Questa volta il nostro discorso sarà un po’ particolare, partiremo da qualcosa che all’apparenza non ha molte attinenze con la letteratura fantastica, ne ha invece molte ed evidenti con la politica, anzi potremmo dire con la geopolitica a livello planetario, con la strada che la cultura europea e quella occidentale (in senso lato) hanno imboccato da un paio di secoli a questa parte.
Nel 1989 in occasione dei duecento anni dalla rivoluzione francese, la rivista “L’espresso” (che tutti sappiamo di quale parrocchia sia), dedicò due fascicoli che nel loro insieme costituiscono una sorta di monografia, a questo evento che, per comune consenso, è considerato l’inizio di ciò che conosciamo come “modernità”.
Al di là delle enunciazioni di principio e delle frasi retoriche tipo le promesse mai mantenute di “libertà, uguaglianza, fraternità”, noi sappiamo che questa rivoluzione rappresentò una delle più violente emersioni di quel movimento liberal-massonico che spostò il potere “dai castelli alle banche” e che si era già manifestato nella rivoluzione inglese del 1688 e in quella americana del 1776. I movimenti “rossi”, le rivoluzioni sedicenti proletarie, e infine l’emergere della tirannide sovietica e poi delle altre mostruosità con la falce e martello, poi sono riconducibili a una costola di quello stesso movimento.
Ora, noi sappiamo che ai profondi effetti disgregatori di questo movimento, il contraltare, il contravveleno è stato rappresentato per un secolo e mezzo dalla Germania, e non sulla base di un semplice ritorno al passato, ma contrapponendo allo spirito mercantile e contrattualistico nei rapporti sociali, la concezione del popolo come comunità stretta da legami di storia, cultura e sangue, il movimento culturale romantico con la sua critica all’illuminismo, il Reich bismarckiano che, giungendo all’unificazione tedesca per una strada molto diversa da quella delle rivoluzioni liberali, sconvolse i piani del movimento liberal-massonico europeo, e via dicendo.
Nella monografia di cui vi ho detto (pag. 37 del secondo fascicolo) lo storico Lucio Colletti ha scritto:
“Le piaghe dell’“arretratezza” tedesca, cioè la forte persistenza persino all’inizio dell’800 di elementi e tratti ancora medioevali, furono vissute in Germania non solo come requisiti dell’“originalità” nazionale rispetto agli altri Paesi; ma fornirono paradossalmente le armi per condurre una critica radicale della “modernità”: come se questa fosse null’altro che decadenza e proprio all’arcaica miscela tedesca spettasse, invece, l’avvenire”.
Veramente leggendo queste parole e sapendo che sono state scritte da uno storico, non si sa se ridere o piangere, come se non fosse evidente che proprio per impedire che “all’arcaica miscela tedesca” spettasse appunto l’avvenire, non fossero state scatenate due guerre mondiali, le più spaventose e distruttive in assoluto della storia umana.
Certamente avrete notato fra gli autori che ho nominato nelle parti precedenti, una netta preponderanza di nomi anglosassoni. Questo non si deve al fatto che questi autori siano particolarmente dotati, ma al fatto che a causa della diffusione mondiale della lingua inglese dopo il 1945, queste persone accedono facilmente a un mercato planetario che garantisce una diffusione appunto su scala planetaria delle loro opere, mentre gli autori di altra lingua restano confinati perlopiù nell’ambito nazionale.
Tuttavia, se andiamo a esaminare le cose nei dettagli, scopriamo una serie di sorprese, a prescindere dal fatto che molti dei migliori autori di fantascienza: Arthur C. Clarke, Fred Hoyle, Thomas M. Disch, John Wyndham, non sono americani ma inglesi, negli USA essa sembra essere sempre stata un appannaggio degli immigrati di prima o seconda generazione, a cominciare dal fondatore del genere, il lussemburghese Hugo Gernsback, passando per l’ebreo russo Isaac Asimov, Robert Heinlein di origine tedesca, il ceco Clifford Simak, il canadese di origine olandese Alfred E. Van Vogt, l’italiano Ben Bova, l’ispanico Lester Del Rey, e via dicendo, sono proprio gli yankee purosangue che scarseggiano. Gli afroamericani sono una componente numericamente importante degli USA, statistiche di anni addietro li davano al 15-20% della popolazione americana, ma data la maggiore prolificità rispetto ai bianchi, oggi sono una componente senz’altro maggiore. Bene, fra tutti costoro abbiamo un solo autore di fantascienza di un qualche rilievo: Samuel Delany. Su questo punto è meglio non correre rischi, le conclusioni le lascio a voi.
