8 Ottobre 2024
Mysteria

Mysteria Parte Seconda ∼ Sulla Sapienza e sui Misteri: precisazioni necessarie

di Luca Valentini

 

colui che si centra nella radice silenziosa e lucente della propria interiorità,

che è anche interiorità cosmica(…),

e coglie la perfetta armonia dei contrari in sé e fuori di sé,

senza essere trascinato eccessivamente dalle emozioni, dai pensieri, dalle cose,

 perché dimora nella Sapienza”

(Angelo Tonelli, Sapienza ritrovata, Arcipelago Edizioni, p. 11)

 

In alcuni e recenti scritti apparsi su Ereticamente, alcuni collaboratori si sono impegnati con vero merito nell’approfondimento di tematiche inerenti alcuni aspetti filosofici, filologici e dottrinari della Tradizione Arcaica, nelle sue molteplici declinazioni. In alcuni di essi, però, oltre ad approfondimenti di indiscusso valore, si sono accompagnati riflessioni ed analisi che stonano alquanto sia col dato tradizionale, sia con l’interpretazione di autorevoli studiosi, italiani ed internazionali, di similari tematiche legate al mondo classico. Nello specifico, ci è dispiaciuto alquanto che alcuni fuorvianti riferimenti alla misteriosofia antica ed alla sua culminazione massima, cioè ciò che devesi intendere per Conoscenza o Sapienza Divina, siano passati assolutamente sotto silenzio. Non accadrà in codesta circostanza.

Se vogliamo iniziare la nostra disquisizione riferendoci a ciò che debba intendersi per Sapienza – e ciò ci aiuterà meglio a comprendere successivamente la vera natura dei Misteri Antichi –, dobbiamo, riferendoci all’incipit che abbiamo voluto inserire nel presente scritto, affermando che Essa è assolutamente una condizione dello spirito, l’identificazione per quanto perfetta possibile dell’interiorità umana col mondo siderale del Divino, la riscoperta del Sacro nell’aurificazione della pietra grezza che in sé dimora. Ciò ci conduce a rappresentare il Sapiente, come un realizzato, come un Vivente eternamente presente, specchio cristallino dell’Ente – Uno, da cui promana la molteplicità fenomenica. Tale rappresentazione si differenzia categoricamente da quelle che hanno posto in similitudine la Sapienza con il Sapere oppure la Sapienza con la Devozione. Essa non è, come ci ricorda sempre Angelo Tonelli (in Sulle tracce della sapienza, Moretti e Vitali Edizioni), un insieme di contenuti veri e saggi, non è una sistematica organizzazione del pensiero, essa scaturisce dal Sé, mentre la filosofia dall’ego. Essa è la sperimentazione interna del Divino, indi è oltre la razionalità pensante, è oltre la dimensione della Pistis, della Fede, del misticismo devozionale, umido e femmineo. Se la Devozione è basata su una passività dogmatica, il Sapere è fondato su un’astrazione non sperimentale: la Conoscenza è, al contrario, attiva identificazione, è agente trasmutativo permanente.

Se in Proclo, più volte citato ed anche abusato, ritroviamo il riferimento alla Fede, come riferimento alla cultualità gentilizia, come ci ricorda un certo Werner Beierwaltes (Proclo, i fondamenti della sua metafisica), istituzione vivente dell’esegesi platonica contemporanea dell’Università di Monaco di Baviera, la funzione relativa alla realizzazione teurgica viene affidata invece al Silenzio legato alla Mania, all’Estasi, come coglimento supremo dell’Uno. Ciò viene confermato dalla testimonianze del discepolo di Proclo, Marino (Vita Procli, 28), il quale ci riporta della systasis teurgica attuata dal suo maestro, cioè la congiunzione, anche tramite un patto, con una divinità, nella cui applicazione le varie azioni magiche rappresentavano la graduale purificazione dell’anima dell’operatore. Se tali componenti coesistono in uno degli ultimi Ierofanti dell’Età Arcaica, come Proclo, e non sono ben distinti come in Giamblico e Damascio, ciò non deve indurre nessuno a porre similitudini assolutamente improponibili.

Valentini 2

Tutto ciò ci riporta ad una dimensione, come appare con solare ovvietà, che davvero potrebbe collimare sia con la Devozione sia con il Sapere. Se l’erudizione intellettiva e filosofica può rappresentare una valenza solare rispetto al lunare dogmatismo del devoto, entrambi rappresentano ciò che nella dottrina ermetico – alchimico è il doppio lunare rispetto alla trasmutazione identificativa: l’ego, inteso come coscienza psicologica, è Sole rispetto allo stato di trance passivo del credente, ma entrambi si dissolvono dinanzi alla realizzazione del Sé. In merito, sempre Angelo Tonelli nel suo scritto sulla Sapienza già citato, come Pierre Hadot nel suo saggio sulla filosofia antica, differenziano il filosofo dal Sophos, dal Sapiente, differenzia l’anelito (philein), del pensatore ma anche del devoto, dalla Conoscenza, che è presenza fondante e contemplativa in sé e di sé:

Mi sforzo di ricondurre il divino ch’è in noi al divino che è nel tutto” (Plotino, Vita, 2, 25).

