Probabilmente le persone che hanno la mia età ricorderanno una canzoncina di molti anni fa il cui ritornello faceva “Nel duemilaventitre…ventitre”. La musichetta era piuttosto allegra, ma il tema della canzone non lo era affatto, era – come si diceva allora – di denuncia sociale, nel duemilaventitre, che allora appariva un futuro lontanissimo, si ipotizzava o si auspicava, ci sarebbe stato tra le altre cose l’adeguamento delle pensioni al costo della vita, i pensionati avrebbero avuto un trattamento economico decente.
Beh, lo scorrere del tempo va sempre avanti implacabile, pensiamo al fatto che l’anno duemila, data mitica del cambio di secolo e di millennio per la quale negli anni ’60 del XX secolo o prima, si immaginavano realizzati tutti i sogni della fantascienza, è ormai alle nostre spalle da un pezzo, che i bambini nati in quell’anno sono ormai uomini e donne fatti, e molti di loro hanno a loro volta dei figli, ed ora, appunto, è arrivato anche il duemilaventitre.
Molte cose sono cambiate nel frattempo, tra l’altro la nostra sovranità, soprattutto in campo economico. Ci hanno inseriti a forza nella cosiddetta Unione Europea e costretti ad abbandonare quella che era la nostra moneta nazionale (ricordiamo che la costituzione “può bella del mondo” che ci è stata imposta alla fine della Seconda Guerra Mondiale VIETA il referendum sui trattati internazionali, siamo stati trattati fin dall’inizio come un gregge di pecore).
Secondo l’artefice del nostro ingresso nella zona euro, con la rinuncia alla moneta nazionale e l’adozione di questa moneta bastarda, il prode Romano Prodi, avremmo lavorato un giorno in meno a settimana e guadagnato come se lavorassimo un giorno in più, invece è stato presto evidente che è avvenuto esattamente il contrario: lavorando un giorno in più, si guadagna come se si lavorasse un giorno in meno rispetto ai tempi antecedenti alla rinuncia alla moneta nazionale, questo vale naturalmente per chi un lavoro può permettersi di averlo.
Non è difficile, infatti, accorgersi che la “profezia pensionistica”, vogliamo chiamarla così, non si è realizzata, che, laddove trascorrere senza grandi preoccupazioni economiche gli ultimi anni della propria esistenza dovrebbe essere considerato un diritto fondamentale, molti hanno ancora pensioni da fame e sono al disotto della soglia di povertà, non solo, ma si è fatta più precaria anche la situazione dei lavoratori in servizio, e vediamo sempre più spesso le generazioni dei nostri figli e nipoti barcamenarsi fra contratti a termine e lavori interinali che non offrono garanzia per il futuro.
Il meccanismo delle pensioni sostanzialmente funziona così: “Tu, lavoratore, dovresti accantonare una parte del tuo stipendio per avere un reddito per la vecchiaia, quando non sarai più in attività lavorativa, ma, dato che non mi fido del tuo senso di preveggenza e responsabilità, io, stato, prelevo mensilmente una fetta del tuo stipendio, i contributi, e lo accantono per te, per restituirtelo sotto forma di pensione quando non sarai più in attività”.
Si vede bene quale è il punto debole di tutto il discorso, è del senso di preveggenza e di responsabilità dello stato, dell’interesse per il bene pubblico di coloro che di volta lo incarnano, che non c’è da fidarsi.
In pratica, le cose non hanno mai funzionato in questo modo: i contributi versati dai lavoratori in attività sono stati impiegati per pagare le pensioni ai pensionati. Quando, diciamo mezzo secolo fa, c’erano mediamente due lavoratori in attività per ogni pensionato, il sistema bene o male funzionava, ma oggi, a causa dell’allungamento dell’aspettativa di vita, della flessione demografica, della difficoltà per i giovani ad accedere al mondo del lavoro, siamo vicini alla parità tra pensionati e lavoratori attivi, e il sistema comincia a boccheggiare. Quando questi ultimi avranno sorpassato il numero di coloro a cui dovrebbero essere erogate le pensioni, il sistema collasserà, sostenere ulteriormente il carico diventerà impossibile.