Gli autori del fantastico, da Mary Shelley a John R. R. Tolkien passando per Bram Stoker, C. S. Lewis, A. S. Eddington, sono in stragrande maggioranza britannici, ma anche qui abbiamo delle sorprese: una gran parte di questi autori britannici non sono inglesi ma celti: Robert Louis Stevenson, Bram Stoker, Arthur Conan Doyle scozzesi, Arthur Machen gallese. Come se non bastasse, i due maggiori autori del fantastico americani, H. P. Lovecraft e Robert E, Howard sono forse gli statunitensi meno yankee che possiamo immaginare: Il padre di Lovecraft era soprannominato “l’inglese” per il suo stile e i suoi modi, e il figlio poco ne doveva differire, attaccatissimo alla sua amata Nuova Inghilterra e appassionato del periodo coloniale. Robert Howard era legato al mondo celtico al punto da essere definito L’ultimo celta dal suo biografo ufficiale Glenn Lord, (e questo è anche il titolo della sua biografia), come celtico è il suo eroe Conan “il cimmero” (capiamo il significato di questo appellativo sapendo che “Kymru” è il nome gaelico del Galles, come dire Conan il gallese). Per trovare un americano meno yankee, dobbiamo forse scomodare Ezra Pound.
Questo ci riporta alla questione iniziale: la Germania, protagonista di uno sviluppo alternativo a quello anglo-franco-americano, brutalmente spezzato da due guerre mondiali, aveva le potenzialità per assumere una posizione preminente nel campo del fantastico?
A questa domanda, io penso, non si può dare altro che una risposta positiva, considerando che il movimento romantico che si origina appunto in Germania, è in ultima analisi la matrice da cui nasce il fantastico moderno.
Questa idea trova facilmente riscontro nell’idea della Germania che ci è dipinta nel fantastico straniero (Naturalmente, parliamo della nazione tedesca dei secoli dal tardo XVIII secolo alla metà del XX, non della squallida realtà postbellica costruita dai vincitori del secondo conflitto mondiale, quella che con amara ironia Gianantonio Valli chiamava “terra rieducata”, dalla quale non è stato estirpato soltanto il nazionalsocialismo, anche se, come vedremo più avanti, qualche sopravvivenza la troveremo anche qui).
Possiamo ad esempio prendere a modello Lo studente tedesco dell’omonimo racconto di Washington Irving, pallido e stravolto mistico e sognatore, immagine emblematica della realtà tedesca dell’epoca, e non si può scordare Edgar Allan Poe, dai mistici tedeschi che nella Caduta della casa Usher Roderick Usher legge e medita mentre si avvicina la catastrofe finale, al teutonico Angelo del bizzarro, senza scordare il placido paesino tedesco che fa da sfondo alla sconvolgente irruzione del Diavolo nel campanile. E qui diciamo pure che Poe ha avuto un’intuizione di grande valore: questo mondo rurale placido e leggermente arcaico, molto lontano dall’esasperato dinamismo yankee, è una sorta di pendant e uno sfondo necessario all’emergere di un fantastico romantico e mistico che non ha rotto ma valorizza il legame con la tradizione.
Riguardo al romanticismo, esiste una serie di grossi equivoci che in genere l’insegnamento scolastico non dissipa, ma semmai rafforza facendolo coincidere con un concetto di sentimentalismo esasperato. Non a caso, il termine viene da romantik, che significa romanzesco, fantastico; ma anche popolare, il romanzo in prosa era infatti per tradizione il tipo di letteratura rivolto ai ceti popolari e borghesi, in contrapposizione al poema, appannaggio delle aristocrazie.
Qui ci imbattiamo subito in un niente affatto secondario problema di metodo: la suddivisione del fantastico nei vari sottogeneri (fantascienza, fantasy, horror) e la sua separazione rispetto alla letteratura maggiore furono stabilite dalle riviste americane all’inizio del XX secolo. Ha senso riferirsi ad esse per escludere dalla nostra disamina un gigante della letteratura che si è cimentato anche con i temi fantastici? E d’altra parte, considerarlo come autore fantastico non è un po’ troppo riduttivo? Il dilemma ci si presenta subito con J. W. Goethe. La soluzione meno peggiore (che più avanti adotterò anche per Kafka e Wagner), sarà quella di accennarvi, sapendo bene che meriterebbero un discorso di ben altra ampiezza che però ci porterebbe lontano dai fini della nostra trattazione.
Johann Wolfgang Goethe nacque a Francoforte sul Meno nel 1749 e morì a Weimar nel 1832. La sua opera spazia dalla poesia al dramma, alla teologia alle scienze, la scrittrice George Eliot lo definì “L’ultimo uomo universale a camminare sulla faccia della terra”, tuttavia, sia pure con la sensazione di fargli un torto, qui ne parlerò come autore fantastico, in riferimento al dramma Faust.
