C’è il colpo di spugna e, ovviamente, c’è anche la spugna. Il primo cancella, la seconda assorbe e poi restituisce, ma per far questo necessita di un liquido o di una soluzione liquida che qui, per comodità, chiameremo acqua. Il primo è ciò che possiamo associare a tutto quello che NON SAPPIAMO poiché esistito prima di quanto le nostre fonti, scoperte e conferme ci possono dimostrare. Un esempio su tutti è il NON POTER SAPERE – ad oggi – cosa sia esistito prima del Grande Evento catastrofico planetario, meglio conosciuto come Diluvio Universale. A meno che la seconda, la spugna, per casi fortuiti o, al contrario, dipendenti dalla solerzia indefessa di alcuni studiosi riesca ogni tanto ad assorbire quella che avevamo chiamato “acqua”, per poi rendercela, elargita, sotto la forma di utili informazioni e reperti. E veniamo al dunque. Rapportando il discorso alla nascita della scrittura, fino al “colpo di spugna” ancora in auge – in auge per comodità del dato per assodato o per insufficienza di prove, troppo difficoltose da dover reperire – in tutti i libri di testo di tutto il mondo c’è stato insegnato che gli artefici furono i sumeri. Tutto vero, per carità. Ma vero fino a un certo punto. Vero cioè fino al punto in cui ci è dato sapere. Comunque, anche se a livello di conoscenza storica pare di stare in mezzo al deserto, ogni tanto e per fortuna un pochino di “acqua” la spugna della conoscenza riesce a prenderla. E riesce pure a reinfonderla. Infatti, nel 1961 fu la volta della scoperta delle Tavolette di Tartaria nella valle del Mures in Transilvania, datate tra il 5370 e il 5140 a. C. e appartenenti alla cultura preistorica Vinča, che si sviluppò nella penisola balcanica tra il VI e il III millennio a. C.
Tale ritrovamento scalza quindi l’ipotesi per cui convenzionalmente i sumeri sono considerati i padri della scrittura alfabetica che tuttora utilizziamo. Facendo un passo indietro, secondo quanto ci è dato sapere, possiamo con certezza affermare che già 40.000 anni fa l’uomo cominciò a tracciare la sua esistenza immortalando la propria presenza al mondo, tramite graffiti e pitture sulle pareti delle caverne. Perciò, se i graffiti volevano rappresentare una sorta di testimonianza di fatti e atti avvenuti, la scrittura codificata compare con la funzione di memorizzazione.
Ciò compreso, resta il fatto che le analisi al C 14 delle Tavolette di Tartaria dimostrano come queste siano precedenti alle tavolette sumere di 2000 anni circa. Il tutto avvalorato dalla mole di reperti a corredo che vanta 1500 iscrizioni e 230 segni almeno di tale sistema, elevandolo così da episodio decorativo isolato (come alcuni sostengono) a scrittura vera e propria, con una sua linearità e persino con l’uso di segni diacritici. Elementi che ritroveremo nella scrittura cretese Lineare A grazie alla diaspora dei danubiani, avvenuta a seguito delle invasioni dei protoindoeuropei, tanto da indurli a trasferirsi nelle isole dell’Egeo. Così, il linguista Harald Haarmann in Geschichte der Sintflut (pagg. 95-96): “Il modo in cui sono state applicate le iscrizioni sulle statuette si differenzia chiaramente dall’ordine delle decorazioni o dei motivi ornamentali. La decorazione ornamentale è caratterizzata da una rigida simmetria, mentre la collocazione di segni di scrittura che esprimano parole non soggiace a nessun principio di simmetria, la sequenza dei segni si orienta in base al contenuto dell’informazione e non alle norme estetiche di motivi ornamentali.”