E’ interessante notare, nell’ambito della pratica tradizionale romana, come il dominio sia della Fides sia della Philosophia abbiano avuto ed abbiano una valenza essenzialmente preliminare e convertiva verso la qualificazione di una regolare attitudine religiosa, indi a distanze assolutamente siderali rispetto alla dimensione sapienziale, che può essere realizzata secondo percorsi iniziatici e misterico – teurgici. Non è superfluo sottolineare, inoltre, come la Pistis “procliana” o la Fides romana abbiano una portata ben diversa rispetto al sentimentalismo pietistico di matrice cristiana, anche se, nel mondo spurio del neopaganesimo neospiritualista, tale pietismo viene assunto come riferimento di massima, al di là delle enunciazioni dei bei principi, sostanziando un’inclinazione al Sacro prettamente devozionale, settaria e spesso rancorosa, indi essenzialmente cristiana, mascherata da una strana paganità politeista che, come direbbe un Pettazzoni, semplicemente non è mai esistita. Nello specifico si attua una distinzione tra ciò che è legame intimo e profondo, tra ciò che è conoscenza autentica e ciò che è credulitas, cioè convincimento dogmatico e fallace, indi superstizioso: si matura tutta la distanza tra Pistis Pisteutikè, cioè falsa opinione emozionale, e Pistis Didaskalikè, cioè un sano convincimento basato e maturato sulla recta opinio e la Sapienza dei Padri (La Pietas e la Fides, Saturnia Regna, n. 53, Edizioni Victrix, Forlì).

Si determina, pertanto, una sublimazione del rapporto col Divino, che non è più teologico, cioè raziocinante ed interpretativo del Sacro, non è più religioso, cioè di ricollegamento dualistico, ma di immedesimazione diretta magico – teurgica. L’etimologia dal greco ϑεουργία, come composto di ϑεός «dio» e ἔργον «opera», infatti, indica non un approccio degli uomini in senso cultuale al mondo degli Dei, ciò non differenziandosi in nulla dalle pratiche gentilizie del paganesimo antico, ove sussiste una separazione evidente e spesso devozionale tra orante e Nume invocato. Al contrario, si sperimenta una perfetta identificazione tra l’operatore ermetico e la Divinità, quasi a suggellare una reale incarnazione che elimina e supera magicamente la dualità religiosa, per affermare tutta la potenza di pratiche il cui complesso noi definiamo vera e propria Teosofia dell’Azione, in quanto attua quella palingenesi che conduce verso la Sapienza. Tale realizzazione è Silente e Misterica, come viene ricordato da Damascio in merito all’ineffabile trasfigurazione di Platone (Il principio totalmente ineffabile tra dialettica ed esegesi in Damascio di Valerio Napoli, presentazione di Francesco Romano, collana Symbolon, CUECM Catania, p. 444ss), perché attua la sperimentazione di un’alchimia interna, fisiologicamente occulta, come riporta l’insegnamento magico egizio – partenopeo:

…se comprendi precisamente che il tuo spirito, nel fodero di carne, è suscettibile di ogni miglioramento, fino a diventar come divinità dell’Olimpo e Nume maggiore, puoi attendere ad entrare in rapporto colle nature che sono più in alto che le divinità dei cieli” (Giuliano Kremmerz, La Scienza dei Magi, Il Mondo Secreto, vol. I, Edizioni Mediterranee, p. 114).

Dopo aver tentato di circoscrivere l’ambito sapienziale secondo un’ottica tradizionale, passeremo a definire il vero ambito della Misteriosofia, che, essendo il viatico trasmutativo nell’Antichità, verso la Conoscenza, non presenta alcun connotato religioso, ma essendo di pura natura iniziatica, tale elemento fideistico lo supera e lo sublima. In merito, va considerata la possibilità nell’era antica ma anche in quella presente, che un necessario collegamento vi sia stato o vi sia tra dimensione religiosa e dimensione iniziatica, come nel caso del citato Proclo, come nel caso di Giuliano Imperatore, come, oggigiorno, nell’ambito del Sufismo, ma sempre tenendo ben presente la diversa gradazione spirituale di ambiti contigui ma profondamente diversi.Valentini 3

