Ricapitoliamo brevemente a che punto siamo arrivati del nostro discorso. Dopo un’analisi della letteratura fantastica attraverso i generi, sempre tenendo d’occhio le implicazioni politiche, mi sono dedicato a dimostrare che la preminenza che hanno attualmente gli autori anglosassoni in questo campo non è dovuta, come forse verrebbe ingenuamente da pensare, al fatto che costoro abbiano una particolare inclinazione per questo genere di narrativa, che siano al riguardo particolarmente dotati, ma al fatto che la letteratura di lingua inglese (di qualsiasi genere) domina oggi il mercato mondiale, della narrativa e dell’informazione, e questo dipende palesemente dal fatto che una potenza di lingua inglese, gli Stati Uniti, è la potenza egemone a livello planetario o perlomeno di quella parte del nostro pianeta che conosciamo più o meno impropriamente come modo occidentale.
Rendersi conto che altri avevano potenzialità analoghe o anche migliori (si pensi alla tradizione romantica tedesca), rimaste soffocate sotto l’egemonia americana, è chiaramente un fatto politico, che quanto meno ci allontana dalla divinizzazione e dalla dipendenza psicologica da tutto ciò che è yankee.
Per questo motivo, ho dedicato le parti di questa trattazione dalla ventesima alla ventiquattresima a un’analisi del fantastico tedesco o di lingua tedesca, ma anche il mondo latino ha o aveva analoghe possibilità. Nell’articolo precedente a questo, mi sono soffermato sul fantastico italiano, ma l’Italia non è che una parte di un mondo latino che comprende anche l’area francese o francofona, quella iberica e quella latino-americana.
Un testo che vi ho menzionato le volte scorse, che mi ha fornito spunti utili, ma del quale ho dovuto del pari rilevare numerose carenze, è Maestri della letteratura fantastica a cura di Edy Minguzzi (Edipem 1984).
Facciamo un po’ di conteggi: questo testo menziona 138 autori così ripartiti per nazionalità, gli anglosassoni sono 54, 7 sono di area germanica (compreso il danese H. C. Andersen, e per quanto riguarda gli autori tedeschi, trovo particolarmente grave la lacuna di Michael Ende. Non era meglio dare spazio a lui piuttosto che al capitano Danrit?), gli italiani 5, 6 gli iberici o latino-americani, 5 i russi, e tutti gli altri francesi o francofoni.
Se andiamo a esaminare nel dettaglio questo florilegio di autori, abbiamo una buona probabilità di rimanere delusi: cito a caso, per esempio Danrit. Chi era costui meno conosciuto di Carneade? Il capitano Danrit era un militare che all’indomani della prima guerra mondiale ha scritto un libro in cui prevedeva che i blindati si sarebbero sempre più sviluppati in gigantismo fino a trasformarsi in vere e proprie navi su ruote (lasciamo stare il fatto che questa idea è stata recentemente ripresa dal nostro Dario Tonani, ma sul Mondo, non sulla Terra). Previsione errata. Il secondo conflitto e le armi a carica cava che consentono a un fantaccino di aver ragione di un mezzo corazzato, hanno fatto svanire l’incubo di questi mostri di acciaio.
Oppure Prosper Merimée, quest’ultimo, noto soprattutto come autore del libretto della Carmen musicato da Bizet, è ricordato per il racconto La Venere d’Ille, che in Maestri della letteratura fantastica è addirittura maglificato come “il soprannaturale in stile Voltaire”. Si dà il caso che io La Venere d’Ille l’abbia letto. La storia è questa: un tale, promesso sposo, poco prima del matrimonio, viene invitato a dare una mano al disseppellimento di una statua di Venere casualmente ritrovata. Durante questo lavoro, l’uomo per non perdere la fede nuziale da dare alla sposa, l’infila al dito della statua, e la notte di nozze si ritrova la Venere nel letto. Ovviamente, non c’è nessuna spiegazione di come la statua possa essersi animata, una trama così brutta e banale che non credo avrei pubblicato questo racconto su una rivista amatoriale.
Ovviamente una spiegazione c’è, non della Venere d’Ille, ma del mistero di questo libro, che, apprendiamo dal risvolto di copertina, era già stato pubblicato a Parigi dalle edizioni Atlas nel 1981 con il titolo Les maitres de l’étrange. Un testo che con ogni probabilità Minguzzi e le sue collaboratrici Fernanda Tosco ed Orietta Canna, si sono limitati semplicemente a tradurre.
