7 Ottobre 2024
Fantascienza

Narrativa fantastica, una rilettura politica, dodicesima parte – Fabio Calabrese

Vi premetto subito che questa volta il discorso non riguarderà propriamente la narrativa, ma piuttosto il modo in cui l’immaginario fantastico-fantascientifico è manipolato dai media, cioè le serie cinematografiche e televisive.

Va da sé che in questo caso non possiamo aspettarci di trovare tracce di una Weltanschauung in qualche modo “nostra”, ma soltanto i segni del modo in cui il potere mondialista opera attraverso il sistema mediatico – non soltanto quello fantastico-fantascientifico, per influenzare e plagiare la mentalità del grosso pubblico, e il motivo di ciò è francamente ovvio: è possibile scrivere un libro in povertà e solitudine, anche se poi è tutto da vedere se e come, con che diffusione, il sistema dell’editoria gli permetterà di arrivare a un pubblico, ma la produzione mediatica richiede forti investimenti, e tutti noi sappiamo che grandi quantità di denaro si accompagnano inevitabilmente al potere.

Forse una parziale eccezione può essere presentata da Guerre stellari di George Lucas, dovuta probabilmente al fatto che la produzione, che non credeva in quella pellicola, lo lasciò agire come credeva dopo avergli tagliato i fondi, e il regista dovette finire il film a sue spese, comprando una parte dei diritti di produzione e impegnandosi la casa. In seguito, l’inaspettato successo della pellicola l’ha reso uno degli uomini più ricchi di Hollywood, dove non è che siano proprio dei poveracci.

E’ forse per questo motivo che noi possiamo riconoscere in Star Wars alcune idee che hanno fatto infuriare l’establishment intellettuale liberal e che possiamo in qualche modo sentire vicine a posizioni nostre: il potere mistico della Forza e i Cavalieri Giedi, un po’ cavalieri e un po’ monaci in modo non molto differente da un ordine cavalleresco medioevale.

Non occorrerebbe nemmeno dire che questi elementi sono controbilanciati da altri di segno opposto, come “il cattivo” Darth Vader la cui maschera di plastica è completata da un elmo che ricorda quelli tedeschi della seconda guerra mondiale, per non dire dell’Imperatore (il capo supremo delle “forze del male” che sembra un Sauron malriuscito); laddove i “cattivi” imperiali sono marcatamente umani e bianchi, i “buoni” dell’Alleanza sono multietnici di una multietnicità allargata a elementi alieni (ma ad esempio “Star Trek” va ben oltre da questo punto di vista), e non parliamo dell’amore che si vorrebbe trasgressivamente interclassista tra “la principessa” Leila e il “plebeo” Han Solo. Come se ciò non bastasse, scopriamo anche che Luke Skywalker e Leila sono figli di Darth Vader, il che è come dire che il bene e il male sono inestricabilmente fusi, e distinguere fra l’uno e l’altro è una questione di sfumature; l’esatto contrario del messaggio rappresentato ad esempio da Tolkien.

A differenza di Guerre stellari dove una certa autonomia rispetto al sistema mediatico ha consentito a George Lucas di far filtrare qualche elemento “diverso”, Star Trek rappresenta in pieno l’ideologia mondialista e cosmopolita cara al sistema, e non è certamente un caso che quest’ultima rappresenti l’insieme di serie (perché ne sono state sviluppate più di una) più longevo, diffuso e articolato di tutta la fantascienza mediatica, e nata come serie televisiva ha finito per generare anche molte pellicole per il grande schermo (a differenza, ad esempio, del Pianeta delle scimmie, dove si è passati dal cinema alle serie televisive).

Non sarebbe inesatto definire Star Trek un campionario di tutta la mitologia progressista da cui è affetta la fantascienza, la rappresentazione forse più vivida dell’idea di una civiltà intergalattica estesa fra innumerevoli mondi dove diverse specie aliena (tutte però stranamente umanoidi a parte qualche ruga sulla fronte) convivono più o meno pacificamente, dove non esistono problemi dovuti alla limitazione delle risorse, dove tutti quanti salvo alcune precise eccezioni, sembrano essere iscritti al Partito Democratico, eccetera, ma forse quel che colpisce di più, è l’insistenza sul tema della multietnicità.

L’equipaggio dell’astronave Enterprise non è soltanto multietnico, ma conta tra le sue file anche elementi extraterrestri, ma non è tutto, diversi personaggi sono presentati come ibridi umani-alieni, a cominciare dal dottor Spock interpretato da Leonard Nimoy, che sarebbe di padre vulcaniano e madre umana. Diversi critici hanno già fatto osservare in passato che la probabilità di un simile incrocio fecondo, fra esseri provenienti da storie biologiche del tutto separate, è inferiore a quella fra un uomo e una pianta di carciofo, che almeno appartengono alla stessa biosfera. Anni fa, presi la palla al balzo, e scrissi un racconto, Il connettore, pubblicato nella mia antologia personale Le vie delle stelle (Edizioni Scudo 2015), dove prendo ferocemente in giro la saga di Star Trek, e dove appunto il dottor Spock deve confrontarsi con un uomo-carciofo.

