Alcuni anni fa avevo pubblicato su “Ereticamente” un articolo a quattro mani con Luca Valentini sull’esoterismo, era in sostanza un’intervista, perché su questa tematica il nostro Luca ha una competenza senz’altro superiore alla mia. Tuttavia da profano, da dilettante sull’argomento quale sono, una cosa mi era ben chiara, sulla quale Luca e io convenimmo senza difficoltà, e che anzi rappresentò l’attacco dell’articolo.
Basta andare in una qualsiasi libreria e si trovano scaffali interi di testi dedicati “all’esoterismo”, e questo è certamente strano, dato che esoterismo vorrebbe dire dottrina segreta, per iniziati. E’ chiaro che questo pseudo-esoterismo da supermercato non ha nulla a che fare con l’esoterismo autentico, ma rappresenta una delle tante bizzarrie della “cultura” contemporanea.
Il discorso potrebbe anche finire qua se non fosse per il fatto che questo pseudo-esoterismo ha generato anche una costola narrativa più o meno fantastica che negli ultimi anni si è espansa a macchia d’olio. Il fenomeno ha una data d’inizio precisa, si può far risalire al 2003, alla pubblicazione di un brutto romanzo che, “pompato” da un colossale battage mediatico, ha avuto un successo enorme e immeritato, e al film ancora più brutto che ne è stato tratto: Il codice Da Vinci di Dan Brown.
Premesso questo e tolta subito una ovvia curiosità a chi non ha letto questo libro, si può notare che questo romanzo, promosso a livello internazionale con una grancassa mediatica senza eguali, ha dato luogo a un vero e proprio filone, dapprima di una serie di saggi dedicati a spiegare, criticare o giustificare il testo di Dan Brown, collegati al fatto che in esso le gerarchie cattoliche sono presentate in maniera decisamente negativa (ma su ciò, in un romanzo successivo, Angeli e demoni, Brown ha fatto ampiamente macchina indietro), poi una serie di romanzi che ne ricalcano le tematiche, per sfruttare la tendenza, a volte in maniera piattamente imitativa, altre volte in maniera pretestuosa. Il limite di tale tendenza potrebbe essere rappresentata dal romanzo Il profanatore di biblioteche proibite di Davide Mosca, dove non compare nessuna biblioteca proibita, né ovviamente nessuno che la profani, un titolo evidentemente scelto (non sappiamo se dall’autore o dall’editore) per vendere surrettiziamente un romanzo di tutt’altra natura. Possiamo dire che abbiamo visto nascere un vero e proprio filone fanta-esoterico che è andato avanti per circa un decennio, e solo negli ultimi tempi ha cominciato a mostrare segni di stanchezza.
Forse non vi stupirà sapere che Dan Brown nella stesura del suo romanzo non è stato originalissimo, né deve aver fatto un lavoro enorme di ricerca delle fonti, e in effetti ha ricalcato esattamente le tesi esposte nel libro Il santo Graal di tre autori inglesi: Michael Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln, non davvero uno sforzo di documentazione enorme, visto che oggi esiste sul tema del santo Graal una documentazione praticamente sterminata.
La cosa è talmente evidente che i tre autori del Santo Graal dopo la pubblicazione del libro di Brown e mentre era in lavorazione la pellicola basata su di esso, hanno denunciato Dan Brown per plagio, una causa giudiziaria che per la verità ha avuto un iter molto breve, perché i tre inglesi sono subito stati tacitati con un consistente risarcimento in denaro dalla produzione cinematografica, che non voleva intralci all’uscita del film che ha avuto un cast di attori fra cui Tom Hanks (protagonista) e Jean Reno, e di cui si prevedeva uno straordinario successo che sostanzialmente non si è verificato, anche perché ne è uscita una pellicola piatta, noiosa, con una trama inconcludente e una recitazione di livello parrocchiale, con un Hanks più Forrest Gump che mai, e un Reno stranamente inespressivo che ha fatto davvero rimpiangere le sue performance precedenti, per esempio in Leon.
