10 Ottobre 2024
New Age

Myrddin, l’ultimo mago – Rita Remagnino

Contrariamente a quanto si crede, il «tempo della magia» non è scomparso insieme agli scaramantici Caldei ma nelle nostre modernissime città qualcuno cerca ancora di controllare le onde elettromagnetiche e di manipolare la materia usando i «metodi antichi». Non è sicuro ma assai probabile che gruppi ristretti di iniziati garantiscano la sopravvivenza di eggregore, cioè di «esseri fittizi» costituiti grazie all’accumulo di «cariche psichiche» umane. Il che significa che sopra le nostre teste gravitano entità di vario genere, dato che la gioia alimenta «masse energetiche» di un certo tipo mentre la paura ne genera altre.

Ciò premesso, e senza entrare nel merito di questioni inadatte alla presente narrazione, mi limito a constatare che questi fenomeni esistono perché le odierne conoscenze tecnoscientifiche non appagano completamente la sete di potere (scambiato per sapere) dell’uomo.

Probabilmente non era assillato da siffatti dilemmi l’uomo-dio-natura delle Origini, il quale agiva in un perenne stato di subcoscienza. Ma in seguito alla nascita della coscienza (stimata attorno al 1000 a.C.) andò formandosi un individuo spiritualmente provato, psicologicamente matrizzato e costantemente perseguitato dai «mostri» della mente che si perse nel labirinto dei pensieri, finendo per anteporre i desideri materiali alle necessità dello Spirito.

Ma chissà che una consapevolezza autenticamente ecologica, cioè lontana dal «green» senza sostanza che quotidianamente ci viene sbandierato sotto il naso, non aiuti l’umanità del futuro a scavare sotto lo strato della coscienza soggettiva, così da trovare la forza di ri-convertire l’arte magica (o scientista) in arte naturalistica, quella che personalmente preferisco.

Nell’attesa mi assumo la responsabilità di prendere ad esempio quale «ultimo mago» (senza offesa per gli altri) una figura emblematica proveniente da quella che viene considerata da più parti «l’ultima stirpe dello spirito», i Celti, i quali attraverso il druidismo ebbero il merito di portare fino alle soglie dell’Europa storica l’antico sciamanismo ecologista largamente diffuso nel passato preistorico dell’emisfero settentrionale.

 

Myrddin, colui che ride

Prima ancora di essere un «mago» depositario di saperi ancestrali, il Druido era un «uomo dei boschi» intimamente legato alla Natura. Bene lo rappresenta il mitico Myrddin, bardo e indovino, saggio e sapiente, trasformato dagli autori medioevali in Merlino, fidato consigliere del leggendario sovrano della tavola rotonda.

Nato nel regno gallese di Dyfed da una famiglia di ceto elevato, forse di sangue reale, Myrddin entrò in scena come figlio d’arte poiché suo padre, Morvryn, era un noto visionario e chiaroveggente. Un particolare che eccitò parecchio la fantasia dei monaci medievali, i quali scrissero che «Merlino era figlio di una vergine e del diavolo».

All’età di nove anni – 3 volte 3 uguale 9, il «divino occulto» – gli fu imposto il nome nell’ambito di un rito a cui parteciparono i capi dell’esercito, che erano i nobili del suo tempo. Nove anni era l’età, secondo i Celti, in cui si concludeva la prima fase della vita. Una consuetudine seguita anche dall’altra parte del globo dai Pellerossa, che imponevano il nome ai ragazzi al raggiungimento di un certo traguardo anagrafico. La comunità, in pratica, si riservava tutto il tempo di osservare il nuovo elemento, valutandone il carattere sotto ogni aspetto. L’accettazione nel clan non era mai scontata.

Tradotto dal britonico in italiano Myrddin significa «colui che ride», un indizio che fa pensare a un ragazzino vivace, aperto e solare, cioè al lato positivo dell’immagine di «ambiguo incantatore» costruita dal Medioevo cristiano. Ma, d’altra parte, vanno capiti anche quei bravi monaci costretti a tracciare la figura di un figlio del demonio dovendone accentuare l’anima nera.