Gli sceneggiatori hollywoodiani, e quelli delle serie fantastiche-fantascientifiche in primis, hanno “il pallino” della multietnicità, al punto da far comparire attori di colore in pellicole ispirate al Ciclo Bretone, alla storia di Robin Hood, alle saghe vichinghe, in spregio totale della storicità, mettono il massimo impegno nel diffondere il concetto che la multietnicità sia qualcosa di normale, e sintomo e causa di progresso.

La verità, ovviamente, è esattamente opposta: le società multietniche sono delle eccezioni piuttosto rare nella storia, e quando se ne verifica la formazione, portano a un’inevitabile decadenza: ne sono esempi il tardo mondo ellenistico antico e la Roma del basso impero dove il ceppo romano-italico che aveva costruito il grande stato circum-mediterraneo era praticamente scomparso. Ma basta guardarsi attorno oggi: le grandi società multietniche come l’India e il Brasile sono caratterizzate da sacche enormi di miseria, pur essendo Paesi ricchi di risorse naturali. Solo l’imposizione del dollaro come moneta delle transazioni economiche internazionali impedisce per ora agli Stati Uniti di ritrovarsi nella stessa condizione, ma dategli tempo.

Gli strapagati scribacchini hollywoodiani non conoscono, fingono di non conoscere, guardano attraverso le lenti deformanti dell’ideologia progressista la stessa società cui appartengono, che invece è stata ben ritratta da Sergio Gozzoli nel suo stupendo saggio L’incolmabile fossato:

Le differenze di razza, di religione, di cultura creano sacche e compartimenti stagni. (…). I loro confini dividono non gli Stati, le contee o i distretti, ma le città e i quartieri, talvolta i marciapiedi opposti della stessa strada. Ed essi non convivono l’uno accanto all’altro, ma piuttosto si sovrappongono l’uno sull’altro, coincidendo in tutto o in parte con un diverso status culturale ed economico.

Dai banchi di scuola agli uffici di collocamento, dalle relazioni sessuali alle carriere pubbliche, dai contatti interpersonali alle stratificazioni sociali, tutto subisce la pesante influenza dell’appartenenza all’uno o all’altro gruppo; e i rapporti son difficili e tesi, carichi di una incontenibile potenzialità di ricorrente violenza”.

Naturalmente, Star Trek è ben lontana dall’essere il solo esempio di propaganda multietnica. Ricordiamo ad esempio Matrix: Nella città sotterranea dove vivono gli ultimi umani liberi, non prigionieri della matrice, non si vede nemmeno una faccia bianca (e neppure asiatica, del resto), o Indipendence Day: a salvare l’umanità sabotando l’astronave aliena sono un nero e un ebreo, impersonati da Will Smith e Jeff Goldblum.

In Star Trek c’è un elemento ebraico che perlopiù sfugge agli spettatori. Leonard Nimoy che ha impersonato il dottor Spock, era appunto ebreo, e ha lavorato alla serie non solo come attore ma anche come sceneggiatore, introducendovi diversi elementi ebraici fra cui il celebre saluto a mano aperta con lo spazio tra medio e anulare divaricato, che in realtà è un gesto di benedizione rabbinico.

Bisogna spendere qualche parola anche su Gene Roddenberry, il creatore della serie. Dalla sua biografia non si desume una scelta politica precisa, ma c’è una circostanza che merita riflessione: quest’uomo ha avuto uno dei funerali più costosi della storia, perché le sue ceneri portate in orbita a bordo di uno shuttle, sono state disperse nello spazio.

Suo compagno di viaggio in quest’ultima avventura, era il cenere di un altro personaggio della “cultura” dell’epoca, il che farebbe supporre una certa affinità fra i due: Timothy Leary. Chi era costui? Approfittando della sua posizione di docente universitario, Leary è stato uno dei guru della contestazione e del movimento hippy degli anni  ’60, uno di coloro che hanno diffuso la convinzione che la marijuana sia un’erbetta innocua che aiuta a rilassarsi e apre la mente. Ricordo un’intervista a Leary risalente a parecchi anni fa, nella quale il professore hippy si faceva notare soprattutto per avere una coppia di ciliegie su ciascun orecchio. Il funerale nello spazio insieme lascia supporre una certa affinità tra i due personaggi, perlomeno la cosa non è stata sgradita alle rispettive famiglie, e questo la dice certamente lunga.