Si sarebbe tentati di accusare gli autori francesi (che nell’edizione italiana restano sconosciuti) di snobismo nazionalistico, ma la verità è un’altra: soltanto in Italia si considerano il nazionalismo e il patriottismo qualcosa di superato, in qualsiasi altra parte del mondo, il senso di appartenenza a una comunità nazionale è considerato qualcosa di legittimo e doveroso.
A conti fatti, non vorrei dire troppo male di questo testo: ad esempio, parlando fra i (pochi) autori fantastici italiani citati, di Dante Alighieri, ce lo presenta come “il grande iniziato”. Ora, noi sappiamo che quella dell’esoterismo di Dante è una questione complessa e delicata, di cui mi sono occupato io stesso sulle pagine di “Ereticamente” (Un druido di nome Dante Alighieri, prima e seconda parte), che tuttavia non trova spazio nelle storie della letteratura.
Tuttavia, è facile capire che è proprio la folla di minori citati a rendere difficile l’utilizzo di questo testo, e fra di essi andrà fatta un’attenta selezione.
Tuttavia, un altro merito che gli va riconosciuto, è quello di farci capire che in fondo non esiste una Francia, ne esistono almeno due: alcuni autori poco o nulla conosciuti da noi, ci fanno capire che al disotto della Francia ufficiale, latina, cartesiana, illuminista, ne esiste un’altra, rurale, contadina, collegata alle radici celtiche, impregnata di magia e mistero.
Citiamo Anatole Le Braz (1859-1926), un Grimm bretone con l’opera La legende des morts chez les Breton armoricains, Henry Pourrat (1887-1959), un analogo cultore di miti, leggende e tradizioni per quanto riguarda l’Alvernia, terra che non ha conservato come la Bretagna la parlata celtica, ma prende il nome dall’antica tribù degli Arverni, e soprattutto presenta un’impronta celtica ben riconoscibile nei costumi e nelle tradizioni, ma soprattutto Ropaz Hemon, scrittore fantastico in lingua bretone e attivista per l’autonomia della Bretagna, il cui romanzo più famoso Mari Vorgan ha come protagonista una donna affascinante e misteriosa che si rivela alla fine essere una sirena, o – per usare il termine celtico, una selkie – .
La distinzione fra autori “grandi” che si sono occasionalmente occupati di fantastico e autori fantastici veri e propri, non si pone nemmeno nel caso di quegli autori cinquecenteschi che a cavallo fra il disfacimento dell’immaginario medioevale e la nascita di quello moderno, hanno dato campo alla fantasia più sfrenata. In Italia abbiamo Ludovico Ariosto, e in Francia? François Rabelais.
Fantasia che si unisce a un altrettanto sfrenato spirito ironico e caricaturale, nel satireggiare i moralismi del suo tempo e nell’esaltare i piaceri della vita, il cibo e il sesso, attraverso le figure dei giganti Gargantua e Pantagruel (da cui è derivato pure l’aggettivo pantagruelico per indicare un’abbuffata spropositata).
Se il cinquecento è l’epoca di Rabelais, nel seicento francese abbiamo Cyrano de Bergerac (1619-1655), autore che ha avuto una sorte strana, infatti la persona reale sembra quasi inghiottita dal personaggio letterario creato da Edmond Rostand.
Cyrano, l’uomo reale, ebbe una vita avventurosa e breve, morendo a soli 36 anni, ma fece in tempo a scrivere alcuni romanzi fantastici, in cui immaginava che si potessero raggiungere la Luna o il Sole tramite un veicolo trainato da uccelli, o sfruttando il principio dell’aria riscaldata che tende a salire (lo stesso che un secolo dopo sarà usato per le mongolfiere). La cosa non deve stupire, allora non si aveva nessuna idea di come le cose cambiassero oltrepassato il limite dell’atmosfera terrestre, né delle effettive distanze del sistema solare. Ricordiamo che ancora nel XIX secolo Edgar Allan Poe fantasticava sulla possibilità di raggiungere la Luna con un pallone aerostatico.
