L’anno scorso è uscito per le edizioni Idrovolante Il fiume degli spiriti, il primo romanzo di Emanuele Fusi, avvocato toscano con una lunga esperienza di viaggi nell’Africa nera e nel Sud Est asiatico. Il suo libro, è un crudo affresco del mondo notturno dell’Oriente estremo (in questo caso il Laos), ma anche del vuoto nichilistico che ammorba fino al midollo quella classe borghese occidentale impregnata di progressismo e pensiero debole. Abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti di quelle terre lontane, con cui Emanuele Fusi intrattiene da molti anni un rapporto di studio e disanima.
1. Il tuo primo romanzo, Il fiume degli spiriti, è un viaggio nei bassifondi del Laos, nella prostituzione e nella criminalità. Si possono respirare l’umidità, il sudore e il fumo di stanze troppo affollate. Il grosso del racconto lo si potrebbe immagine illuminato da freddi neon. Eppure in questo contesto morboso di vite alla deriva, sembra sempre possibile un cambio di passo, una presa di coscienza, forse incarnata per certi versi dall’ufficiale americano. Il nichilismo orientale in cosa differisce da quello degli occidentali annoiati? Ritieni che sia possibile, in qualche modo, “cavalcare la tigre” perfino di situazioni scabrose e avvilenti?
“La domanda è molto interessante e centra il problema di fondo: la differenza tra Nichilismo Occidentale e quello Orientale. Premetto che nel romanzo è ben descritto il sottofondo della cultura buddhista theravada (quella della scuola Hinayana o Piccolo veicolo) del Laos e ciò serve per farci capire che a differenza nostra, quelle terre sono già impregnate di un certo “nichilismo”, ma su di un piano superiore: quello metafisico. Detto in altri termini, per loro tutto è illusione, compresa la realtà materiale e corporale. Ciò che è fondamentale è solo il “risveglio”, l’illuminazione che puoi ottenere solo e soltanto con l’ascesi (la via della rinuncia e del monaco): altrimenti c’è la reincarnazione. Ciò è importante per capire che il concetto di “peccato” in senso abramitico e cristiano – con il conseguente senso di colpa – è del tutto assente in Oriente, e quindi non vi si dà peso alla trasgressione e al vizio, dato che anche esso – a sua volta – è una illusione. In Occidente – a causa della desacralizzazione e del razionalismo – si è giunti ad espropriare il “sacro” e “il più che umano” dalla vita reale, con la conseguenza che “se Dio non esiste, tutto è permesso” (secondo la celebre frase di Dostojevski ripresa ne I Demoni). Questa frattura tra il Cielo e la Terra, ha finito per creare un vuoto esistenziale che pone l’uomo di fronte ad una “valle del nulla”, con la conseguente “angoscia esistenziale” quotidiana che lo divora giorno per giorno, dato che se nulla esiste oltre la vita terrena, niente ha più senso e finalità, compresa la propria persona fisica. Inoltre, mentre in Oriente vi è la possibilità di poter raggiungere l’illuminazione cambiando condotta di vita al fine di trascendere le forme illusorie della Realtà grossolana (il c.d Samsara), in Occidente tutto questo non esiste (del resto nemmeno la religione cristiana oggi aiutata più di tanto ad uscire dal fango del nichilismo, vista la sua attuale condizione di religione sociale che ha abbandonato la mistica e il timore di Dio).
Per quanto riguarda il romanzo, la presa di coscienza che si può avere su un sentiero che potremo chiamare “di Mano Sinistra” (ossia raggiungere elevati stati di coscienza a seguito dell’integrazione nel Sé di esperienze distruttive e corrosive, molto pericolose, al fine di trarne energia e forza, vincendone la paura e finendo per trascenderle) e che si intreccia nelle pagine del libro, oggi, è rimesso alle capacità del singolo, e forse addirittura alla predestinazione. E come emerge dal romanzo, non esistono di per sé personaggi “buoni ” o “cattivi”, “virtuosi” o “viziosi”, “positivi” o “negativi”. Credo che la realtà umana sia un intreccio di queste tendenze, ammesso e non concesso che si possa qualificare la nozione di “bene, virtuoso e positivo” e di “cattivo, vizioso, negativo”, dato che questi concetti cambiano col tempo e con lo spazio (ed anche nel tempo, e nello spazio).