Come riporta un Victor Magnien (I Misteri di Eleusi, Edizioni di Ar), nel percorso misterico la componente devozionale e fideistica era la soglia dei Piccoli Misteri, già oltrepassata nel Grande Magistero, senza accennare a livello ulteriori di dignificazione che ad Eleusi, per esempio, conducevano ben oltre l’Epoptìa, fino ad altri tre gradi palingenetici: Holòkleros, Iniziazione Sacerdotale, Iniziazione Ierofantica o Regale. Tale inquadramento è rintracciabile anche nella mistagogia mithraica, in quella orfica, fino ad arrivare ad uno dei centri emanatori più importanti della Tradizione Ieratica d’Occidente, cioè la Sapienza Ermetica Egizia. Oltre il Magnien, anche Angelo Tonelli nella sua recente pubblicazione dedicata ai Misteri ed alla tradizione iniziatica greca (Eleusis e Orfismo, Edizioni Feltrinelli), conferma pienamente tale orientamento, come, parimenti ritroviamo identità di vedute in Raphael, nel suo Orfismo e Tradizione iniziatica (Edizioni Asram Vidya). L’iniziazione regale assume, pertanto, tutt’altro che un connotato religioso, ma si profila essere come l’esperienza diretta in cui esperire la Sapienza che unisce il Tutto nell’Uno, non perché lo crede fideisticamente oppure lo congettura filosoficamente, ma perché lo sperimenta interiormente, lo ricorda internamente, come già ci ha ammonito precedentemente Plotino e dal quale riprendiamo un riferimento che convalida tutto il ragionamento che stiamo cercando di esplicitare:

Iniziando questa ricerca, noi obbediamo al precetto del dio che ci comanda di conoscere noi stessi. Se vogliamo cercare e trovare ogni altra cosa, è giusto che ricerchiamo chi è colui che ricerca…” (Vita, IV, 3, 1, 1).

Da ciò, è necessario passare ad un certo discredito che si è palesato nei confronti dell’ascesi interiore e della dimensione animica e sottile, che, come dimostrato si configurano essere l’unico percorso trasmutativo ed realmente sapienziale, e quindi l’accenno spesso ritrovato ad un’intellezione che dovrebbe evitare e saltare l’ostacolo per una non ben definita via “ultrasecca” (come riportato dal fraterno Giandomenico Casalino), non ci convince molto, oltre a non trovare giustificazione sia nella tradizione classica e tantomeno in quella di natura magico – ermetica. Come si palesa, non solo nei Misteri, ma anche nei mitologhemi riportati da Platone, da Plutarco, da Apuleio, da Nonno di Panopoli, non si sperimenta realmente il Signore di Delfi, se precedentemente non si è smembrato e ricomposto Dioniso, suo fratello, come in Egitto, la realizzazione verso l’Horus Aureo, passa necessariamente per l’uccisione e la decomposizione di Osiride e lo svelamento di Iside. Poco c’entra il voler dualizzare un percorso iniziatico (e non religioso) che è unico ed organico, come se nel procedere nella Grande Opera Alchimica, fosse possibile accedere direttamente alla Rubedo, svalutando, come un puro atto intellettivo, la Nigredo e l’Albedo: le dinamiche ermetiche ed iniziatiche hanno uno sviluppo preciso ed il riferimento alla Via Secca è inerente a modalità operative ben precise di arroventamento del metallo, che non presuppongono salti e scorciatoie filosofiche né devozionali.

Il citato passo di Aristotele “Ouk mathéin allà pathéin”, tratto da De Philosophia, è necessario, in realtà, interpretarlo con le stesse parole dell’allievo di Platone, che ci dirigono verso una direzione alquanto opposta rispetto a quella prospetta dal Casalino:

Gli iniziati [tous teloumenos] non devono imparare [mathein] qualcosa, bensì subire una modificazione [pathein] ed essere in una certa disposizione [diathenai], evidentemente dopo di essere divenuti capaci di ciò.

[…] Ciò che appartiene all’insegnamento e ciò che invece appartiene all’iniziazione. La prima cosa invero giunge agli uomini attraverso l’udito, la seconda invece quando la capacità intuitiva [tou nou] subisce [pathontos] la folgorazione [ellampsin]: il che appunto fu chiamato anche misterico [mystêriôdes], e simile alle iniziazioni di Eleusi. In queste infatti l’iniziato [ho teloumenos] risultava modellato [typoumenos] rispetto alle visioni, ma non riceveva un insegnamento (verbale) [didaskomenos]”.

Ciò ci riconduce non ad una differenziazione tra Dioniso ed Apollo, i quali, lo ripetiamo non sussistono senza la sperimentazione del primo che, ad Eleusi, si trasmuta nel secondo, ma alla diversità che all’inizio abbia posto, tramite gli scritti di Angelo Tonelli, tra Filosofo e Sapiente, tra Sapere e Sapienza, tra ciò che si astrae e ciò che si conquista alchimicamente nella propria interiorità.