Subito dopo la cerimonia del nome, il ragazzo iniziò il suo addestramento a Mona. L’isola sacra difesa fino allo stremo dall’ultima regina celtica, Boudica, nella sua disperata lotta per la libertà, e risorta sotto l’egida del Drago Rosso dopo la ritirata dei Romani dalla Britannia.

 

Piccoli druidi crescono

A Mona l’istruzione delle matricole era imperniata sullo sviluppo delle abilità intuitive e sullo studio delle scienze naturali. Potevano volerci anche vent’anni prima che all’aspirante druido fosse conferito lo status di Grande Sapiente in una delle cinque qualifiche: filosofo naturalista e metafisico, bardo e profeta, medico e farmacologo, astronomo e insegnante, giudice e consigliere del re.

Non si sa quanto tempo impiegò il giovane Myrddin a «diplomarsi», tutto lascia supporre tuttavia che il ragazzo fosse un fuoriclasse, visto che riuscì a specializzarsi contemporaneamente in tutt’e cinque le materie. Un traguardo che gli permise di entrare in grande stile nella Storia del suo tempo, per essere infine consacrato alla leggenda come uno di quei rari esempi umani in grado di cambiare radicalmente il mondo.

Com’era nel costume dei Druidi, e degli sciamani paleolitici prima di loro, Myrddin esercitò le capacità precognitive di cui era dotato ad esclusivo vantaggio del suo popolo. Celebri divennero alcune visioni entrate in seguito nella Storia, come ad esempio la «Profezia dei Draghi», che prevedeva per l’Europa conflitti interni disgreganti (tuttora in corso) prima di poter assistere a una rinascita della celticità, cioè alla ripresa di una solida spiritualità.

Altrettanto famosa fu la profezia che annunciava l’avvento del «Cinghiale della Cornovaglia» che avrebbe liberato la Britannia dai suoi oppressori, concretizzatasi più tardi con la comparsa di Artù, il grande re europeo di cui Myrddin fu la guida spirituale, morale, culturale e strategica.

I bardi più vicini al Druido a livello temporale, e perciò attendibili riguardo la registrazione dei fatti della propria epoca, narrarono che prima di assumere la direzione di un rituale importante egli si ritirava per tre giorni e tre notti in una caverna al fine di acquisire la forza spirituale necessaria a superare felicemente la prova.

Come non riconoscere in simili tecniche il retaggio degli sciamani paleolitici, che dopo essersi calati in qualche oscura cavità assumevano pozioni a base di allucinogeni vegetali e poi partivano per i loro «voli astrali», addentrandosi negli universi paralleli abitati dagli Spiriti. Ancora oggi a Tintagel, in Cornovaglia, frotte di turisti in cerca di un brandello di celticità visitano l’imponente «grotta di Merlino», che nei momenti di bassa marea si può raggiungere a piedi passando attraverso un lembo di sabbia dalla forma di mezzaluna.

 

Ecologia profonda

Nell’arco di una vita dedicata al sapere magico Myrddin collezionò numerosi successi, ma dovette incassare anche dolorose sconfitte. Aveva forse sessant’anni quando decise di ritirarsi dal mondo, rifugiandosi nelle Cheviot Hills, un territorio anticamente occupato dalle fitte foreste della Caledonia e oggi ricoperto al massimo di erica e muschio.

Stando ai racconti dei bardi, per un lungo periodo il suo unico compagno fu un cinghiale. Ma il cameo dell’animale selvatico nella sua biografia potrebbe essere un semplice stratagemma narrativo usato per spiegare che in questo luogo Myrddin instaurò un legame metafisico con l’aspetto giovane della Triplice Dea, simboleggiato appunto dal cinghiale.

Immerso nei boschi il Druido passava le giornate meditando sotto i meli selvatici in armonia con la potente forza trina della Terra (vita, morte, rinascita) e componendo in forma poetica varie profezie. Al termine del periodo sabbatico egli tornò quindi al sud, dirigendosi verso il Gwynedd gallese, dove incontrò la donna saggia che lo avrebbe accompagnato durante il suo ultimo viaggio.