Una vicenda nella quale c’è qualcosa di strano, perché solitamente chi compie un lavoro di ricerca scientifica o storica, pone semmai il problema della priorità delle proprie scoperte rispetto ad altri ricercatori, non quello di impedire ad altri di citarle o utilizzarle, questo è il tipo di preoccupazione che caratterizza invece chi è titolare di un’opera letteraria, e dà l’impressione che i tre inglesi abbiano appunto concepito il loro lavoro in questo modo, piuttosto che come un’effettiva ricerca storica. Scopriamo poi un’altra cosa curiosa, che a differenza di quanto racconta la presentazione del libro, i tre non sono tre giornalisti della BBC, solo Lincoln lo è, gli altri sono due occultisti.
Prima di procedere oltre, sarà però opportuno fare un passo indietro. Tutte le volte che si affrontano queste tematiche, si è certi di catturare l’interesse della gente, ma ci si addentra su di un terreno scivoloso. In un articolo che ho pubblicato su “Ereticamente” alcuni anni fa, Etica, politica, religione, avevo cercato di dare una risposta a un quesito postomi da un amico che a proposito della Ahnenerbe nazionalsocialista e dell’interesse manifestato da Heinrich Himmler nella ricerca di cose come il Santo Graal, la Santa Vehme (la lancia che avrebbe trafitto il costato di Cristo), l’Arca dell’Alleanza, vi vedeva un’incapacità persino dei nazionalsocialisti a sganciarsi del tutto dalla mentalità cristiana-abramitica.
Una questione di questa portata, che non credo il mio amico sia il solo a essersi posto, ho pensato meritasse una risposta pubblica piuttosto che in una comunicazione privata.
La risposta che mi è sembrato di poter dare, è il fatto che il nazionalsocialismo ha ambito a essere una rivoluzione non solo politica ma anche spirituale. Una religione non si inventa mai ex nihilo ma nasce sempre come riforma di qualcosa di preesistente (il cristianesimo dell’ebraismo, il buddismo dell’induismo, eccetera). La base a partire dalla quale non poteva non operare il nazionalsocialismo, era un cristianesimo dalle radici semitiche, ma che a partire dal concilio di Nicea, nel corso dei secoli aveva subito una certa europeizzazione e assorbito e riciclato numerosi elementi europei “pagani”, la via era dunque quella di recuperare e valorizzare questi ultimi separandoli dalle radici mediorientali del cristianesimo, senza contare che ad esempio nel mito del Santo Graal si sono indubbiamente fuse una tradizione cristiana e una pagana, anche se sulla Vehme e l’Arca dell’Alleanza avevo maggiori perplessità. Sappiamo ad esempio che del Graal si è occupato anche Julius Evola in uno dei suoi libri più noti, appunto Il mito del Graal.
Sull’argomento, devo registrare in seguito al mio articolo, un lungo ed eccellente intervento di un lettore, Daniele Bettini che avrebbe meritato davvero una pubblicazione come articolo a sé stante. In sostanza anche la Vehme e persino l’Arca dell’Alleanza farebbero parte di un repertorio mitico-simbolico indoeuropeo da cui ebraismo e cristianesimo avrebbero, rubacchiato, in particolare il simbolismo della lancia che risale al culto germanico di Odino.
Tutto questo ci permette di capire che abbiamo a che fare con una tematica essenzialmente bifronte.
Dan Brown avrà copiato da Baigent, Leigh e Lincoln, ma anche i tre inglesi non è che abbiano brillato per originalità, infatti le loro tesi ricalcano quelle dell’occultista tedesco Otto Rahn, esposte in un libro che fu un best seller fra le due guerre mondiali: Crociata contro il Graal, un testo che fu un best seller all’epoca e che certamente se Rahn non fosse stato “compromesso con il nazismo”, di certo si leggerebbe ancora. Infatti, è noto che questo libro affascinò Heinrich Himmler che chiamò Rahn a fare parte della Ahnenerbe e lo nominò ufficiale delle SS.