Non è casuale, infine, che in Ur 1927 in uno scritto di Ea (Evola) “Sul carattere della conoscenza iniziatica” si ritrovi la seguente espressione:

“Così è noto il detto, che negli antichi Misteri non si andava per ‘apprendere’, bensì per raggiungere, attraverso un’impressione profonda, un’esperienza sacra”.

L’esperienza interiore, quindi, diviene elemento essenziale per chi sa invertirne la polarità: elemento di costrizione e di privazione per il profano, ma, allo stesso tempo fondamentale per la pratica dell’Arte, per il suo inizio ed il suo svolgimento. A tale pratica, però, si può solamente alludere, essa può essere velatamente e numenicamente visualizzata, ma sfugge dagli aridi confini delle definizioni, delle categorie, delle preghiere, perché il proprio principio è la cessazione delle rappresentazioni sensoriali, è la rescissione dei vincoli col mondo profano, è la conquista più ardua per chi ha intrapreso l’Opera, è il Silenzio dell’Arcano. La Sapienza Misterica, come conoscenza effettiva ed irradiante, è, pertanto, la realizzazione e la conquista dell’Eudaimonia, come insegnato dal Platonismo e come lo stesso apprese dal mondo delle secrete iniziazioni.

4 Comments

  • Giandomenico Casalino 15 Giugno 2015

    Precisazioni necessarie,attesa la chiamata in causa diretta da parte dell’amico Luca Valentini.

    1 La Tradizione platonico-neoplatonica non è erudizione e sapere intellettualistico astratto, nel senso cristiano-moderno, ma percorso sapienziale-iniziatico di autentica e reale divinificazione come anamnesi di ciò che si è da sempre: tale Via è quella della fine del Ciclo e quindi del Meghiston Mathema, che è la Conoscenza Suprema in quanto è Essere il Dìo cioè l’Uno, come insegnano sia Platone che Plotino quanto Proclo.

    2 In tutti i miei libri e scritti vari,se si leggono attentamente,per la ragione della attuale presenza della maturità avanzata del Ciclo,ed in ossequio proprio alla Tradizione Classica che è di natura eroico-guerriera (e questa è la Via ultrasecca…) con fini regali (come insegna Evola in Tradizione ermetica…) non è dato riscontrare “alcun salto” o omissione altera e stupidamente arrogante dei necessari passaggi,attese le già richiamate e credo note condizioni del Ciclo e dell’uomo della presente Età,ma anzi (nei miei lavori…) vi è il riconoscimento palese della inevitabile presenza della fase orfico-dionisiaco-misterica (Fedone) per poi giungere non al pàthema ma al Mèghiston Màthema che è,come si è già detto,Conoscenza Suprema,e ribadiamo per chi non vuol comprendere,non nel senso erudito e libresco cioè cristiano-moderno,da contrapporre alla fede-credulonerìa sempre cristiano-moderna,ma in altro senso che è esplicito sempre in tutti i miei scritti a cui mi permetto di rimandare. Ragion per cui il buon Valentini non può attribuirmi concetti o pensieri che non ho mai espresso verbalmente o per iscritto.

    3 Il frammento di Aristotele sui Misteri, da me tematizzato e fatto conoscere al nostro mondo culturale, dice quello che si legge in esso e tutte le “interpretazioni” pro domo mea, che vogliamo spalmargli addosso, non cambiano il significato semantico delle parole e dei verbi oltre che il significato epocale di ciò che dice Aristotele, spirito squisitamente ellenico-indoeuropeo! Né a fortiori, le ulteriori citazioni aristoteliche o evoliane riferite contraddicono ma anzi confermano il significato della differenza spirituale tra la Sapienza (conosci te stesso!) e l’esperienza misterica animico- emotiva. Così dicasi per la imprudente citazione del libro del Napoli sul Principio Ineffabile (edizione CUECM), testo da me ben conosciuto e che conferma, invece che smentire, quanto la tradizione platonica stessa insegna, avendo il passo citato dal buon Valentini per oggetto proprio l’ipotesi del silenzio iniziatico sull’Uno che Damascio argomenta intorno al Parmenide di Platone.

