E’ la politica impersonata da uomini come il ministro Poletti – che ha dichiarato di fare volentieri a meno dei tanti giovani emigrati in questi anni – la prima responsabile della morte di Fabrizia di Lorenzo nell’attentato di Berlino dove s’era trasferita per lavorare.
E’ colpa storica di questa politica l’aver rubato ai giovani il sogno e l’orgoglio di realizzarsi e di poter lavorare nel nostro Paese e per esso, frustrandone ogni ambizione e ogni slancio, fino a togliere loro anche l’ultima speranza di potersi costruire un futuro dignitoso nella loro terra.
Perciò, questa politica rappresenta il primo e il più viscido nemico della Nazione – e va combattuta e abbattuta con fanatica determinazione – perché è la quinta colonna di quel Male oscuro che corrode e rende fragili e indifese le nostre società.
E’ la politica del pensiero unico e dei suoi ossessivi messaggi mondialisti e omologanti, ipocritamente umanitari ed entusiasticamente multiculturali, che in tutte le occasioni di attentati e stragi terroristiche, attorniata dai propri intellettuali di servizio e dai media ammaestrati, si rifugia in analisi di comodo ovvero si trincera dietro le ipocrite fumisterie di maître à penser “di razza”, come Zygmunt Bauman o Bernard-Henry Lévy.
E’ la politica che, in questi casi, sa esprimere solo dolore, costernazione e sgomento, senza mai prodursi in una reazione, uno scatto di reni, un richiamo fermo ai popoli che le si affidano per invitarli ad assumere, tutti insieme, a fronte alta, una posizione netta dinanzi agli assassini che, arrogantemente, minacciano nuove stragi e nuove violenze.
Perchè questa politica ha ormai perduto completamente il contatto con la realtà sociale e si rifiuta di guardare in faccia la minaccia islamista e i problemi sorti a causa della crisi migratoria, ma con abietto e irresponsabile cinismo sa solo ripetere che la principale preoccupazione non è il terrorismo, ma l’avanzata delle destre populiste.
Del resto, quale reazione ci si può aspettare da chi ha scatenato per procura questa orrenda mattanza? Come risolvere la surreale contraddizione rappresentata dal fatto che gli stessi mallevadori del terrorismo in Siria dovrebbero oggi affrontarlo in Europa?
Prima del 2011 la Siria era un mirabile mosaico di religioni ed etnie che hanno convissuto per secoli in armonia. Nel 2011 l’Unione Europea, in ossequio al suo vassallaggio atlantista, varò le sanzioni contro la Siria, presentandole come “sanzioni a personaggi del regime”, che imponevano al Paese l’embargo del petrolio, il blocco di ogni transazione finanziaria e il divieto di commerciare moltissimi beni e prodotti. Una misura che dura ancora oggi, anche se, con una decisione stravagante, nel 2013 veniva rimosso l’embargo del petrolio proprio dalle aree controllate dalle milizie jihadiste, allo scopo di fornire risorse economiche alle cosiddette “forze rivoluzionarie e dell’opposizione”. In questi cinque anni le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, mentre il paese è stato posto sotto l’attacco di bande di terroristi in una guerra per procura, foraggiata prevalentemente da Arabia Saudita, Qatar e Turchia.
Da oltre cinque anni, quindi, i paesi europei, con l’Italia cinicamente in prima fila grazie all’attuale Presidente Gentiloni, prima in veste di ministro degli Esteri, hanno riproposto in Siria la strategia fallimentare usata per la Libia, appoggiando i presunti “ribelli moderati” e alimentando una guerra che ha provocato migliaia di morti e milioni di profughi.
L’Europa s’è accodata ad Obama nella criminale politica delle arab springs (noi abbiamo addirittura bombardato la Libia): ha operato per distruggere gli stati nazionali arabi, per bloccare i progetti panarabi – di natura idrica, valutaria e finanziaria – avviati da Gheddafi e per creare un grande spazio energetico sotto l’egida della Nato; un piano fallito solo per il colpo di stato egiziano antislamista di Al Sisi. Dal 2011 s’è accanita per smembrare la Siria, favorendo i foreign fighters europei che andavano contro Assad.