Venendo alla possibilità pratica di Cavalcare la Tigre in situazioni scabrose e avvilenti, lo ritengo sempre di più difficile sul piano pratico: il problema in Italia e in Europa è che oggi – paradossalmente – non esiste nemmeno più un “lato oscuro” da cavalcare o nel quale immergersi per finalità iniziatiche. All’opposto, le elite occidentali vogliono regolarizzare, standardizzare e togliere la linfa vitale al mondo ctonio, oscuro, irregolare e notturno dell’esistenza, al fine di incatenarlo e privarlo della ricchezza alchemica (nigredo) che possiedono. Oggi tutto è un continuo divieto (legale o morale): divieto di fumare, di flirtare, di mangiare carne, di andare con prostituite per la strada, di andare allo stadio, di fare la guerra. Sono riusciti addirittura a “borghesizzare” e rendere priva di “diabolicità” (e quindi di forza) l’omosessualità, considerata prima la trasgressione più estrema. Anche la tecnologia di massa ha di fatto depotenziato la ricerca di luoghi, situazioni ed esperienze liminali e “infere”, estreme, dato che sempre di più finiamo per vivere in una gabbia di vetro dove tutto e tutti si osservano e dove è vietato serbare segreti e pulsioni non politicamente e moralmente corrette. Solo un pensiero standardizzato e una morale corrente priva di potenza, è ammessa, un pensiero e una morale di colore “grigio” (né bianco né nero), che non disturbi nessuno e accontenti tutti. Quindi in Occidente manca totalmente il materiale umano, psicologico e sottile per fare esperienze catartiche interessanti. Siamo in uno stato di coma costante, di una società moribonda che si sta lentamente disgregando nel quieto vivere; una sorta di stato di morte – infelicemente – assistita. E la situazione peggiorerà sempre di più, se non cambierà in maniera violenta, rapida e per fattori esterni, il paradigma dominante (che è economicamente neo-liberista e culturalmente progressista).
2. A un certo punto del romanzo il protagonista, un borghese progressista incapace di trovare una direzione nella sua vita, sembra vedere una luce, la possibilità di un legame sentimentale serio e l’accenno di una dimensione familiare in cui le generazioni si tramandano qualcosa. Eppure fallirà e fuggirà di fronte alla forse unica via di salvezza dal perdersi in se stesso. Il ritratto del progressista tipo italiano è così sconfortante? La classe privilegiata che per molti anni ha dominato cinema, libri e redazioni di giornali nel nostro paese, se messa alla prova, potrebbe davvero ridursi alla pochezza del protagonista del tuo racconto? Curioso come il protagonista tipico di molta letteratura di “sinistra” venga da te completamente ribaltato nel suo significato morale e spirituale.
Giulio, il protagonista, è “l’Italiano medio di oggi”; ahimè non solo quello progressista. E semmai progressista lo è per inerzia, per incapacità di prendersi le responsabilità radicali e per non avere un obiettivo che trascenda la vita orinaria, e per finire ad accettare il conformismo e le opportunità di una vita piena di compromessi (che in cuor suo detestava, come si capisce all’inizio del romanzo). Una persona che crede nella razionalizzazione dell’eros, ma al tempo stesso subisce inevitabilmente richiami dl “sottosuolo psichico” di un immaginario erotico torbido (quello che Evola e Jünger chiamavano gli “esseri elementari”, ossia forze ataviche precoscienti che agiscono oltre la ragione e che possono colpire l’individuo in ogni momento, e che l’uomo moderno e razionale tenta invano di imbrigliare, finendone invece succube). Giulio passerà da un nulla in cui è immerso sin dall’inizio (la vita anonima in una città di provincia dove tira a campare tra psicofarmaci e delusioni di ogni sorta) ad un altro nulla (la comodità della vita borghese familiare e la professione che gli dà l’illusione di essere arrivato). Nel mezzo c’è l’esperienza “corrosiva” del Laos, che avrebbe potuto salvarlo se fosse riuscito a cavalcare gli eventi distruttivi che lui stesso aveva scatenato, provocato e finanche voluto. Come si dice nel mondo della Tradizione, “una volta che si evocano dei demoni o degli dèi, è impossibile non averci a che fare”.