Crociata contro il Graal, tale sarebbe stata appunto quella scatenata in Europa dalla Chiesa cattolica e dal re di Francia, la Crociata d’Occidente che avrebbe avuto come bersaglio apparente i Catari o Albigesi della Francia meridionale, ma in realtà lo scopo di impadronirsi del Sacro Calice.
La storia nella sostanza è questa: la Santa Reliquia che dovrebbe essere o il calice usato da Cristo dell’Ultima Cena, o la coppa dove sarebbe stato raccolto il sangue uscito dal suo petto dopo essere stato trafitto dalla lancia di Longino, o lo stesso recipiente usato in entrambe le occasioni (su questo punto peraltro fondamentale, la leggenda è oscura), sarebbe stata ritrovata dai cavalieri templari durante la loro permanenza in Terrasanta (ricordiamo che l’ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo ebbe questo nome proprio perché erano state assegnate loro come sede le rovine del Tempio di Gerusalemme).
Portato in Francia, il Graal, o meglio il desiderio di impadronirsene, sarebbe stato la causa della rovina dell’ordine, della scomunica da parte del pontefice e della distruzione manu militari dello stesso da parte del re di Francia, perché la Chiesa non poteva ammettere che qualcuno fosse in possesso di un carisma sacro indipendente da lei stessa.
Sfuggito agli inquisitori del re francese Filippo il Bello, il Graal sarebbe stato portato da alcuni templari superstiti nella Francia meridionale, presso le comunità di catari o albigesi allora diffuse. Contro questi eretici fino a quel momento relativamente tollerati, fu allora bandita una crociata destinata a essere di gran lunga più sanguinosa di quelle d’oriente, e ad annientare per sempre la cultura provenzale che fu una delle più elevate dell’Età di Mezzo, ma le tracce del Sacro Calice sarebbero scomparse.
Fin qui Rahn. Baigent, Leigh e Lincoln aggiungono una variante non secondaria: il Santo Graal non sarebbe stato in realtà un oggetto materiale ma una metafora per il ventre di Maria Maddalena che avrebbe generato un figlio a Gesù Cristo, e che dopo la crocifissione si sarebbe rifugiata incinta in Gallia. Gli autori identificano i supposti discendenti di Cristo con i Merovingi, i re sacrali lungochiomati che hanno retto i Franchi prima dei Carolingi e assicurato ai Franchi l’egemonia sugli altri popoli germanici permettendo loro di raccogliere l’eredità dell’impero romano, quello che poi sarebbe diventato il Sacro Romano Impero.
La Chiesa cattolica si sarebbe prima servita dei Merovingi per rimettere ordine nell’Europa sconvolta dalle invasioni barbariche, poi avrebbe promosso il colpo di stato carolingio di Pipino il Breve (figlio di Carlo Martello e padre di Carlo Magno) per eliminare un potere di chi, in quanto discendente di Cristo poteva rivendicare un diritto a governare sulla cristianità del tutto indipendente dalle gerarchie ecclesiastiche, ma un ramo dei Merovingi sarebbe sopravvissuto in segreto, e questi ultimi, i re segreti, protetti da una società segreta, il priorato di Sion, di cui i templari, gli Albigesi, i Rosacroce e altre società segrete, sarebbero stati tutti emanazioni, sarebbero il vero Graal. “Saint Graal” in realtà vorrebbe dire “Sang Real”, il sangue reale per eccellenza, quello dei discendenti di Cristo. Non a caso, il titolo originale del libro è The Holy Blood and the Holy Grail, (Il Santo Sangue e il Santo Graal, alla lettera).
Quale credibilità ha una simile ricostruzione?
Il bello è che se leggiamo questo libro con attenzione, scopriamo che gli autori si smentiscono da sé. A pagina 261 leggiamo la descrizione del battesimo di Clodoveo, il primo sovrano merovingio a farsi ufficialmente cattolico, considerato dagli autori un vero patto con la Chiesa, battesimo somministrato dal vescovo san Remigio:
“Al momento culminante della cerimonia [del battesimo], san Remigio pronunciò le famose parole:
“Mitis depone colla, Sicamber, adora quod incendisti, incendi quod adorasti”.