    4 A nostro avviso, per il rispetto dovuto ai Maestri della Tradizione, di cui ci limitiamo a parlare soltanto, sarebbe proficuo e igienico evitare di confondere il significato e l’essenza classica greco-romana di Filosofia (che è quello di rendersi simile al Divino) con quella cristiano-moderna; se poi lo si fa per massimizzare, se pur legittimamente, la propria equazione personale, non è comunque lecito, per raggiungere ad ogni costo tale finalità, creare confusione tra realtà storiche e spirituali alquanto differenti (quali la Teurgia e la Tradizione Ermetica….) o travisare e stravolgere altre Realtà dello Spirito (quali la Tradizione Platonica o quella Romana..) per renderle comunque adattabili o confacenti sempre al proprio punto di vista o tentare, comunque vanamente, di “dimostrarne” la insufficienza realizzativa, sotto il profilo spirituale, mettendole a “confronto” , una volta stravolte, ancora con il proprio punto di vista a quel punto facendolo uscire inevitabilmente “vittorioso”!

    5 E’ da respingere infine, dal nostro ( e non solo !…) punto di vista, il pur fuggevole riferimento, fatto dal Valentini alla spiritualità rituale romana con annesso “giudizio” sulla stessa, “giudizio” che è in palese contraddizione con la notissima natura magico-attiva ed intensiva (vedi J. Evola…) della stessa e con ciò che, esotericamente, essa significa (come abbiamo abbondantemente esplicitato nel nostro libro: Il nome segreto di Roma..).

    6 Detto ciò, senza ombra alcuna di vis polemica, ma solo al fine di difendere, secondo il nostro punto di vista (che “nostro” non è!….) la spiritualità indoeuropea pura ed originaria perchè sia oggi e sempre sistema immunitario tanto dell’animico come dello Spirito, affinché, attraversate tutte le ineludibili “stazioni” spirituali intermedie necessarie nel presente Ciclo (di cui in Rivolta come nel Fedone e nel Menone ampiamente e consapevolmente si tratta…) giungere, come insegnano Aristotele, Plotino, Proclo, nonché la Tradizione Ermetica, non a “subire la folgorazione” ma ad Essere Fuoco che si accende e via via si espande (Platone, Lettera VII)

    Giandomenico Casalino

  • Giandomenico Casalino 15 Giugno 2015

    Precisazioni necessarie,attesa la chiamata in causa diretta da parte dell’amico Luca Valentini.

    1 La Tradizione platonico-neoplatonica non è erudizione e sapere intellettualistico astratto, nel senso cristiano-moderno, ma percorso sapienziale-iniziatico di autentica e reale divinificazione come anamnesi di ciò che si è da sempre: tale Via è quella della fine del Ciclo e quindi del Meghiston Mathema, che è la Conoscenza Suprema in quanto è Essere il Dìo cioè l’Uno, come insegnano sia Platone che Plotino quanto Proclo.

    2 In tutti i miei libri e scritti vari,se si leggono attentamente,per la ragione della attuale presenza della maturità avanzata del Ciclo,ed in ossequio proprio alla Tradizione Classica che è di natura eroico-guerriera (e questa è la Via ultrasecca…) con fini regali (come insegna Evola in Tradizione ermetica…) non è dato riscontrare “alcun salto” o omissione altera e stupidamente arrogante dei necessari passaggi,attese le già richiamate e credo note condizioni del Ciclo e dell’uomo della presente Età,ma anzi (nei miei lavori…) vi è il riconoscimento palese della inevitabile presenza della fase orfico-dionisiaco-misterica (Fedone) per poi giungere non al pàthema ma al Mèghiston Màthema che è,come si è già detto,Conoscenza Suprema,e ribadiamo per chi non vuol comprendere,non nel senso erudito e libresco cioè cristiano-moderno,da contrapporre alla fede-credulonerìa sempre cristiano-moderna,ma in altro senso che è esplicito sempre in tutti i miei scritti a cui mi permetto di rimandare. Ragion per cui il buon Valentini non può attribuirmi concetti o pensieri che non ho mai espresso verbalmente o per iscritto.

    3 Il frammento di Aristotele sui Misteri, da me tematizzato e fatto conoscere al nostro mondo culturale, dice quello che si legge in esso e tutte le “interpretazioni” pro domo mea, che vogliamo spalmargli addosso, non cambiano il significato semantico delle parole e dei verbi oltre che il significato epocale di ciò che dice Aristotele, spirito squisitamente ellenico-indoeuropeo! Né a fortiori, le ulteriori citazioni aristoteliche o evoliane riferite contraddicono ma anzi confermano il significato della differenza spirituale tra la Sapienza (conosci te stesso!) e l’esperienza misterica animico- emotiva. Così dicasi per la imprudente citazione del libro del Napoli sul Principio Ineffabile (edizione CUECM), testo da me ben conosciuto e che conferma, invece che smentire, quanto la tradizione platonica stessa insegna, avendo il passo citato dal buon Valentini per oggetto proprio l’ipotesi del silenzio iniziatico sull’Uno che Damascio argomenta intorno al Parmenide di Platone.

