Come sapete, in questa serie di articoli ho trattato l’argomento del fantastico e delle sue implicazioni politiche sotto due diverse prospettive, la prima, la più classica, quella della suddivisione per generi, l’altra, quella delle varie letterature fantastiche nazionali non di lingua inglese, volta a sottolineare il fatto che la schiacciante preponderanza che sembrano oggi aver raggiunto in questo campo gli autori anglofoni non è dovuta a una loro particolare propensione al fantastico, ma unicamente al fatto che una potenza di lingua inglese, gli Stati Uniti d’America, ha raggiunto una posizione di predominio a livello planetario, e che altri fantastici non anglofoni avrebbero avuto potenzialità non dissimili e forse anche superiori.
Bene, forse ingenuamente, mi sembrava di aver detto praticamente tutto quanto c’era da dire nell’uno e nell’altro dei due settori, e che di conseguenza, il discorso andava chiuso.
Ultimamente, un’attenta riflessione mi ha persuaso che forse le cose non stanno esattamente in questi termini. C’è almeno un aspetto della questione che merita un ulteriore approfondimento rispetto agli elementi che vi ho già dato. Mi riferisco a George Orwell e al suo romanzo capolavoro 1984.
Comincio in particolare da quella che è, penso. Una mia scoperta, sebbene si tratti di un fatto che chiunque con un minimo di buona volontà avrebbe potuto verificare. C’è una diffusa leggenda secondo la quale Orwell avrebbe scelto il 1984 per ambientarvi la sua fosca distopia semplicemente invertendo le due cifre finali dell’anno in cui il libro sarebbe stato scritto, il 1948. Leggermente impossibile, a meno che Orwell non si sia fatto prestare da H. G. Wells la macchina del tempo, infatti la prima edizione inglese del libro è del 1947, ed è difficile pensare che un testo sia pubblicato un anno prima di essere scritto.
Sembra un particolare di poco conto, e invece io penso che sia una chiave di lettura che ci apre delle prospettive molto interessanti.
Il libro è stato scritto con ogni probabilità nel 1944, e Orwell avrà semplicemente ambientato la sua distopia quarant’anni nel futuro.
Questo significa molte cose. Salta subito all’occhio che il bersaglio polemico di Orwell è il comunismo, e durante la guerra la censura non permetteva di parlar male di esso e di Stalin, “lo zio Joe” come lo chiamava la propaganda.
Solo a conflitto terminato, e con il calare sopra metà Europa della Cortina di Ferro, gli Inglesi cominciarono a rendersi conto del tremendo errore che avevano fatto, distruggendo con i fascismi un argine fondamentale alla diffusione planetaria della mostruosità del comunismo staliniano. “Abbiamo ucciso il porco sbagliato”, dovette ammettere a denti stretti Winston Churchill.
Per comprendere meglio tutta la faccenda, bisogna dire qualcosa della personalità e della vicenda umana di Orwell. George Orwell, il cui vero nome era Eric Arthur Blair era, si può dire, un anarchico libertario, uno spirito inquieto che forse si potrebbe definire un esponente ante litteram della beat generation. Trascorse parte della sua vita in vagabondaggi tra l’Inghilterra e la Francia, dei quali ci ha raccontato nel suo libro Senza un soldo a Parigi e a Londra.
Voi capite già da questo breve e incompleto ritratto che era l’ultimo uomo al mondo che potesse essere anticomunista per egoismo di classe o per uno dei soliti, scontati motivi invocati dall’armamentario ideologico della sinistra.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, Orwell si recò in Spagna, arruolandosi nelle file repubblicane, combattendo in particolare in Catalogna, ma qui la realtà dei fatti si dimostrò alquanto diversa da come verosimilmente se l’era immaginata e da come ancora adesso racconta la bugiarda propaganda antifascista che perlopiù passa ancora per narrazione storica.
Non tardò a rendersi conto che quella spagnola era una guerra civile doppia, che mentre combattevano i franchisti, le formazioni comuniste erano impegnate in una guerra civile parallela contro gli altri repubblicani e gli anarchici.
Al ritorno dall’esperienza spagnola, Orwell pubblicò quello che in effetti era il suo diario di guerra, Omaggio alla Catalogna, che venne subito interpretato come un feroce pamphlet anticomunista, ma aveva semplicemente il torto di raccontare i fatti così come li aveva vissuti invece di adeguarsi agli stereotipi della propaganda antifascista.
Io a questo punto non resisto alla tentazione di raccontarvi un episodio che mi riguarda personalmente. Anni fa fui incaricato di accompagnare una classe al cinema, alla visione di un film sulla guerra di Spagna, si trattava di Terra e libertà del 1995 di Ken Loach. Mi ero preparato un discorso da tenere ai ragazzi il giorno dopo la visione della pellicola, per scoprire gli altarini di questo conflitto e illuminarli sulla realtà della guerra civile doppia. Con mia sorpresa, mi resi conto che non era affatto necessario. Con inaspettata sincerità, la pellicola mostrava comunisti e anarchici intenti a risolvere le loro divergenze sparandosi addosso.