(“China umilmente la testa, o Sicambro [i Sicambri erano la tribù franca cui appartenevano i Merovingi], adora ciò che bruciavi, e brucia ciò che adoravi”)”.
“Adora ciò che bruciavi (i simboli e le chiese cristiane) e brucia ciò che adoravi (gli idoli e i luoghi di culto pagani)”.
In tutta franchezza, è alquanto grottesco immaginare un discendente di Cristo che, sia pure prima della conversione ufficiale al cattolicesimo, adora divinità pagane e dà chiese cristiane alle fiamme. Ma forse la punta maggiore del grottesco gli autori la raggiungono quando descrivono il loro incontro con l’ultimo discendente del ramo segreto dei Merovingi: il discendente di Cristo, il Graal incarnato risulta essere tale Pierre Plantard, che in seguito si è saputo essere un pregiudicato con numerose condanne per truffa e millantato credito, e a quanto pare, lo stesso Plantard sarebbe la fonte originale dei “Documenti del Priorato” ritrovati dagli autori nella Biblioteque Nationale, sulla base dei quali i tre inglesi avrebbero ricostruito la storia del Priorato di Sion.
La lettura del Codice Da Vinci, rispetto alla pubblicità mediatica che il libro ha avuto, risulta deludente, ma quella del Santo Graal di Baigent, Leigh e Lincoln è decisamente irritante. Come vi ho detto, il mito del Graal si situa alla confluenza di una tradizione cristiana e di una pagana-celtica, il contesto a partire dal quale questo mito si è diffuso nella cultura europea, è quello dei poemi e dei romanzi del Ciclo Bretone. Ora, i tre autori fanno uno sforzo per mettere la massima distanza fra la loro interpretazione del Graal e la tradizione celtica arturiana, che è veramente sopra le righe e che per chi è appassionato di cultura celtica non può riuscire altro che fastidioso in modo insopportabile. A pagina 304, ad esempio, leggiamo:
“Le fondamenta pagane dei romanzi del Graal sono state esplorate in modo esauriente da molti studiosi, da Sir James Frazer nel Ramo d’oro fino ai nostri giorni. Ma nella seconda metà del secolo XII la base originariamente pagana dei romanzi del Graal subì una trasformazione curiosa e di straordinaria importanza. In un modo oscuro che finora ha eluso le indagini dei ricercatori, il Graal fu associato esclusivamente e specificatamente al cristianesimo, anzi, a una forma di cristianesimo non molto ortodossa. Con un enigmatico processo di fusione, il Graal venne collegato inestricabilmente a Gesù. E sembra che non si trattasse soltanto di un facile e disinvolto innesto di tradizioni pagane e cristiane”.
In sostanza, il mito del Graal nasce dall’innesto di tradizioni pagane e cristiane, ma a partire dalla metà del XII secolo la tradizione pagana cessa di esistere come se non fosse mai esistita. Gli autori dell’epoca dovevano essere più magici e sovrannaturali delle vicende e dei personaggi di cui si occupavano, avendo il potere di cambiare il passato.
Non solo, ma il collegamento del Graal con il Ciclo Bretone sarebbe il frutto di una serie di errori, ad esempio Perceval le galois, Perceval il gallese, sarebbe un vero e proprio refuso, una deformazione di Perceval le valois, Perceval il vallese, come dire lo svizzero (forse perché in Svizzera si trova la località di Sion, omonima del colle di Gerusalemme).
Grottesco è il minimo che si possa dire, ma a parte la fragilità di un simile impianto “dottrinale”, Il codice Da Vinci si segnala per il fatto di rivelare un valore narrativo notevolmente inferiore a quel che lascerebbe intendere l’enorme battage mediatico con cui il libro è stato lanciato, e si capisce bene che si tratta di un testo scritto precisamente in vista della trasposizione cinematografica (riuscita peraltro pessima, come abbiamo visto).