Infine, è evidente che Giulio rappresenta l’italiano medio proprio per la sua pochezza: guardiamoci attorno. Chi rischierebbe la pelle per la difesa della Patria, oggi? Chi sarebbe disposto a rinunciare a posizioni di comodo se ciò fosse necessario per migliorare la vita della propria comunità? Chi non ha come primo dio il denaro, oggi? Chi sarebbe disposto a fare un anno di militare? L’avvento dell’uomo fluido, liquido e della “razza sfuggente” (per dirla alla Evola) è una realtà sulla quale non possiamo fare nulla, se non cambierà il paradigma socio-economico. Del resto, dobbiamo dircelo francamente: mancano maschi e uomini virili anche perchè le c.d. “virtù maschili” (coraggio, forza, onore, fedeltà) non sono più necessarie in un mondo tecnologizzato. Con la conseguenza che si atrofizzano anche certe pulsioni e tendenze, a causa dell’inerzia di esse (vedi anche l’aumento dell’impotenza nei maschi, non solo quella fisica ma anche quelle generativa). In questo senso si deve avere un approccio materialista: le virtù maschili – che Giulio, il protagonista del libro, non possiede – potrebbero ritornare solo nel caso in cui ci sarà un collasso della civiltà tecnologica, in quanto ritorneranno ad essere materialmente necessarie.
3. Il viaggio è una tua grande passione. Cosa hai conosciuto veramente del Laos e quanto ancora di tradizionale, identitario e non occidentale ritieni si mantenga vivo in quei luoghi per noi lontani e ignoti?
Col tempo ho accettato una visione un pò più “materialista” delle tradizioni e delle culture non Occidentali, e se oggi il Laos tiene viva la tradizione è anche per motivi pratici e materiali. Vediamo il perché. Il Laos mantiene ancora una forza tradizionale enorme sia nelle campagne che nelle città in egual misura (non esiste una urbanizzazione massiva come in altre nazioni asiatiche); ho visitato grotte dove vengono custodite statue del Buddha millenarie oggetto di venerazione e di culto, e mi è stato riferito da gente del posto che di luoghi del genere ce ne sono così tanti, che però non vengono fatti conoscere e rivelati agli occidentali, per paura che vengano profanati. Inoltre sussiste un paganesimo che si basa sull’esistenza di 36 “spiriti” chiamati Khuan, e la cui venerazione si intreccia con la pratica Buddhista; non è difficile trovare monaci che al contempo praticano certi rituali che servono alla evocazione dei Khuan; la famiglia è il centro della società, e il matrimonio è ancora – di fatto – combinato. Inoltre i generi sessuali sono bene distinti e non vi è alcuna degenerazione tipica del mondo occidentale come la c.d. “cultura gender”. Si ricordi inoltre che nella cultura buddhista la donna non può raggiungere l’illuminazione durante la propria vita terrena, ma deve rinascere come “maschio” per aspirare al Nirvana. Questo porta di riflesso ad una società spiccatamente androcratica e patriarcale (per fare un esempio: una donna non può toccare un monaco con la mano, nemmeno sfiorarlo, in quanto impura per natura).
Ma dobbiamo chiederci perchè la Tradizione è ancora forte: per una questione anche materiale. Il Laos come è noto, non ha sbocchi sul mare, ragion per cui l’industria del turismo di massa non attecchisce; inoltre il Laos è una Repubblica Socialista guidata dal partito unico, il Pateh Lao, che dal 1975 dirige in senso marxista la società, che non ha permesso lo sviluppo dell’”american way of life”. Tuttavia tale “comunismo” non ha nulla a che vedere con quello di tipo occidentale, ma è fortemente legato alla casta militare, alla difesa della Patria e della cultura buddhista.