Finché si è in tempo, si dovrebbe pensare a delle alternative, ad esempio dare la possibilità ai lavoratori di scegliere se versare i contributi su un conto privato nominativo invece di affidarne la gestione allo stato, o anche riceverli direttamente in busta paga per investirli per proprio conto in vista della cessazione dell’attività.
Un tempo esistevano vari enti mutualistici (cassa malattia) e pensionistici, praticamente uno per ogni categoria di lavoratori, che sono stati man mano assorbiti dall’INPS. L’ultimo a venir assimilato è stato l’INPDAP, che si occupava di malattia e pensioni dei dipendenti statali. Ciò è stato fatto palesemente allo scopo di razionalizzare il sistema, ma è stata una buona cosa?
Vi racconterò un episodio personale, forse direte che non fa testo, tutto dipende dal comportamento delle singole persone, sta a voi decidere quanto sia significativo.
Mia madre aveva una pensione INPDAP come ex dipendente statale e una pensione INPS per gli anni in cui aveva lavorato nel privato a Roma, prima di venire a Trieste. Non so per quale motivo, ma non erano state mai ricongiunte in un unico trattamento pensionistico. Dopo la sua morte in qualità di erede, andai per regolarizzare il rateo insoluto, cioè la parte di pensione e di tredicesima non ancora corrisposte (n ogni caso, non si trattava di grosse somme), prima all’INPDAP poi all’INPS. All’INPDAP fui accolto con molta comprensione e gentilezza, come, devo dire, ho sempre riscontrato nelle persone che lavoravano in questo ente prima che venisse soppresso, quindi ero proprio lontano dall’aspettarmi la doccia fredda che sarebbe arrivata poco dopo.
Andai poi all’INPS, e lì fui accolto malissimo, come se fossi andato a rubare, mentre io non pretendevo nemmeno un centesimo in più di quel che mi spettava per legge, anzi sapevo che si trattava di somme irrisorie e volevo regolarizzare la pratica. Veramente un bel modo di trattare una persona che ha appena avuto un lutto, e vi assicuro che non era che mi fosse morto il canarino.
Caso circoscritto, insensibilità dell’impiegato in cui mi ero imbattuto? Non discuto, torniamo a considerare il sistema nella sua generalità. Non sono io il primo a rilevarlo, ma è stata notata una forte somiglianza tra il sistema pensionistico così come è attualmente strutturato, e lo schema Ponzi Lo schema Ponzi è un noto modello di truffa finanziaria che offre qualche beneficio ai primi investitori, ma per quelli successivi (che di solito costituiscono una platea molto più larga) si converte in una perdita totale del capitale.
Lo schema Ponzi è un tipo di truffa diventato famoso negli USA negli anni venti “grazie” a un uomo di origine italiana, Charles Ponzi che si spacciava per un operatore economico: funzionava così: L’uomo prometteva agli investitori rendimenti superiori a quelli offerti dal mercato finanziario, ma in realtà non investiva nulla, ma si limitava a girare ai primi investitori parte del capitale di quelli successivi, grazie al fatto che la promessa di rendimenti facili e lucrosi attirava un numero di investitori sempre maggiore, era, se vogliamo, una sorta di catena di Sant’Antonio attraversata da un flusso di denaro da valle a monte, cioè verso i primi investitori, e naturalmente il Ponzi stesso. A un certo punto le persone vedono sparire il capitale investito da cui non hanno ricevuto alcun utile, e l’operatore finanziario si eclissa.
Per quanto possa sembrare strano, lo schema Ponzi è stato messo in atto più volte in contesti diversi, in Italia negli anni ’50 nel cosiddetto caso Giuffrè, in Albania negli anni ’90, di nuovo negli anni 10 del nuovo secolo e millennio negli Stati Uniti dal finanziere Bernard Madoff, poi ancora in Tunisia, Romania, Bulgaria.
Sembra strano, in particolare, che un mercato finanziario non certo da Terzo Mondo come quello degli USA abbia dimostrato da questo punto di vista la stessa vulnerabilità di novanta anni prima, comunque gli americani si sono vendicati con Madoff appioppandogli una pena pesantissima, 150 anni di carcere.