L’idea di base, del sapiente che dopo una vita dedicata alla conoscenza e allo studio, arrivato a tarda età, si accorge questa vita di non essersela goduta ed è disposto a dannarsi l’anima per riavere indietro la giovinezza, non è sicuramente originale di Goethe, si può dire che si tratta di un archetipo. La storia di Faust era già stata narrata dal drammaturgo elisabettiano Christopher Marlowe, che però a sua volta si era ispirato a un testo del 1570 di Johann Spies che raccoglie l’antico racconto popolare tedesco.
Lo spirito del Faust di Goethe è però diverso: l’ovvia conseguenza del patto col diavolo, la prevedibile dannazione, viene da lui ribaltata nella sconfitta dell’entità diabolica e nella celebrazione dello spirito umano, capace sempre di superare i limiti che gli sono posti. Si può ricordare che proprio in quest’ottica, ispirandosi a Goethe, Osward Spengler ha definito faustiana la civiltà europea-occidentale.
Proprio nell’ambito di rivalutazione della cultura popolare tipico del romanticismo, nel mettere in forma scritta ciò che la vox populi ha trasmesso oralmente per secoli, si situa il lavoro dei fratelli Grimm. Certamente si farebbe torto a queste due importanti personalità della cultura tedesca considerandoli semplicemente dei favolisti.
Jakob Ludwig (1785-1863) e Wilhelm Karl (1786-1859) Grimm furono innanzi tutto due linguisti e filologi, considerati gli iniziatori della germanistica. Con un lavoro che oggi diremmo di antropologia ed etnografia, raccolsero dalla viva voce dei contadini le fiabe e le storie che si tramandavano oralmente la sera attorno al fuoco da tempo immemorabile, quindi potremmo dire la voce più autentica delle tradizioni popolari germaniche.
I fratelli Grimm – Nativi di Hanau in Assia – furono autori di due raccolte: Fiabe del focolare e Saghe germaniche. Le fiabe contenute nella prima sono notissime e sono diventate un patrimonio comune della cultura europea e “occidentale”; fra di esse troviamo: Hansel e Gretel, Cenerentola, Il principe ranocchio, Cappuccetto rosso, Biancaneve, Il pifferaio di Hamelin, I quattro musicanti di Brema.
La raccolta delle Saghe germaniche, di maggiore interesse dal nostro punto di vista, ha avuto una notorietà molto minore, e hanno avuto un’edizione italiana soltanto nel 2014. In queste ultime troviamo gnomi, giganti, draghi, ma anche figure che rimandano a una sapienza tradizionale più esoterica ricca di simbolismi e collegamenti con la memoria ancestrale germanica, come l’enigmatico e inquietante cacciatore eterno (forse Odino?).
La letteratura tedesca dell’età romantica è fortemente impregnata di fantastico, al punto che separare gli autori “fantastici” nel senso più tecnico dell’accezione da quelli “semplicemente” romantici risulta praticamente impossibile, si pensi per tutti a quella grande opera fantastica imbevuta di soprannaturale che mette in scena Dio e soprattutto il diavolo, che è il Faust di Goethe. Non approfondiremo ora il discorso, perché sarebbe qualcosa di non dissimile dal raccontare la storia della fantascienza italiana partendo dalla Divina Commedia di Dante.
Tuttavia, non è possibile non menzionare almeno uno dei “padri” insieme del romanticismo e, insieme, del fantastico moderno: Gottfied August Buerger (1747-1794), autore di due ballate, Il cacciatore selvaggio e soprattutto Lenore. Se la prima infatti riecheggia il mito di Odino e della caccia selvaggia, la seconda introduce il tema dello sposo demone che, con la sua commistione di erotismo e macabro, rappresenta un modello che sarà ripreso in molte forme e in tutte le varianti dai successivi autori del fantastico.
Per non rifare tutta la storia della letteratura tedesca del XIX secolo, perciò, esamineremo ora quello che è più vicino a essere un autore fantastico nel senso “tecnico” che gli hanno conferito gli anglosassoni, ETA Hoffmann.
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), nativo di Koenigsberg, è stato forse il primo scrittore fantastico in senso moderno di lingua tedesca e uno dei primissimi in Europa e nel mondo “occidentale”.
Hoffmann fu un artista poliedrico: quasi a dispetto di una formazione giuridica e all’attività di avvocato e magistrato che svolse per vivere, oltre che autore di narrativa fu pittore e musicista. Una curiosità, egli fu battezzato come Ernst Theodor Wilhelm, ma cambiò il suo terzo nome in Amadeus in omaggio a Mozart, e oggi è conosciuto anche con l’acronimo ETA Hoffmann.
Non è il tema del presente articolo, ma gli elementi fantastici ed esoterici non mancano davvero nell’opera del grande musicista salisburghese, basti pensare per tutti a Il flauto magico.