Torna allora l’ipotesi a suo tempo espressa da Gennaro D’Amato in AUM, l’alfabeto perduto di Adamo (ripubblicato da Xpublishing editore, 2016), per cui tutti gli alfabeti abbiano una comune origine e quindi è la pittografia a contenere le lettere e non, al contrario, che le stesse derivino da ideogrammi? Così, l’autore (pag. 52): “Chi ha dato alle termiti, a talpe, api, vespe, ragni, uccelli e a tanti minuscoli insetti l’istinto di fabbricare tane, alveari, nidi, tele, gallerie e costruzioni diverse e di struttura geometrica meravigliosa? E vorremmo che l’uomo, messo per la sua intelligenza a capo del regno animale non possedesse istintivamente le più elementari intuizioni lineari nel tempo primario, quando non pensava agli affari, ma aveva tempo di riflettere?”
Secondo tale teoria, infatti, alfabeto e linguaggio provengono da una stessa visione simbolica e “sieno coevi sin dai tempi primarii” e il segno fonetico è in rapporto al cifrario geometrico da cui deriverà l’ideale A V M (cfr. immagini a pag. 15 e monogramma a pag. 152). La quale ipotesi potrebbe anche spiegare il motivo per cui gli stessi simboli a volte di linee, altre di croci e svastica presenti nelle Tavolette di Tartaria le ritroviamo in ideogrammi orientali, nel cuneiforme e nei geroglifici, più specificatamente nelle tavolette d’argilla del periodo celtico di Glozel (Francia) e nei petroglifi di San Agustin (Colombia) o nei pittogrammi della Pedra Pintada (Brasile).
Uno studio totalmente nuovo rispetto al panorama ortodosso, e che in qualche modo a quanto raccontato sopra concettualmente si riaggancia, ce lo fornisce l’ analisi delle incisioni rupestri ritrovate negli anni ’80 nelle isole Canarie di Fuerteventura e di Lanzarote. Secondo tale teoria basata sullo studio comparativo e statistico con le altre scritture antiche, “già esistevano forme di scrittura lineari nel Mediterraneo occidentale rintracciabili fino al IV millennio a. C.
Ciò indicherebbe che alcuni segni utilizzati dalla scrittura creata dai romani (il latino) erano già presenti in quelle antiche scritture”. Scritture alla cui base vi sarebbe un codice di 4 segni, definito appunto quaternario, che partendo dalla linea retta si evolve nei seguenti 3 segni, piegandosi 1, poi 2 e infine 3 volte. Da tale unica successione e con rotazioni delle lettere a seconda del caso – di 90° / 180° / 270° – e con “l’aggiunta di piccole appendici nei differenti lati all’estremità del primo segno, formato da una semplice retta verticale” viene a comporsi una scrittura completa, che in seguito darà i fondamenti per tutte le altre scritture utilizzate prima dell’epoca sumera.
Tale scrittura quaternaria sarebbe la base di ciò che dal Neolitico e Calcolitico si sarebbe sviluppato in tutte le altre scritture europee che, quindi, non deriverebbero dall’antica civiltà sumera e tantomeno da una “pretesa origine fenicia”. Il latino non sarebbe altro che una derivazione di suddetto percorso, come evidenziato dallo stesso Pallarés Lasso nello schema che qui alleghiamo. A ben vedere e analizzare, tornano molti dei segni che poi ritroviamo nelle evoluzioni alfabetiche seguenti. Ciò confermerebbe come nel percorso di strutturazione della scrittura l’origine degli alfabeti andrebbe ricercata non nel suo antenato più prossimo, come appunto la lingua fenicia (che quindi non rappresenterebbe altro che una declinazione all’interno dello stesso percorso), ma nelle radici, sebbene ancora non perfettamente note, profonde e simboliche di questo stupendo albero genealogico che, nel tempo, ha portato alla ramificazione di oltre 6000 propaggini. Ancora è tutto da studiare, da approfondire, ancora tutto è da verificare, in attesa di altra “acqua” che porti linfa alla nostra spugna.
FONTI PER ULTERIORI STUDI:
http://www.antikitera.net/news.asp?ID=12576&TAG=Sumeri&page=
http://sinsikavait.blogspot.com
https://dreamlandmagazineonline.com/2015/09/25/lenigma-di-glozel/
https://culturaprogress.blogspot.com/2015/01/dal-linguaggio-ligure-al-celtico-e-gli.html
Marco Merlini, La scrittura della Dea, Fenix n.103
Costanza Bondi e Agustín Demetrio Pallarés Lasso
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