E’ quasi superfluo dire che durante il conflitto spagnolo, Francia e Inghilterra erano nettamente mobilitate dalla parte “repubblicana”, quelle stesse Francia e Inghilterra che di lì a qualche anno, aizzando i Polacchi a irrigidirsi sulla questione di Danzica – che, ricordiamo, era una città tedesca – furono causa diretta dello scoppio della seconda guerra mondiale, e quindi di un assetto postbellico che avrebbe regalato a Stalin il dominio su mezza Europa.
Tuttavia, poiché i comunisti, con il metodo brutale che si è detto, stavano prevalendo all’interno della fazione “repubblicana”, è quasi inammissibile che non si rendessero conto del pericolo insito nel trovarsi con due stalinismi convergenti, da est e dall’angolo sud-occidentale del nostro continente.
Bisogna dire poi che “il vizietto” di condurre una guerra civile parallela non solo contro il fascismo, ma contro le formazioni non comuniste, i comunisti non l’hanno affatto perso dopo le vicende spagnole. Ricordiamo, durante la guerra civile italiana 1943-45, l’episodio della brigata partigiana Osoppo che fu massacrata dai comunisti della brigata Garibaldi alle Malghe di Porzus, e il comandante partigiano comunista Salvatore Moranino che era uso segnalare alle SS i movimenti delle formazioni non comuniste.
La famosa unità antifascista non è mai esistita se non nelle menzogne della propaganda postbellica. La verità pura e semplice è l’incompatibilità. L’impossibilità a lungo temine della coesistenza di qualsiasi altro sistema politico con il comunismo che si è sempre mosso nella prospettiva della rivoluzione mondiale vaticinata da Marx.
Ma torniamo a Orwell. Dopo 1984, il suo libro più noto è probabilmente La fattoria degli animali, è un testo che ha l’apparenza di una favola per bambini i cui protagonisti sono animali parlanti, è invece una spietata caricatura non solo del comunismo, ma di tutte le rivoluzioni di stampo giacobino che hanno portato a sostituire un’élite con un’altra senza che la grande massa dei dominati ne ricevesse alcun reale beneficio. In una fattoria gli animali si ribellano ai loro padroni umani. Dopo un po’ i maiali prendono il controllo della situazione, imparano a camminare su due zampe e a portare vestiti, sono diventati in tutto uguali agli uomini.
Alcune battute di questo libro che sbugiardano senza appello le utopie della sinistra, sono diventate famose e passate in proverbio, ad esempio “Siamo tutti uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. Davvero, ce n’è di che attirare l’odio di chi si lascia incantare dall’utopia marxista anche senza 1984.
E tralasciamo pure il fatto che questa battuta davvero tranchant fu involontariamente citata dal gran capo dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, “il migliore” il giorno che affermò “Io sono uno di quei compagni a cui si da del lei”.
E veniamo finalmente a parlare del capolavoro di George Orwell. 1984 è un libro che ha avuto una sorte strana, si tratta infatti di un testo molto più citato da molti che non l’hanno mai preso in mano, che non effettivamente letto, eppure vi posso assicurare che non si tratta di un testo né molto lungo né di difficile lettura. E’ come un tunnel di cui molti sbirciano l’ingresso, ma pochi hanno il coraggio di entrare. Con tutto ciò, rimane però un long seller, uno di quei testi sempre presenti in libreria, continuamente ristampati, prova del fatto che almeno una frangia di lettori vi trova un insegnamento fondamentale.
Penso sia utile, riguardo a questo libro, cominciare a dare un’occhiata allo scenario geopolitico che disegna. Vi sono tre superpotenze che si contendono il dominio del pianeta attraverso una serie continua di guerre localizzate e continui rovesciamenti di alleanze, in base al principio che “la guerra è la pace”, cioè che uno stato più o meno permanente di guerra esterna assicura la stabilità dell’ordine sociale e politico, esse sono Eurasia, Estasia e Oceania.
Estasia è, come si desume dal nome, una potenza asiatica, probabilmente una Cina che ha esteso il suo dominio a tutta l’Asia non sovietica approfittando dello scompiglio creato dall’invasione giapponese nelle ex colonie europee in Oriente.
Eurasia è in sostanza l’Unione Sovietica che, dopo aver travolto la barriera rappresentata dal Terzo Reich e dai suoi alleati, non ha avuto problemi a estendere il proprio dominio fino a Gibilterra. E a questo riguardo, ci si rende conto che Orwell aveva intuito ben prima di Churchill che gli Occidentali stavano “uccidendo il porco sbagliato”.
Oceania non è il continente formato dall’Australia, Nuova Zelanda e isole del Pacifico, bensì una potenza attorno all’oceano Atlantico, cioè l’America con la Gran Bretagna diventata una sua propaggine affacciata davanti alle coste del continente europeo.