Oggi, mentre i giornali italiani ancora si stracciano le vesti per Aleppo riconquistata dai siriani, gli Stati europei dovranno decidere se combattere o no contro l’Isis, tanto più che i foreign fighters partiti dall’Europa per sostenere lo Stato Islamico in Iraq e Siria, sono tornati e continueranno a tornare in Europa e le vittime saranno sempre più i cittadini europei. Oggi, i grandi sconfitti di Aleppo, oltre ai terroristi e ai “ribelli” che tenevano in ostaggio la città, sono i governi e i mezzi d’informazione europei che in questi ultimi mesi hanno diffuso la versione-bufala secondo cui i bombardamenti russi su Aleppo causavano sempre vittime innocenti tra i civili, accanendosi su bambini, scuole e ospedali, mentre quelli statunitensi su Mosul o Raqqa si limitavano a eliminare, “chirurgicamente”, solo capi e miliziani di Daesh. L’ipocrisia dei radical, che non si scompongono davanti ai peggiori colpi di stato, ma si lanciano in pubbliche condanne quando qualcuno pone rimedio alle loro infamie, è riassunta emblematicamente da figure come quella della pseudo giornalista Rula Jebreal, che ha rilasciato farneticanti dichiarazioni sulla liberazione di Aleppo che avrebbe portato con sé esecuzioni sommarie, carneficine, rastrellamenti, sparizioni e addirittura stupri etnici perpetrati dalle truppe siriane, con venti donne di Aleppo che si sarebbero suicidate pur di non finire in mano alle milizie di Assad. In realtà, tutto nel racconto atlantista su Aleppo è stato truffa e inganno. Dalla pubblicazione senza filtri né verifiche dei dati forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, fondato e animato da un oppositore di Bashar al-Assad e mantenuto dal governo inglese, alla parola “assedio”, usata senza risparmio per Aleppo, ma solo negli ultimi mesi e mai nei più di tre anni in cui la città era attaccata su tre lati da ribelli e jihadisti, fino al pietismo sui tanti presunti “civili” coinvolti nei bombardamenti, considerato che a seguito dei miliziani islamisti erano presenti intere famiglie che attualmente vengono evacuate dalla città. E ribadiamo evacuate, non crocefisse, sgozzate o mitragliate e sepolte in fosse comuni.
Perciò, non vi è stata solo una liberazione ad Aleppo: c’è stata la svolta fatale della guerra siriana, in cui a perdere sono stati i costruttori di guerra e i pianificatori del Terrore e della Menzogna, i servizi e i contractors di Usa, Israele e altri Paesi operanti in Siria che sono stati catturati da russi e lealisti siriani. I 12 “foreign officers”, di cui la Siria ha comunicato anche i nomi, appartengono a sei nazionalità diverse: sei sauditi, un americano, un israeliano, un turco, un marocchino e un giordano.
Per ora, continua la sporca guerra delle fake news, la caccia alle streghe che i vari governi atlantisti hanno posto in essere, in combutta con la Open Society Foundation di George Soros e il National Endowment for Democracy, per limitare, fino a distruggerli, i punti di vista contrari all’establishment, censurandoli in nome del politicamente corretto, ma a breve la politica estera americana sullo scacchiere siriano è destinata a cambiare radicalmente con Trump e se il blocco europeo (di recente totalmente escluso e ignorato dall’incontro di Mosca tra russi, turchi e iraniani sulla Siria) non vuole perdere del tutto il Medio Oriente sarà costretto a resettare le proprie politiche. A cominciare da quelle sull’immigrazione, l’accoglienza e l’integrazione.