Molte malignità sono state scritte dai monaci medievali sulla terza età del Druido. Prima si insinuò che a Myrddin la vita selvaggia avesse dato alla testa, poi che la giovane e bella Niniane fosse una profittatrice entrata nella sua vita allo scopo di carpirgli i segreti magici più preziosi, infine che lei utilizzò quelle formule per farlo fuori, trasformandolo in una roccia inanimata.

Verosimilmente Niniane non fu mai l’amante di Myrddin bensì un’esperta Druidessa, forse una delle nove donne sagge di Avalon. Il vegliardo la prese con sé quando comprese che la vita terrena stava per abbandonarlo. Esalò l’ultimo respiro tra le sue braccia sull’isola di Ynys Enlli, dove la cosmologia druidica indicava la presenza di una «porta» d’accesso per entrare nella quarta dimensione, e lo fece sapendo che la donna che aveva accanto sarebbe stata in grado di proteggere il suo spirito, conoscendo alla perfezione il rituale necessario a traghettare un’anima nell’Oltremondo.

Dopo il trapasso Niniane depose il corpo inanimato di Myrddin in una caverna in cui agivano forti energie cosmiche. Piantò sulla soglia della grotta funeraria un biancospino, cioè un arbusto al quale era attribuita la speciale capacità di accogliere in sé l’essenza del defunto, e così facendo offrì al grande Druido una degna dimora nella dimensione terrena mentre il suo spirito si attrezzava per trasmigrare in quella ultraterrena.

La perfetta esecuzione del rituale consentì all’anima di Myrddin di non uscire definitivamente dal mondo dei vivi (riecco il concetto di non-morte della tradizione indoeuropea) pur essendosi «tecnicamente» trasferita nello spazio che si trovava al di là di esso, ma di rimanere attiva in entrambe le dimensioni continuando a vegliare sul suo popolo.

Vuole la leggenda che qualche tempo dopo un gruppo di Druidi trasportasse a Brocéliande, una località a circa 40 km da Rennes, i semi delle piante cresciute sull’humus del biancospino di Ynys Enlli per dare vita anche nel continente a un’estesa foresta sacra. Da allora il luogo è meta privilegiata di iniziati e di curiosi provenienti da tutto il mondo, ma si dice che solo i visitatori dotati di una subcoscienza attiva possano percepire la presenza di Myrddin. Colui che fu, è, sarà.

 

Ultimi fuochi

Così Brian Bates, in The Way of Wyrd, ha ricostruito la visione del mondo di un antico mago-sciamano europeo partendo da un manoscritto conservato al British Museum: “Essi vedevano l’universo, dagli dèi agli inferi, collegato da un enorme sistema di fibre che arrivava ovunque, un po’ come una ragnatela tridimensionale. Ogni cosa era collegata da fili fibrosi alla trama che avvolgeva tutto. Quanto ad ambizione, questa immagine supera di gran lunga le nostre attuali concezioni dell’ecologia, nelle quali abbiamo esteso le nozioni di causa ed effetto, finendo con l’includere sempre di più nel mondo naturale catene indirette di influenza. La trama di fibre dell’antico druido offre invece un modello ecologico che racchiude tanto gli eventi della vita individuale quanto i fenomeni generali fisici e biologici, sia gli eventi non-materiali che materiali, e mette in discussione le stesse catene di causa ed effetto sulle quali fanno assegnamento le nostre teorie ecologiche.”

La conquista romana della Britannia fece tabula rasa del naturalismo magico ancora presente in modo residuale nel settentrione europeo, e il seguito lo conosciamo. Gli ultimi medici-sapienti-maghi vennero perseguitati da un potere ottusamente confessionale e poi incolpati di «ingannare le persone con stratagemmi satanici». Bussava alla porta di casa-Europa l’epoca torbida dei diavoli e delle streghe, alla quale sarebbe seguita quella fintamente democratica della gnosi scientista, nemica giurata dell’«ignoranza superstiziosa».

L’ultima parola (ancora valida) spettò all’Illuminismo: l’uomo era libero di pensarla come voleva, a patto che non andasse contro l’ideologia del progresso, altrimenti era da considerarsi un analfabeta scaramantico le cui parole non valevano nulla. Ma allora, tutti quei bei discorsi sulla libertà di pensiero? Come poteva essere libero l’atto del pensare se il pensiero stesso non partiva più dalle sue autentiche basi, che erano spirituali?