Si tratta in sostanza dello scenario del mondo postbellico quale era possibile immaginarlo prima del D-day del 6 giugno 1944, e questa a mio parere è un’ulteriore riprova del fatto che il libro non è stato scritto nel 1948 ma quattro anni prima, ed è stato bloccato dalla censura bellica.
La vicenda di Winston Smith, il protagonista di 1984 è ambientata in un’Inghilterra “oceanica”, ossia trasformata in una propaggine del dominio americano, e in questo la sua predizione non è andata certo lontana dalla realtà.
Orwell non nutriva alcun dubbio sul fatto che, confrontandosi coi due totalitarismi dell’Eurasia e dell’Estasia, la democrazia liberale sarebbe scomparsa, o meglio si sarebbe essa stessa trasformata in un totalitarismo, e in effetti il clima bellico, fatto di propaganda e censura, inclinava proprio in questa direzione, ma, se guardiamo bene, il Grande Fratello, il leader dell’Oceania è un tiranno molto americano, che affida il suo potere soprattutto alla invasiva potenza plagiaria dei media.
Quello che si respira in 1984 è un cupo clima di oppressione, dove solo la più ignobile delazione offre una via di salvezza.
“Sotto i rami del castagno
io ho tradito te,
tu hai tradito me”.
Si è spesso obiettato, non senza fondamento, che la distopia di Orwell avrebbe mancato la sua previsione, nel senso che i modi feroci del Grande Fratello appaiono tutto sommato anacronistici, e che un controllo più efficace della popolazione si può ottenere non con la repressione, ma con il soddisfacimento degli istinti, come avviene ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley. Ciò è, almeno in parte vero, tuttavia alcune ipotesi contenute in 1984 appaiono davvero profetiche, per esempio quella relativa alla neolingua, un linguaggio semplificato che viene introdotto per ridurre la capacità di pensare. Beh, questa è proprio una via sulla quale ci stiamo incamminando, si veda, non a caso, la sparizione del modo congiuntivo che pare la gente abbia sempre più difficoltà a usare. Non a caso, perché il congiuntivo è il modo dell’ipotesi, “se fosse, allora…”, quindi della possibilità di pensare alternative. Lentamente, il nostro linguaggio si può trasformare in neolingua.
Come vi dicevo, 1984 è un libro molto più citato che non effettivamente letto. Quando lo si cita a sproposito, generalmente ci si riferisce ai timori suscitati dallo sviluppo tecnologico, dimenticando spesso che la tecnologia in sé è uno strumento né buono né cattivo, dipende da come lo si usa, come un coltello può essere il bisturi di un chirurgo che salva una vita, o il pugnale di un assassino, ma a parte ciò, se lo si fosse davvero letto, ci si sarebbe accorti che in 1984 di tecnologia futuribile ce n’è davvero poca.
Forse l’unica eccezione è rappresentata dalla televisione che funziona nei due sensi. Mentre la gente la osserva, e c’è un televisore in ogni ambiente, il cui volume può essere abbassato, ma che non può essere spento, viene a sua volta osservata, e tramite essa la polizia controlla il comportamento di tutti.
Una curiosità che pochi sanno, è che, quando negli anni ’40 dello scorso secolo fu inventata la televisione, fu effettivamente sperimentato un televisore che funzionava nei due sensi, poi l’idea fu abbandonata perché poco pratica o costosa. Può darsi che Orwell ne abbia saputo qualcosa, anche se come metodo di sorveglianza non funzionerebbe, richiedendo un numero di sorveglianti pari a quello dei sorvegliati.
Questa idea di gente sorvegliata e spiata continuamente ha fatto sì che sia stato dato il nome di Grande fratello al capostipite dei reality show che da un quarto di secolo impestano le nostre televisioni e costituiscono l’equivalente della vecchia arte, resa oggi impraticabile dall’invenzione delle chiavi e serrature yale, di spiare attraverso il buco della serratura.
Penso che se la televisione fosse stata inventata nella preistoria, neanderthaliani e pitecantropi avrebbero verosimilmente schifato questo tipo di programmi, ma forse sarebbe stato apprezzato dagli australopitechi col cervello non più grande di una noce di cocco, e comunque, chiamare Il grande fratello il più longevo di essi, mi pare un’offesa permanente che continua da un quarto di secolo, alla memoria di Orwell.
Su una cosa si può comunque convenire, che se Orwell è un grande autore fantastico odiato dalla sinistra, non è certo il solo, accanto ai suo si possono allineare i nomi di Tolkien, di Lovecraft, di Borges, e questa è una ragione in più per tenerci caro tutto il genere fantastico.
NOTA: Nell’illustrazione, i tre romanzi di George Orwell menzionati nel testo, non sono peraltro i soli che ha scritto, Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984.
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