Si tenga presente che in tutto il Sud est asiatico, un maschio deve – prima o poi – passare una parte della propria vita in un monastero buddhista, anche solo per un mese. Fin da piccoli vengono educati alla meditazione e alla concentrazione e questo ha indiscussi benefici poi nella vita quotidiana di tutti i giorni; del resto colpisce la calma e la serenità mentale che si percepiscono nelle persone che vivono in questi luoghi. Ho conosciuto giovani novizi che studiavano presso i monaci, da tre o quattro anni, ed avevano l’età di 15 e 16 anni, spiegandomi che poi in futuro avrebbero lasciato il monastero. È molto interessante questa possibilità di passare parte della propria vita in luoghi dove vivere costantemente a contatto con la Tradizione, e con la possibilità poi di poter lasciare il noviziato quando lo si riterrà opportuno. Altri invece prenderanno i voti per sempre. È evidente che vi è una continuità tra la Tradizione e il mondo profano e ordinario, ossia non vi è quella “sincope” e rottura che viviamo noi in Occidente (che è la matrice del nichilismo, di cui si parlava all’inizio). Devo però osservare che la Cina sta portando uno sviluppo inimmaginabile sino a qualche anno fa; l’estate scorsa sono tornato in Laos per 10 giorni, dopo la scalata sul Monte Fuji in Giappone, e mi sono reso conto che in un anno il traffico era triplicato (nel 2010, la prima volta che andai in Laos, di macchine ve ne erano così poche che sembrava di vivere negli anni ’50 in Italia). Inoltre è evidente che la tecnologizzazione di massa, gli smartphone e il consumismo, presto o tardi avranno influssi negativi anche su quelle terre.
4. Viaggiare significa ritrovare se stessi, confrontandosi con l’altro da sé. Ma come può l’uomo di oggi, spesso un individuo isolato da ogni senso di appartenenza, concepire il viaggio come un qualcosa che non sia un semplice “perdersi nell’altro”? Il fascino di mondi estremi e misteriosi non finisce spesso per ridursi a una caricatura arcobaleno che nella realtà non esiste?
Quando si viaggia realmente “zaino in spalla” e “on the road” (ossia si vive come vivono quelli del posto, si frequentano i loro posti, si ascolta la loro musica e si manga il loro cibo) ci si rende conto che l’egualitarismo non esiste, e che non può esistere la c.d. “felice società multietnica”. Per esempio nel Laos, ma anche in Africa, non si diventerà mai e poi mai, laotiani o africani fino in fondo. In Laos sarai sempre considerato un “farang”, ossia un bianco occidentale straniero, che per legge non può possedere e comprare una casa o un terreno, nemmeno se ti sposi là. In Sierra Leone, terra ricca di società segrete iniziatiche maschili e femminili, mi dissero che essendo bianco non sarei potuto mai essere iniziato ad una di quelle società. Il viaggio vero e intenso ci aiuta a capire più noi stessi, per contrasto, e a rivalutare anche le nostre radici. Purtroppo gli occidentali e i bianchi in generale hanno una scarsa coscienza di se stessi e della loro diversità rispetto al resto del mondo, a causa del senso di colpa che è stato introiettato in loro. Eppure non si scappa: in questi luoghi estremi sarai sempre un diverso da loro, uno straniero, un “bianco”, che resterà tale per sempre, anche nella tomba. Quindi sì, il mondo arcobaleno esiste solo nella mente di poveri illusi che non hanno tempo né voglia di approfondire le insormontabili (e meravigliose) differenze tra gli esseri umani e tra i popoli.
5. Hai conosciuto l’Africa nera e probabilmente hai potuto apprezzare lati di quel continente che le cooperative e le ong italiane ed europee non sono interessate a conoscere. Il problema dei flussi immigratori incontrollati rischia di annullare la differenza che esiste tra un africano sradicato in Europa e un africano radicato nella sua terra e nella sua tradizione. Esistono ancora espressioni di tradizioni identitarie vive nel Continente Nero? Pensi che la soluzione al problema dell’immigrazione potrebbe essere quella di mettere gli africani nelle condizioni materiali di riprendere in mano il destino del loro continente?