    4 A nostro avviso, per il rispetto dovuto ai Maestri della Tradizione, di cui ci limitiamo a parlare soltanto, sarebbe proficuo e igienico evitare di confondere il significato e l’essenza classica greco-romana di Filosofia (che è quello di rendersi simile al Divino) con quella cristiano-moderna; se poi lo si fa per massimizzare, se pur legittimamente, la propria equazione personale, non è comunque lecito, per raggiungere ad ogni costo tale finalità, creare confusione tra realtà storiche e spirituali alquanto differenti (quali la Teurgia e la Tradizione Ermetica….) o travisare e stravolgere altre Realtà dello Spirito (quali la Tradizione Platonica o quella Romana..) per renderle comunque adattabili o confacenti sempre al proprio punto di vista o tentare, comunque vanamente, di “dimostrarne” la insufficienza realizzativa, sotto il profilo spirituale, mettendole a “confronto” , una volta stravolte, ancora con il proprio punto di vista a quel punto facendolo uscire inevitabilmente “vittorioso”!

    5 E’ da respingere infine, dal nostro ( e non solo !…) punto di vista, il pur fuggevole riferimento, fatto dal Valentini alla spiritualità rituale romana con annesso “giudizio” sulla stessa, “giudizio” che è in palese contraddizione con la notissima natura magico-attiva ed intensiva (vedi J. Evola…) della stessa e con ciò che, esotericamente, essa significa (come abbiamo abbondantemente esplicitato nel nostro libro: Il nome segreto di Roma..).

    6 Detto ciò, senza ombra alcuna di vis polemica, ma solo al fine di difendere, secondo il nostro punto di vista (che “nostro” non è!….) la spiritualità indoeuropea pura ed originaria perchè sia oggi e sempre sistema immunitario tanto dell’animico come dello Spirito, affinché, attraversate tutte le ineludibili “stazioni” spirituali intermedie necessarie nel presente Ciclo (di cui in Rivolta come nel Fedone e nel Menone ampiamente e consapevolmente si tratta…) giungere, come insegnano Aristotele, Plotino, Proclo, nonché la Tradizione Ermetica, non a “subire la folgorazione” ma ad Essere Fuoco che si accende e via via si espande (Platone, Lettera VII)