Le risposte sono ancora in viaggio, e intanto il pensiero meccanicista non smette un attimo di vedere la Natura come una gigantesca macchina. La materia genera il cervello, il cervello produce la mente, la mente crea il pensiero. Elementare, Watson! E per favore si lasci perdere la «magia», che è sinonimo di ritorno a un passato di barbarie, al «buio Medioevo» in cui gli uomini erano impantanati in vaneggiamenti metafisici, non avendo abbastanza dimestichezza con lo strumento della ragione.

E’ incomprensibile come nella loro foga riformatrice i progressisti non considerino la possibilità che la mente non sia una funzione del cervello, né l’eventualità che il cervello costituisca semplicemente il supporto fisico e temporaneo di una funzione che può esistere anche senza di esso, e continuerà ad esistere anche dopo di esso.

Cacciata dalla porta, comunque, la metafisica è rientrata prepotentemente dalla finestra sotto forma di principi tanto indimostrabili quanto le vecchie e deprecate «superstizioni». Il bello della Storia delle Idee sta proprio nel modo unico e instancabile delle visioni umane di girare sempre attorno allo stesso perno.

 

Magismo tecnologico

Se la slat an draoichta, cioè la «verga del Druido», era costituita da un ramo di frassino o di nocciolo cui erano appesi con nastri multicolori dei piccoli oggetti tintinnanti, la bacchetta magica dell’illusionista del XXI secolo si chiama smartphone, o tablet, ed è anch’essa una fonte inesauribile di suoni e di colori.

Abbiamo fatto dei passi avanti? Mah! … Ci sono numerose affinità tra l’infanzia guidata da individui potenti e carismatici (i maghi) che avevano il dono di comprendere conoscenze «superiori» e l’infanzia tecnologica diretta dai Ceo della Silicon Valley, anch’essa capace di trasportare in altri mondi e in altre situazioni, di connettersi a distanza, di farsi racconto e figura.

Sempre d’infanzia si tratta, ancora non siamo diventati (o ritornati) adulti. Sebbene si debba riconoscere per onestà intellettuale che il magismo naturalistico chiamava direttamente in causa le capacità percettive dell’individuo, il suo Spirito, mentre la tecnologia si accontenta di proporre dei prodotti commerciali a settori specifici di soggetti passivi. Appare dunque poco probabile che la cosiddetta «rivoluzione digitale» riesca ad affrontare dignitosamente i principali problemi dell’uomo.

Ma forse l’hanno capito anche i suoi protagonisti, che negli ultimi tempi si autoaccusano dei danni sociali e psicologici provocati dai processi innescati nella società umana dai loro giochi virtuali. Nei primi anni abbiamo guadagnato una montagna di soldi, ammettono gongolanti, ma adesso è chiaro che, come nel caso del gioco d’azzardo, della nicotina, dell’alcol e dell’eroina, anche Facebook e Google producono la felicità di un attimo al prezzo di pesanti conseguenze negative.

In effetti se la magia degenerata dell’ultimo periodo non era «la soluzione», nel senso che i suoi rituali hanno finito per diventare autoreferenziali, la tecnologia avanzata sembra possedere una spiccata pericolosità perché certi processi una volta avviati diventano inarrestabili e irreversibili.

Quasi tutte le «invenzioni» dell’uomo hanno purtroppo un difetto congenito: nell’immediato sembrano produrre apparenti miglioramenti, poi però complicano enormemente la vita umana, rendendola talvolta insopportabile. Non c’è invenzione che una volta annunciata non sembri una trovata formidabile, decisiva e risolutiva, ma è raro che il suo inventore ne preveda le conseguenze, o comunque le tace perché quando emergeranno lui sarà morto. Scriveva Nietzsche: “In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della storia del mondo”.

Rita Remagnino

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (Audax Editrice). Altre pubblicazioni: "La vera Storia di Eva e il Serpente. Alle origini di un equivoco" (Audax Editrice, 2024). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

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