I favolisti vanno inclusi fra gli autori fantastici? Su ciò, avrei delle riserve, il fantastico si rivolge a un pubblico adulto che ha già un’idea precisa di cosa sia reale e possibile, e cosa no, e ne viola sistematicamente le aspettative, mentre la fiaba e la favola si rivolgono a un pubblico infantile, nelle menti del quale tali limiti non sono ancora fissati. Maestri della letteratura fantastica comunque risolve la questione in modo salomonico, include fra gli autori fantastici Charles Perrault, ma non dedica nemmero un rigo a Jean de La Fontaine.
I fratelli Grimm di cui mi sono occupato nella sezione dedicata alla Germania sono un caso diverso, non erano dei favolisti, non hanno inventato, ma hanno raccolto le tradizioni, le narrazioni tramandate oralmente dai contadini tedeschi fornendoci un prezioso documento antropologico.
Il problema si fa più pressante con il XIX secolo: nella lista di autori presentata da Maestri della letteratura fantastica troviamo, da un lato autori “grandi” della letteratura maggiore che presentano occasionali “scivolamenti” nel fantastico (Honoré de Balzac, Alexander Dumas, Guy de Maupassant), dall’altro una folla di minori di cui non vale la pena di occuparsi. Strano che nel primo gruppo non sia citato Victor Hugo, Notre Dame de Paris con l’inquietante figura di Quasimodo, avrebbe pur meritato una menzione.
A mio parere, un autore della letteratura maggiore le cui puntate nel fantastico non sono state affatto occasionali, ma dimostrano una componente importante della sua vena narrativa, è Guy de Maupassant.
Nemmeno Maupassant, nato a Dieppe nel 1850 e morto nel 1893, ebbe una lunga vita. Tra i gioielli della sua produzione narrativa, va ricordato innanzi tutto Le Horla, un racconto capace davvero di mettere i brividi, col suo superuomo invisibile e malvagio. C’è poi un racconto, L’auberge, la cui trama è questa: uno scrittore che cerca un lavoro tranquillo per portare a termine la sua creazione, accetta il lavoro di custode di un albergo di montagna chiuso durante la stagione invernale, ma qui, prigioniero di fantasmi reali o immaginari, poco per volta impazzisce. Vi ricorda nulla, non vi si accende un piccolo Shining nella mente, assieme al sospetto che Stephen King l’abbia scopiazzato alla grande?
Naturalmente, non si può non nominare Jules Verne (1828-1905), precursore ottocentesco, e secondo molti il vero “padre” del genere fantascientifico. Alcuni dei romanzi della sua vasta produzione, in seguito inseriti nella collezione Viaggi straordinari, sono diventati dei classici, altrettante pietre miliari dell’immaginario fantastico e fantascientifico, basta citare: Dalla Terra alla Luna, Viaggio al centro della Terra, Ventimila leghe sotto i mari, Il giro del mondo in 80 giorni, L’isola misteriosa, Michele Strogoff, Robur il conquistatore, e non sono che i più noti.
Dalla Terra alla Luna, in particolare, che affronta la tematica del volo spaziale in maniera molto più “scientifica” di quanto avessero fatto fin allora Cyrano de Bergerac, Jonathan Swift o Edgar Allan Poe, è un testo che ha ispirato tutta la fantascienza successiva e creato molte vocazioni. Ricordo, se mi è consentito allegare una memoria personale, che tantissimi anni fa, quando portavo ancora i calzoni corti, questo libro, in un’edizione per ragazzi, costituì la mia prima iniziazione alla fantascienza, ma ricordo anche la sensazione di delusione che mi prese vedendo che il romanzo, dopo una serie estenuante di preparativi, si interrompe proprio al momento della partenza del razzo. Verne, appresi più tardi, ha scritto anche un seguito, variamente intitolato Intorno alla Luna o Il mondo lunare, ma, a differenza di Dalla Terra alla Luna, fu un insuccesso commerciale, e oggi viene raramente ristampato.
Profondamente impregnato di spirito positivistico, Verne è molto ottimista riguardo alla tecnica e alla scienza, ha scritto:
“Tutto ciò che un uomo è capace di immaginare, altri uomini saranno capaci di realizzarlo”.
Ma oggi noi possiamo vedere proprio in questo ottimismo positivistico il suo grande limite.