Questo libro ha comunque generato un vero e proprio filone imitativo: libri che con poche varianti raccontano sempre la stessa storia: un segreto capace di sconvolgere il mondo nascosto in un luogo difficilmente accessibile, come un manoscritto in un’antica abazia, una società segreta che cerca di tenerlo occultato o al contrario di scoprirlo, qualcuno, di solito il protagonista della storia, che si imbatte nella vicenda per caso. Lo svolgimento segue perlopiù l’andamento del romanzo giallo, con una serie di colpi di scena, ma la rivelazione del segreto finale è continuamente rimandata, e alla fine o non viene svelato affatto, o si rivela incredibilmente banale.
Io vi ho più volte parlato della mia attività letteraria nel campo della narrativa fantastica. La volta scorsa vi ho parlato del mio racconto Il connettore nell’antologia Le vie delle stelle (Edizioni Scudo), in cui ho messo in caricatura la serie di Star Trek. Forse vi interesserà sapere che ho pubblicato, stavolta on line, sul sito di “Pegasus SF” (nuovanarrativa13.blogspot.com), un racconto, L’indicibile segreto, che mette in caricatura questa narrativa fanta-esoterica, dove alla fine si scopre che Dio parla con accento barese, e ai tempi dell’Eden aveva ordinato agli angeli di tenere Adamo ed Eva lontani dal méle, loro avevano capito “dalle mele”, con le conseguenze che tutti sappiamo.
Una setta segreta di custodi o ricercatori di segreti innominabili, un segreto sconvolgente celato in un antico manoscritto nella biblioteca di un monastero. Questa tematica alquanto ripetitiva sembra voler combinare imitandole, le trame di due romanzi di Umberto Eco, Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault. E’ difficile affermare, ma d’altro canto non si può nemmeno escludere data la statura internazionale che ha avuto quest’uomo, che lo stesso Dan Brown si sia ispirato e/o abbia rubacchiato idee allo scrittore italiano, anche se va detto che questi due romanzi di Eco sono di qualità nettamente superiore al Codice Da Vinci, sono delle reali opere letterarie in grado di stare a lato dei capolavori della letteratura “alta”.
Umberto Eco è approdato alla narrativa in età molto matura, dopo una vita passata a studiare e a insegnare semiotica e scienze della comunicazione, oltre che di elzevirista (le famose “bustine di Minerva”), non può dunque stupire che le sue opere “d’esordio” si siano rivelate straordinariamente mature, anche se le successive hanno dimostrato una progressiva caduta di livello.
Umberto Eco, collocato politicamente a sinistra, ci pone – e non è evidentemente il solo – il caso di un avversario politico di cui però non è possibile non stimare l’intelligenza, la lucidità intellettuale e anche la qualità come narratore, un avversario degno di rispetto, indubbiamente. E tuttavia…
E tuttavia la buona opinione che avevo di lui, mi è letteralmente crollata leggendo il suo ultimo romanzo pubblicato pochi mesi prima della sua morte, Il cimitero di Praga. Si tratta della biografia immaginaria dell’autore dei celebri Protocolli dei savi anziani di Sion, un personaggio che nel corso della narrazione scopriamo essere l’individuo più spregevole che possa esistere.
Ora, come ha spiegato tante volte la critica “nostra”, a cominciare dall’ottima introduzione di Franco Freda all’edizione italiana (Edizioni di Ar) di questo libro, il punto importante non è l’identità dell’autore, il copywright letterario potremmo dire, ma il fatto che si tratta di un testo veritiero nel contenuto le cui profezie si sono puntualmente realizzate o si stanno puntualmente realizzando, oggi anche con il corollario rappresentato dal piano Kalergi, e questo è un punto che difficilmente potrebbe essere sfuggito a un uomo dell’intelligenza di Eco.
Il cimitero di Praga rappresenta un atto di servilismo verso il potere cosiddetto democratico, forse comprensibile in chi deve procurarsi benemerenze presso il potere all’inizio di una carriera, ma che in un uomo nella posizione di Eco non trova giustificazioni di sorta.
Non c’è nulla da fare, l’antifascismo è un veleno capace di inquinare gli intelletti più brillanti.