L’Africa è il Continente più tradizionalista, conservatore e spiritualista del Mondo. Lo dico dal 2010, quando viaggiai in Senegal (da solo) per la prima volta: dell’Africa abbiamo una percezione distorta, sia a Destra che a Sinistra. Per la Destra (diciamo così, per semplificare), gli africani sono degli involuti destinati a subire le forze esterne a loro: per la Sinistra, sono dei poveracci nati nel posto sbagliato da rieducare all’ideologia dei “diritti umani”, al razionalismo e al femminismo.
Ovunque vai, anche nel più sperduto villaggio, le tradizioni tribali etniche (in Africa uno Stato-Nazione ha in sé altre piccole nazioni che sono le tribù etniche e che giocano un ruolo fondamentale nella politica e nella vita di un individuo) sono vive e viventi. È difficile spiegarlo se non si fanno certe esperienze, ma gli Africani conservano una visione “magica” della realtà. Ogni oggetto, simbolo e animale, assume un significato simbolico che trascende la forma, e che noi occidentali non percepiamo. Inoltre, anche il cristianesimo e l’Islam in quei luoghi si intrecciano con l’animismo, la religione degli avi, arricchendo la tradizione portata dai vecchi colonizzatori arabi ed europei. Ho così tanti ricordi e aneddoti incredibili, ed esperienze particolari che qualcuno potrebbe ritenerle inventate. Eppure, se si va a fondo, si scopre che l’Africa è l’esatto opposto di quello che pensiamo: un continente che non ha bisogno dei bianchi, dei cinesi o di altro, ma che può benissimo autoregolarsi da solo, e le cui dinamiche sociali, psicologiche e culturali sono per noi inafferrabili né comprensibili fino in fondo (e addirittura inaccettabili, come nel caso della poligamia).
Poi c’è la Geopolitica che complica il tutto, ma a questo io non mi interesso, dato che sono impotente di fronte a queste forze. Però se capissimo che per gli Africani il trascorrere del tempo è essenzialmente circolare e non lineare, e che tutto si fonda sull’importanza della tribù di appartenenza, capiremmo che l’dea di progresso inteso in senso occidentale, non può attecchire più di tanto, e che non è detto che sia necessariamente un male. E che semmai la loro corsa al futuro dipenderà dai loro connotati psichici e culturali che sono diversi dai nostri (e secondo me, più umani e in linea con la natura) Per quanto riguarda la soluzione al problema dell’immigrazione, il discorso è cosi lungo e complicato che non posso esprimerlo in queste righe.
6. Il fiume degli spiriti è il primo di una trilogia. Cosa dovremo aspettarci dai prossimi romanzi? Un nuovo tuffo nel vuoto di senso occidentale? Quali sono i romanzi che più ti sono piaciuti ultimamente?
Il prossimo romanzo, che uscirà in Primavera di quest’anno, parlerà di un ex militante storico del PDS romano che alla soglia dei 50 anni inizierà a porsi delle domande sulla realtà che lo circonda, e se l’dea di progresso per la quale ha combattuto sia effettivamente una idea vincente e benefica, alla luce di ciò che è divenuta l’Italia attuale. Intraprenderà un viaggio in Etiopia, che visiterà assieme ad una ragazza del posto, dove finirà per porsi dei quesiti sull’immigrazione, il razionalismo, la decadenza dell’Occidente, e se anche lui ne è stato responsabile. L’Etiopia verrà descritta in tutta la sua potenza e atmosfera tradizionale e arcaica, compresi i magici luoghi della Dancalia e di Axum. La ragazza che lo accompagnerà non sarà una ragazza normale, ma una vera donna che nasconde un segreto che nemmeno Marco, il protagonista romano, conoscerà.
Intervista a cura di Francesco Boco
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