Nella fascia dei “minori” o vogliamo dire degli autori “di genere”, quelli che di solito non entrano nelle storie della letteratura, è difficile fare una selezione. Forse la cosa migliore è continuare a cercare di capire qualie autori sono rappresentativi di quali tendenze, come abbiamo visto all’inizio dell’articolo per quegli autori che possiamo considerare rappresentativi di una perlopiù sconosciuta Francia rurale e celtica.
Una tendenza che appare molto forte all’inizio del XX secolo è quella di una serie di autori inclinati verso l’occultismo e il misticismo. Qui si può fare il nome di Joris-Karl Huysmans (1848-1907), di origine fiamminga, autore dell’allucinante romanzo “satanico” La Bas (L’abisso), poi ancora, un autore dai contenuti fortemente misticheggianti è Joséphin Peladan, autore di una Queste du Graal. Lo stesso filone mistico-esoterico a cui appartiene, per un altro lato, René Guenon, e che ha un corrispondente nel mondo germanico in Gustav Meyrink, di cui vi ho abbondantemente parlato.
Altro filone importante, quello surrealista, che si è espresso sia in campo figurativo, sia letterario. Al riguardo, Maestri della letteratura fantastica cita due autori: Raymond Roussel e il belga Jean Ray.
Dei testi di Roussel (1877-1933), Impressions d’Afrique e Locus Solus, si può dire che spingono al massimo il gusto per il paradosso, per il jeu d’esprit, per la stramberia gratuita.
Jean Ray, (1887-1964) autore surrealista e “nero”, ha scritto un po’ di tutto, storie fantastiche e horror, comprese le vicende di Harry Dickson, uno Sherloch Holmes nelle intenzioni dell’autore, ma che visto il carattere soprannaturale degli avversari in cui perlopiù s’imbatte, è accostabile piuttosto al John Silence di Algernon Blackwood. Il suo romanzo più noto è Malpertuis.
Strano che Maestri della letteratura fantastica non faccia alcuna menzione all’Antologia dello humor nero, compilata da André Breton, e che è un po’ l’epitome della letteratura surrealista.
Resterebbe da considerare la fantascienza di lingua francese, che presenta una compagine di autori veramente folta, ma che perlopiù raramente hanno travalicato i confini nazionali (il che è sempre meglio della dimensione amatoriale e quasi catacombale in cui si trova perlopiù confinata la fantascienza di autore italiano), forse l’unica, o quanto meno la più notevole eccezione di un autore di fantascienza francese che ha travalicato alla grande i confini nazionali, è rappresentata da Pierre Boulle (1912-1994), il cui romanzo Il pianeta delle scimmie ha avuto una trasposizione cinematografica hollywoodiana ed è poi diventato una vera e propria saga con numerosi seguiti.
Io penso si possa per il momento concludere il discorso con un paio di considerazioni. Prima di tutto, abbiamo visto che i Francesi hanno, nel campo della letteratura fantastica e altrove, una considerazione degli autori nazionali molto superiore a quanto si riscontra in Italia. Ribadisco una volta di più un concetto fondamentale: soltanto in Italia si considerano il patriottismo, il senso di appartenenza nazionale, il nazionalismo, dite come volete, una cosa superata, del passato, tutti quelli che vogliono giocare a fare i cosmopoliti dovrebbero sapere che tutti gli altri non la pensano così.
L’altro concetto che è utile tornare a ribadire, è che questi excursus che non hanno la pretesa di costituire una storia della letteratura fantastica, dalla ventesima parte in avanti, costituiscono la prova provata che la preminenza oggi acquisita dal fantastico di lingua inglese non è dovuta a una maggiore inclinazione degli anglosassoni per questo genere di letteratura, ma unicamente alla circostanza che una potenza di lingua inglese, gli Stati Uniti d’America, è oggi quella dominante a livello planetario.
Rimane ancora da esaminare un capitolo importante del fantastico latino, quello del fantastico iberico e latino-americano, dove tra l’altro spicca la personalità del grande, grandissimo Jorge Luis Borges (ma a cui, come ricorderete, ho già dedicato un capitolo apposito). Ma questo lo vedremo prossimamente.
NOTA: Nell’illustrazione, un’inquadratura famosa del film Il pianeta delle scimmie, tratto dal romanzo di Pierre Boulle, forse il romanzo di fantascienza di autore francese che ha avuto la maggiore eco internazionale.