando c’era ancora il MSI, davanti alla proposta di storicizzare il fascismo richiesta da più parti: «Quando sento queste cose metto idealmente mano alla pistola. Un conto è storicizzare, un conto è musealizzare il fascismo» (“Corriere della Sera”, 12 Dicembre 1993).

Sembra che ci si trovi davanti ad una operazione già compiuta da una certa destra nel 2004, quando venne votata la legge istitutiva del “Giorno del Ricordo”, per tutelare la memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo istriano-fiumano-dalmata. La lodevole – e per molti aspetti incredibile – iniziativa, però, forse non a caso si è “isterilizzata” subito. Di là dei tentativi continui per depotenziarla ed eliminarla compiuti dalla sinistra, la destra non ha certamente risolto nessuno dei problemi esistenti al confine orientale, in primis quelli dell’italianità culturale di quei territori. È sembrato – e ci si perdoni la continua polemica – che con il “Giorno del Ricordo” si è voluta storicizzare – quindi, liquidare – la questione orientale: «Adesso avete anche voi la vostra “festicciola”, non ci rompete più le scatole con l’Istria, con Fiume e la Dalmazia, abbiamo altro a cui pensare, il mondo va avanti»…

Ora, non vogliamo passare per estremisti irredentisti, ma ci sembra che un legame culturale con quelle terre esista. E sia dimenticato proprio da coloro che hanno votato a favore del “Giorno del Ricordo”. Mi viene in mente la faccia stizzita di uno di questi politici che mi fissava in malo modo quando in un’aula del Senato domandavo di non dimenticare l’Italianità dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia… Oggi, si è giunti all’intervento di un Sindaco di centro-destra che, a Nettuno, questa Estate, ha pensato bene di cancellare la parola “Italia” vicino a quello delle terre irredente dal locale monumento ai martiri delle foibe… perché “non stava bene” alla sinistra!

Storicizzare e liquidare, per l’appunto. Con la grassa ignoranza tipica dell’antifascismo.

Se si vuole storicizzare il Regime, le sue opere, le sue divise, i suoi monumenti, ben venga tale coraggioso progetto. Chi mai vorrebbe riesumare usi e costumi del secolo scorso? Neanche fosse carnevale.

Ma prima di tutto ciò servirebbe una “legge della memoria” che preservi i documenti, i monumenti, tutti i manufatti del nostro passato. Una legge non come quella spagnola, fatta dai nipoti degli sconfitti della guerra civile con spirito di odio e vendetta, ora che non c’è più il franchismo al quale avrebbero dovuto rendere conto. Facile vincere quando si “gioca” – e si sputa – contro i morti… vero? No, servirebbe una legge “positiva”, per difendere, promuovere, restaurare, per riappropriarci della nostra storia, di “quella Storia”, e inserirla, come naturale che sia, nel corso lineare della storia nazionale. Ma quando?

Con leggi repressive del pensiero ancora in vigore delle quali si chiede un inasprimento, che speranze si hanno per una pacificazione tra gli Italiani? Per la libertà di pensiero, di associazione, di ricerca storica?

Saranno i nipoti dei partigiani, i figli del ’68, a dirci cosa fu il fascismo?

Il problema allora parte da lontano e non sarà certo il sistema ciellenista al potere a risolverlo, a fare musei del fascismo, a rispettare la libertà di tutti. Anche quella di portare un fiore ai caduti della RSI.

Quindi, sì alla storicizzazione del Regime. Ma se il discorso si sposta sulle idee, quelle idee scomode, imbarazzanti, che hanno fatto scrivere intere pagine di storia, per le quali decine di migliaia di giovani sono morti – gli ultimi negli anni ’70, tanto per chiarire – ebbene, diciamo subito che le idee camminano sulle gambe degli uomini e come non si possono chiudere dentro una galera, non si possono neanche imprigionare in un museo.

 

Pietro Cappellari

(“L’Ultima Crociata”, a. LXXII, n. 8, Dicembre 2022)

 

 

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