    Giandomenico Casalino

  • Luca Valentini 15 Giugno 2015

    Rispondo con vero piacere al caro amico Casalino a seguito degli interessanti spunti di riflessionie che gentilmente ha voluto trascriverci a seguito del mio scritto sulla Sapienza e sui Misteri.
    Il Platonismo (primordiale del Maestro, medio con Plutarco e Apuleio, neoplatonico da Plotino a Damascio e Prisciano) è assolutamente un percorso sapienziale di reale ascenso di anamnesi, quando, come accaduto storicamente, esso accompagna la propria componente di Theoria intellettuale con una Praxis esperenziale di natura magico – trasmutativa, indi, per usare un gergco arcaico e più confacente, di natura misterico – teurgica, per la riconquista de “la Conoscenza Suprema in quanto è Essere il Dìo cioè l’Uno, come insegnano sia Platone che Plotino quanto Proclo” (riprendo il dettato di Casalino con cui mi ritrovo perfettamente) Questo il dato storico. Oggi, dalla mia visuale, parimenti, il riferimento ideale, quindi eternamente vigente, al Platonismo può continuare a determinare un percorso sapienziale, quando, come nell’antichità, esso si sappia ricollegare ad una pratica operativa interna, secondo i canoni dell’ermetismo magico, così come inteso dal Gruppo di Ur. Riferirsi ad Esso, senza tale dimensione interiore ed esperienziale, non riduce il Platonismo nell’ambito dell’astrattismo, ma coloro che si ricollegano. Ancor peggiore il ricollegamento di chi, il dato introspettivo lo banalizza con forme cerimonialistiche e formalistiche di spuria rievocazione storica, che, come evidente, non colgono il dato di eternità che il Platonismo ha insito in se stesso.
    In tale ottica, accolgo con vero piacere la precisazione del Casalino della “inevitabile presenza della fase orfico-dionisiaco-misterica (Fedone) per poi giungere non al pàthema ma al Mèghiston Màthema che è,come si è già detto,Conoscenza Suprema,e ribadiamo per chi non vuol comprendere,non nel senso erudito e libresco cioè cristiano-moderno,da contrapporre alla fede-credulonerìa sempre cristiano-moderna”, che testimoniano l’esigenza di una rinnovata attenzione sul percorso personale ed ascetico, una parte che andrebbe ancor più ad arricchire le ricerche preziose del Casalino, come gli “rimprovero” bonariamente da anni.
    Un inciso sulla Via Ultrasecca: essa è l’attivazione di uno speciale potere igneo, risvegliato nell’ambito della fisiologia occulta, tramite la cottura di specifici elemento erotico-eroici, connessi ad un’operatività alchimica di cui Evola, che ne scrive, possedeva, per sua stessa ammissione solo i rudimenti di base. Il riferirsi a ciò che Evola solamente accenna, e trattandosi di operatività di alta magia, per indicare un legittimo indirizzo eroico, ci appare una leggerezza.
    Sui Misteri, le parole di Aristotele parlano da sole in una medesima direzione rispetto alle indicazioni di Ur. Il conosci te stesso è l’esperienza misterica animico- emotiva, perché senza l’introspezione orfica non si macera la dimensione sottile, non si separa il corpo di Dioniso, indi non si procede con la dovuta gradualità dell’Opera, come il viaggio di Lucio nelle Metamorfosi di Apuleio, in cui non si subisce l’esperienza, come crede erroneamente Casalino, ma la si vive attivamente, secondo l’adagio ermetico del Lume, del “farsi Sole”, comune alla mistagogia pitagorica, eleusina, egizia ed ermetica: rammentiamo Mithra con la torcia accesa sin dall’inizio dell’Opera. In ciò si inquadra il riferimento a Damascio, che, come le ricerche di Giovanni Reale sulle dottrine non scritte di Platone dimostrano, testimonia l’esistenza di una dimensione altra rispetto alla filosofia, una dimensione non parlata, non scritta, non un discorso sul Divino (Teologia), ma una conoscenza del Divino (Teosofia), che trova in Giamblico e Giuliano i suoi massimi rappresentanti e che coniuga ermetismo e sfera teurgica, come in Zosimo, come è indicato dal testo magistrale di J. Lindsay sull’Alchimia nell’Egitto greco-romano e come è testimoniato dal filone ermetico-alessandrino che da Capua, passando per Bruno e Campanella, giunge fino a Kremmerz.
    Sulla religiosità romana, inoltre, non ho espresso alcun giudizio se non un breve riferimento alla differenza tra Fides e Credulitas, tra libera e volitiva adesione al Sacro e pietismo cristiano / neopagano. Non sono entrato nel merito, perché non era l’argomento in discussione, ho solo fatto notare che la filosofia e la Pistis, rettamente intesi, erano un preliminare atto di adesione alla dimensione religiosa romana (come riporta Cicerone, non Valentini). La natura magica ed esoterica, che è altro rispetto alla natura religiosa, non è stata da me volontariamente trattata.
    Concludo, riferendomi al decennale amico Casalino, ripetendogli ciò che ci siam detti tante volte e che rimane un mio convincimento: a prescindere da una visione del mondo a cui entrambi aderiamo liberamente e fraternamente, ogni riferimento alla realizzazione sapienziale rimane vacuo, se ad una Theoria non si accompagna una precisa pratica esperenziale. Le stazioni spirituali intermedie, quali sono, come si affrontano, come si superano? Esistono solo gli Dei che si sperimentano in sé: espressione magistrale tratta a memoria dal Nome Segreto di Roma e che fa inorridire i neospiritualisti che hanno scambiato Marte con S. Antonio, ma ciò come si realizza? In Ur, tramite Parise, Quadrelli, Colazza, in Evola nella Dottrina del Risveglio o nell’Uomo come Potenza, vi è, a mio modesto, parere una prima risposta, il resto sono favolette che ci raccontiamo tra noi cari amici!