Si può poi aggiungere ancora che questo tipo di truffa è stato grandemente facilitato dalla comparsa del mercato finanziario virtuale e parallelo delle criptovalute, delle quali è meglio diffidare, se qualcuno vi offre un guadagno facile e altamente remunerativo che vi sembra troppo bello per essere vero, quasi sempre non è vero
E’ chiara la somiglianza del nostro sistema pensionistico con lo schema Ponzi, somiglianza che non sono io il primo ad avere notato. Se andate in internet, trovate un articolo di Virginia Borla sul sito di Daniele Stroppiana che si intitola INPS e pensione: perché l’INPS è uno schema Ponzi?, che vi consiglio di leggere.
Un lavoratore all’atto del pensionamento, non comincerà a riavere indietro i contributi versati, che sono serviti a pagare le pensioni di chi lo ha preceduto, bensì quelli di chi è in attività di servizio, sempre che ve ne siano, e in misura sufficiente, quando la base rappresentata dai lavoratori in servizio si restringe come sta avvenendo attualmente, il sistema s’indebita sempre di più e rischia di crollare.
La faccenda sarebbe quasi umoristica se non fosse tragica: sebbene probabilmente la maggior parte di noi non se ne sia accorta, ultimamente le pensioni hanno subito un piccolo aumento. Sapete da cosa dipende? Da un parametro che calcola l’aspettativa di vita media. Finora, in conseguenza dell’allungarsi dell’aspettativa di vita, dal dopoguerra a oggi, questo parametro si è sempre abbassato, ultimamente invece si è alzato perché l’aspettativa di vita si è ridotta a causa del COVID19. Sapete di quanto è stato l’aumento medio: OTTO euro mensili. Come dire che due anni di lockdown che abbiamo subito non valgono nemmeno due pacchetti di sigarette al mese.
Qualcuno a questo punto ha avuto una bella pensata, geniale direi quasi: poiché il sistema alla lunga non può reggere se non esiste un alto rapporta fra lavoratori in attività e pensionati, poiché siamo in flessione demografica, invece di incentivare la natalità favorendo asili nido e strutture per le lavoratrici madri, invece di incentivare economicamente le famiglie numerose, invece di facilitare l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, è più semplice importare a palate lavoratori dal Terzo Mondo chiudendo con robuste fette di prosciutto su entrambi gli occhi sull’immigrazione clandestina, e da qui la ridicola favola che coloro che gradualmente ci invadono dall’altra parte del Mediterraneo sarebbero “risorse” “che ci pagheranno le pensioni”.
Il numero di figli minimo per avere una popolazione stabile (crescita zero) sarebbe una media di 2,1 figli per coppia, considerato che non tutti arrivano all’età adulta e non tutti hanno a loro volta figli Una ricerca di qualche anno fa ha dimostrato che due Paesi europei sono disperatamente sotto questa soglia, l’Italia e la Germania, entrambi con una media di 1,1 figli per coppia. In conseguenza di ciò, il governo tedesco decise di incrementare gli asili nido per favorire la natalità, ma il governo italiano, ovviamente di centrosinistra (e teniamo presente che quel centro- è puramente e semplicemente un pleonasmo) era di tutt’altro avviso, per quella gente la nazionalità è solo un fatto burocratico, una scritta sui documenti, decise invece di incrementare le regolarizzazioni dei clandestini.
E’ ovvio che tutto ciò comporta una serie enorme di problemi: dall’ordine pubblico alla differenza culturale con gente che non ha nessuna intenzione di integrarsi, alla sanità, dal momento che costoro ci riportano malattie che da lungo tempo ritenevamo sparite in Europa, ma il pericolo di gran lunga più grave è proprio quello della sparizione degli Italiani come etnia, se essere italiani significa un’eredità di sangue e non solo una frase scritta su un documento.