Sui futuri barconi provenienti dalla Libia, potranno esserci sempre più parenti e amici dei miliziani che oggi scappano da Aleppo nonché loro stessi. Chi continua a predicare accoglienza, si tratti di Mattarella o di Angela Merkel o di Bergoglio, dovrà perciò essere ritenuto personalmente moralmente responsabile per la morte di ogni europeo che possa avvenire d’ora in poi per mano di questi immigrati. Sotto i nostri occhi sono fallite drammaticamente tutte le politiche immigratorie della Francia e dell’Inghilterra e chi si ostina a parlare di integrazione dev’essere zittito senza scrupoli. Dobbiamo rovesciare radicalmente i termini di una questione divenuta surreale e rimettere al centro dei ragionamenti la logica e una normalità del vivere che è stata considerata superata. In ogni dominio l’inganno della globalizzazione s’è rivelato solo col tempo e coi guasti immensi che ha prodotto.
Ricordate le conquiste annunciate come libertà di circolazione per capitali, uomini e merci? Erano dipinte come l’abolizione di ogni discriminazione e l’avvento di nuovi progresso e benessere per tutti; si sono tradotte in quello che oggi subiamo come speculazioni e crisi finanziarie, arbitrio delle banche, dumping economico, disoccupazione, rapina sociale, smantellamento del welfare, invasione e sostituzione etnica. In pochi anni il nostro mondo è stato travolto.
Per questo occorre essere drastici, il medico pietoso rende la piaga cancrenosa. Dai disastri dell’accoglienza si esce con politiche di respingimento, col rifiuto di nuovi insediamenti allogeni, col drastico contenimento dei flussi, ridotti ai soli reali casi di necessità prevista nei trattati internazionali e con una accoglienza garantita solo temporaneamente e sotto stretto controllo. Occorre circoscrivere l’infezione non lasciare che si espanda. E se, purtroppo, già sono presenti in Europa realtà costituite da milioni di immigrati, tanto più è indispensabile non alimentare ulteriormente il fenomeno o pensare di governarlo attraverso l’integrazione sociale. L’offerta di case, lavoro e moschee, per certe comunità è molto spesso del tutto ininfluente, perché queste vogliono restare impermeabili alla nostra cultura, conservare tutte le loro tradizioni, la loro lingua, le loro scuole islamiche, la loro alimentazione, i loro stessi abbigliamenti, preferendo come scelta quella di incistarsi nelle società europee piuttosto che di armonizzarsi in esse.
Perciò, se ne è impossibile l’assimilazione, certe collettività devono essere contenute al massimo e non incrementate con nuovi apporti dall’esterno. Ugualmente, dev’essere limitato l’ingresso di tutte quelle altre popolazioni, africane in particolare, che non hanno alcun titolo per arrivare nel nostro Paese per spargersi poi in Europa andando ad alterarne, per altri versi, gli equilibri etnici ed economico sociali.
Ogni popolo ha diritto a una propria terra, dove crescere e vivere in pace. Solo così possono svilupparsi rapporti sani e scambi culturali fecondi, senza evocare trasmigrazioni di massa, invasioni, accoglienze indiscriminate o sovrapposizioni etniche. Esistono i confini, li vogliamo, hanno un senso e un valore di civiltà oltre che di sicurezza.
Per trasferirsi nella Patria di un altro popolo occorre averne il permesso. Troppi anni di lassismo e di superficialità, uniti alla spinta dell’ideologia radical, hanno condotto all’inversione di elementari regole naturali e allo sfacelo delle nostre società, rese ormai fragili e rassegnate anche dinanzi allo spettro della loro stessa dissoluzione e sottomissione. Drammaticamente, ma prima che si troppo tardi, in questo Natale è bene che molti europei capiscano che i buoi lasciati scappare dalla stalla non sono affatto assimilabili a quello del Presepe, ma piuttosto a degli sciacalli assassini e sanguinari e che la colpa è di quei politici indegni che non hanno difeso con forza i loro popoli e la loro identità.
Per questo chi ieri aveva deciso di arrendersi dolcemente, oggi è già morto.