  • Luca Valentini 15 Giugno 2015

    Rispondo con vero piacere al caro amico Casalino a seguito degli interessanti spunti di riflessionie che gentilmente ha voluto trascriverci a seguito del mio scritto sulla Sapienza e sui Misteri.
    Il Platonismo (primordiale del Maestro, medio con Plutarco e Apuleio, neoplatonico da Plotino a Damascio e Prisciano) è assolutamente un percorso sapienziale di reale ascenso di anamnesi, quando, come accaduto storicamente, esso accompagna la propria componente di Theoria intellettuale con una Praxis esperenziale di natura magico – trasmutativa, indi, per usare un gergco arcaico e più confacente, di natura misterico – teurgica, per la riconquista de “la Conoscenza Suprema in quanto è Essere il Dìo cioè l’Uno, come insegnano sia Platone che Plotino quanto Proclo” (riprendo il dettato di Casalino con cui mi ritrovo perfettamente) Questo il dato storico. Oggi, dalla mia visuale, parimenti, il riferimento ideale, quindi eternamente vigente, al Platonismo può continuare a determinare un percorso sapienziale, quando, come nell’antichità, esso si sappia ricollegare ad una pratica operativa interna, secondo i canoni dell’ermetismo magico, così come inteso dal Gruppo di Ur. Riferirsi ad Esso, senza tale dimensione interiore ed esperienziale, non riduce il Platonismo nell’ambito dell’astrattismo, ma coloro che si ricollegano. Ancor peggiore il ricollegamento di chi, il dato introspettivo lo banalizza con forme cerimonialistiche e formalistiche di spuria rievocazione storica, che, come evidente, non colgono il dato di eternità che il Platonismo ha insito in se stesso.
    In tale ottica, accolgo con vero piacere la precisazione del Casalino della “inevitabile presenza della fase orfico-dionisiaco-misterica (Fedone) per poi giungere non al pàthema ma al Mèghiston Màthema che è,come si è già detto,Conoscenza Suprema,e ribadiamo per chi non vuol comprendere,non nel senso erudito e libresco cioè cristiano-moderno,da contrapporre alla fede-credulonerìa sempre cristiano-moderna”, che testimoniano l’esigenza di una rinnovata attenzione sul percorso personale ed ascetico, una parte che andrebbe ancor più ad arricchire le ricerche preziose del Casalino, come gli “rimprovero” bonariamente da anni.
    Un inciso sulla Via Ultrasecca: essa è l’attivazione di uno speciale potere igneo, risvegliato nell’ambito della fisiologia occulta, tramite la cottura di specifici elemento erotico-eroici, connessi ad un’operatività alchimica di cui Evola, che ne scrive, possedeva, per sua stessa ammissione solo i rudimenti di base. Il riferirsi a ciò che Evola solamente accenna, e trattandosi di operatività di alta magia, per indicare un legittimo indirizzo eroico, ci appare una leggerezza.
    Sui Misteri, le parole di Aristotele parlano da sole in una medesima direzione rispetto alle indicazioni di Ur. Il conosci te stesso è l’esperienza misterica animico- emotiva, perché senza l’introspezione orfica non si macera la dimensione sottile, non si separa il corpo di Dioniso, indi non si procede con la dovuta gradualità dell’Opera, come il viaggio di Lucio nelle Metamorfosi di Apuleio, in cui non si subisce l’esperienza, come crede erroneamente Casalino, ma la si vive attivamente, secondo l’adagio ermetico del Lume, del “farsi Sole”, comune alla mistagogia pitagorica, eleusina, egizia ed ermetica: rammentiamo Mithra con la torcia accesa sin dall’inizio dell’Opera. In ciò si inquadra il riferimento a Damascio, che, come le ricerche di Giovanni Reale sulle dottrine non scritte di Platone dimostrano, testimonia l’esistenza di una dimensione altra rispetto alla filosofia, una dimensione non parlata, non scritta, non un discorso sul Divino (Teologia), ma una conoscenza del Divino (Teosofia), che trova in Giamblico e Giuliano i suoi massimi rappresentanti e che coniuga ermetismo e sfera teurgica, come in Zosimo, come è indicato dal testo magistrale di J. Lindsay sull’Alchimia nell’Egitto greco-romano e come è testimoniato dal filone ermetico-alessandrino che da Capua, passando per Bruno e Campanella, giunge fino a Kremmerz.
    Sulla religiosità romana, inoltre, non ho espresso alcun giudizio se non un breve riferimento alla differenza tra Fides e Credulitas, tra libera e volitiva adesione al Sacro e pietismo cristiano / neopagano. Non sono entrato nel merito, perché non era l’argomento in discussione, ho solo fatto notare che la filosofia e la Pistis, rettamente intesi, erano un preliminare atto di adesione alla dimensione religiosa romana (come riporta Cicerone, non Valentini). La natura magica ed esoterica, che è altro rispetto alla natura religiosa, non è stata da me volontariamente trattata.
    Concludo, riferendomi al decennale amico Casalino, ripetendogli ciò che ci siam detti tante volte e che rimane un mio convincimento: a prescindere da una visione del mondo a cui entrambi aderiamo liberamente e fraternamente, ogni riferimento alla realizzazione sapienziale rimane vacuo, se ad una Theoria non si accompagna una precisa pratica esperenziale. Le stazioni spirituali intermedie, quali sono, come si affrontano, come si superano? Esistono solo gli Dei che si sperimentano in sé: espressione magistrale tratta a memoria dal Nome Segreto di Roma e che fa inorridire i neospiritualisti che hanno scambiato Marte con S. Antonio, ma ciò come si realizza? In Ur, tramite Parise, Quadrelli, Colazza, in Evola nella Dottrina del Risveglio o nell’Uomo come Potenza, vi è, a mio modesto, parere una prima risposta, il resto sono favolette che ci raccontiamo tra noi cari amici!

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