Diversi fra noi pensano – si illudono – che il governo di centrodestra insediatosi nel 2022 possa rappresentare una salutare inversione di tendenza rispetto a tutto ciò. Permettetemi di essere scettico al riguardo. Quando il PD, sempre contrario agli interessi italiani, presentò la proposta della legge che rende i cosiddetti migranti che si dichiarano minorenni irrespingibili (e teniamo presente che costoro arrivano spesso e volentieri coi telefonini, ma nessuno di loro ha mai i documenti), solo la Lega votò contro, mentre Fratelli d’Italia e Forza Italia si astennero. Fra tutti i partiti, solo la Lega ha dimostrato di voler contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina con una qualche serietà, e purtroppo la Lega è uscita letteralmente maciullata dalle elezioni del 2022. Queste elezioni non hanno solo – per fortuna – cacciato PD e 5 stelle all’opposizione, ma hanno anche – sciaguratamente – cambiato gli equilibri interni del centrodestra ormai dominato da Fratelli d’Italia, vale a dire da persone inaffidabili, eccessivamente devote a organismi sovranazionali come la NATO (cioè gli USA) e la UE che spingono per la sostituzione etnica. E’ inutile illudersi, Meloni non è Orban.
Ma torniamo al problema del debito dell’INPS. Ormai, sciaguratamente, l’immigrazione non è un fenomeno nuovo, e vediamo bene i suoi effetti, non solo questo problema non si è lenito, ma essa lo ha notevolmente aggravato. Come mai?
Cominciamo con una semplice osservazione: spacciatori, magnaccia, prostitute, vu cumprà, borseggiatori, mendicanti, manovali della criminalità organizzata, ma anche chi più onestamente sbarca il lunario con lavori a giornata, vale a dire la pressoché totalità delle attività in cui sono impegnati gli immigrati, di contributi all’INPS non ne versano. Ma non finisce qui, perché “grazie” alla legge sui ricongiungimenti familiari costoro, una volta messo piede da noi, possono far venire qui i propri anziani che saranno subito iscritti all’INPS per ricevere la pensione sociale senza aver mai versato un centesimo di contributi, e continueranno a percepirla anche se se ne tornano da dove sono venuti o se ne vanno dove gli pare. In pratica, noi siamo i Pantalone che pagano per l’universo mondo, e sono tutte risorse sottratte ai nostri lavoratori e ai nostri pensionati.
Vediamo di sfatare un’altra leggenda priva di fondamento, quella che “i migranti fanno lavori che gli italiani non vogliono più fare”. La realtà è leggermente diversa: molte aziende offrono per certi lavori retribuzioni al disotto della soglia di sussistenza, che gli italiani non sono in grado di accettare, mentre i migranti possono integrarle con i contributi sia pubblici, sia di istituzioni “caritative”.
Come dice il proverbio, oltre al danno, la beffa, perché, come se non bastasse, ci prendono anche in giro, approfittano di un “baco” nel codice della navigazione che impone il salvataggio dei naufraghi, mettendosi in mare su carrette sulle quali non si sognerebbero minimamente di salire, tanto per fare scena, se no sapessero che poco più in là ci sono le navi delle ONG pronte a raccoglierli.
In una parola, i “naufragi” da cui costoro vengono salvati sono delle sceneggiate. Certo, ogni tanto qualcuno ci rimette effettivamente la pelle, ma è come il cognato di Zeno nel romanzo di Italo Svevo, che volendo simulare il suicidio, finisce per uccidersi davvero.
Come se la beffa non fosse già di per sé abbastanza tragica, è arrivata l’ultima novità: la UE non vuole che si parli più di clandestini, migranti o che so io, ma solo di naufraghi. Ma sappiamo che la UE, questa organizzazione parassitaria il cui scopo è quello di trasferire le ricchezze dei popoli europei nelle mani del grande capitale finanziario apolide, è l’Europa tanto quanto un tumore è la persona che ne è affetta.
Ci sono alcuni che sostengono che tutto quanto sta avvenendo oggi non sia affatto casuale, ma la realizzazione di un piano architettato un secolo fa ma che per passare alla fase operativa ha dovuto aspettare la fine della Guerra Fredda, il piano Kalergi, consistente nella sostituzione dei popoli europei nativi con masse provenienti dal Terzo Mondo, più facilmente manipolabili e prone al potere del grande capitale finanziario apolide. Ma sappiamo che chi la pensa così è un complottista cattivo.
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