Il discorso non finisce qui, perché Star Trek è un canale che veicola certe concezioni ideologiche in maniera più o meno surrettizia. Fa proprie ad esempio le idee di derivazione freudiana e proprie dell’anti-scientismo di sinistra, secondo cui l’essere umano non è una creatura razionale, e ci presenta in ognuna delle diverse serie un modello di “razionalità pura” contrapposta all’irrazionalità umana, e la cosa interessante è che, man mano che procede l’avvicendamento delle serie, questo modello si allontana sempre più dall’umanità: nella serie classica è l’alieno (o umano-alieno) dottor Spock, in The next Generation l’androide Data, in Star Trek Voyager  “il dottore” che in realtà è un ologramma.

Mentre nella serie classica i nemici per eccellenza della Federazione sono i Klingon, raffigurazioni di un’umanità barbarica quasi selvaggia o ferina, in The next Generation questo ruolo è stato preso dai Borg (palese abbreviazione di Cyborg, uomo macchina), simbolo di una perversa razionalità, mentre i Klingon sono divenuti degli alleati. Anche qui, incarnata da questi nuovi nemici della pace galattica, emerge l’equazione razionalità uguale brutale potere meccanico.

(Vi devo confessare però che provo una certa simpatia per i Borg, soprattutto grazie al loro motto: “La resistenza è futile”, non pensando tanto ovviamente a quella opposta a loro stessi, quanto a un certo movimento che si è voluto chiamare così, del pianeta Terra del XX secolo).

Da questo punto di vista, neppure Guerre stellari è esente da colpe: si veda ad esempio il fatto che i “cattivi” imperiali indossano costantemente delle armature-esoscheletri muniti di maschere che li fanno somigliare a dei robot, simbolo ed esteriorizzazione di una brutale razionalità meccanica. E’ ovvio  che la cosa sia intrinsecamente assurda: se indossare un esoscheletro può essere utile a un fante sul campo di battaglia, possiamo facilmente immaginare quanto sia comodo negli spazi angusti di un’astronave: una mise evidentemente suggerita agli sceneggiatori da considerazioni non pratiche ma simboliche.

Ma torniamo a Star Trek. Alleati dei Klingon contro la Federazione sono i Romulani nella serie classica, e in The next Generation l’impero di Romulus (proprio così, il che mi pare abbastanza esplicito)  rimane il principale nemico della Federazione stessa dopo il cambiamento di fronte dei Klingon (che non è spiegato, un 8 settembre in salsa klingoniana?) fino all’entrata in scena dei Borg.

E’ una storia piuttosto interessante, che permette di esplicitare certi retroscena mentali che non sono dichiarati in modo troppo aperto, ma neppure presentati in forma eccessivamente velata: i Romulani sono parenti stretti e hanno fattezze molto simili a quelle dei Vulcaniani, il popolo altamente razionale a cui appartiene il dottor Spock, o almeno suo padre, uno stesso popolo all’origine, che poi ha preso due strade diverse. Se i Vulcaniani con la loro solare razionalità ricordano l’antica Grecia madre della filosofia, i Romulani rimandano in maniera evidente a Roma, trattata con scoperta avversione dagli autori della serie.

Non c’è motivo di stupirsene: Hollywood ha sempre trattato malissimo il mondo romano: si pensi a pellicole come Ben Hur e Quo Vadis, non gli ha mai perdonato le presunte persecuzioni contro i cristiani (sostanzialmente un falso storico gigantesco, e naturalmente di quelle molto più crudeli subite da coloro che non volevano abbandonare la fede degli avi da Costantino in poi, non si parla mai), ma soprattutto, considerata l’estrazione etnico-religiosa di chi tiene in mano le chiavi della baracca hollywoodiana, io ho l’impressione che questo risentimento affondi le sue radici nelle guerre giudaiche del 67-70 dopo Cristo.

Occorre essere molto chiari: esaminando la letteratura fantastica e fantascientifica nei suoi vari filoni e diramazioni, noi possiamo trovare a volte importanti consonanze con la nostra visione del mondo, a volte schegge di sapienza tradizionale, ma per quanto riguarda la produzione mediatica, che si tratti di pellicole o di serie televisive, tutto ciò che si può evidenziare sono proprio le stimmate della mentalità liberal mondialista, democratica, egualitaria, multietnica, anti-identitaria che gli Stati Uniti e soprattutto il potere dietro le quinte negli Stati Uniti vorrebbero imporre al mondo intero, evidenziarla soprattutto allo scopo di guardarsene, non farsene influenzare, considerando appunto la pervasività e persuasività degli strumenti mediatici.

NOTA: Nell’illustrazione, le locandine di Star Trek, di Guerre stellari e di Indipendence Day. In quest’ultima pellicola, guarda caso, coloro che salvano l’umanità distruggendo l’astronave aliena, sono un nero e un ebreo.

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