A sua volta, Hoffmann ebbe un’influenza importante su altri artisti, basti pensare, in campo musicale ai Racconti di Hoffmann di Offenbach e allo Schiaccianoci di Ciajkovskij ispirato alla novella di Hoffmann Schiaccianoci e il re dei topi.
Delle antologie di racconti di Hoffmann, bisogna ricordare almeno due, L’elisir del diavolo e I fedeli di san Serapione. È soprattutto a quest’ultima raccolta che appartengono i suoi racconti più noti, fra cui la celebre favola de Lo schiaccianoci e il re dei topi ricordata sopra, l’incubo torbido e allucinato de Le miniere di Falun e La signorina di Scudery, una storia gialla ambientata nella Parigi del Re Sole in cui non mancano venature di soprannaturale.
ETA Hoffman naturalmente non rappresenta un caso isolato, molti autori del romanticismo tedesco presentano una pronunciata vena fantastica, fra questi bisognerà ricordare quanto meno Friedrick De La Motte-Fouqué con la novella Undine, che ci racconta appunto di un’ondina, ninfa acquatica della mitologia germanica, che si innamora di un mortale, un giovane principe, e poi ne vendica terribilmente l’infedeltà.
Né si può passare sotto silenzio Wilhelm Meinhold con il romanzo La strega dell’ambra. Il libro (con un artificio che poi sarà usato anche da Manzoni) vuole passare per il manoscritto di un religioso del XVII secolo ritrovato in una vecchia chiesa: la figlia del narratore è sospettata di stregoneria per le mene di un nobile a cui ha rifiutato di concedersi, e per l’improvvisa ricchezza derivatale dal ritrovamento di un deposito di ambra che tiene, per varie ragioni, segreto. La vicenda si snoda tra un processo per stregoneria, scene di torture, l’accensione del rogo e il salvataggio in extremis della protagonista da parte del suo spasimante, nobile di una contrada vicina. Il libro è uno dei pochi testi non di lingua inglese menzionati da H. P. Lovecraft nel saggio L’orrore soprannaturale nella letteratura.
All’indomani della guerra franco-prussiana del 1870 che portò all’unificazione tedesca, Von Moltke, il brillante stratega che aveva guidato le armate prussiane a schiacciare la Francia di Napoleone III disse:
“Ciò che abbiamo conquistato in sette mesi lo dovremo difendere per settant’anni”. Era un’osservazione tragicamente profetica, se pensiamo che settant’anni dopo la Germania e l’Europa erano coinvolte nella seconda guerra mondiale (le vere responsabilità nello scatenamento del conflitto più spaventoso della storia umana non sono da addebitarsi alla Germania: furono determinanti le vessazioni subite dai tedeschi che abitavano i territori finiti sotto la Polonia in conseguenza degli innaturali confini tracciati nel 1919 a Versailles, e l’intransigenza polacca che rifiutò ogni possibile mediazione sulla questione di Danzica, intransigenza certamente aizzata da Francia e Inghilterra, ma Polonia, Francia e Inghilterra non erano altro che pedine di un gioco più vasto. Tanto meno si potrebbe asserire che i Tedeschi abbiano voluto la Grande Guerra 1914-18, ma è un discorso che ci porterebbe lontano ed esula dai fini della presente trattazione).
Sicuramente, Von Moltke intuiva con esattezza che la nuova Germania che si andava forgiando contrastava apertamente con il “nuovo ordine” che si andava costruendo da più di un secolo attraverso le cospirazioni liberal-massoniche, che forze enormi sarebbero state messe in campo appunto per impedire che all’ “arcaica miscela tedesca” spettasse l’avvenire.
Ciò ha senz’altro avuto importanti conseguenze anche nel campo della letteratura fantastica di cui ci stiamo occupando, è infatti perfettamente concepibile che se tanto non fosse avvenuto, noi oggi non avremmo in questo campo come altrove un predominio così preponderante degli autori anglosassoni di lingua inglese, e che un fantastico di lingua tedesca avrebbe avuto notevoli potenzialità.
Tuttavia, il fantastico di lingua tedesca del XX secolo, dove incontreremo autori non poco rilevanti come Gustav Meyrink e Hanns Heinz Ewers, meriterà senz’altro un esame più approfondito. Anche in questo caso, per non dover trattare tutta la storia della cultura tedesca, dovremo fare delle scelte, si pensi a tutta l’opera di Richard Wagner, largamente ispirata alle antiche saghe germaniche a cominciare dal ciclo dei Nibelunghi, ma rientrante nel campo della musica piuttosto che in quello della letteratura.
Ma tutto questo lo vedremo nella ventunesima parte e in quelle successive.
NOTA: Nell’illustrazione. A sinistra un babbo natale del folclore germanico, che conserva molti degli attributi di Odino, al centro, autoritratto di ETA Hoffmann, a destra Saghe germaniche dei fratelli Grimm.
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