di Fabio Calabrese
Con la vita delle persone non si deve scherzare. Perdere la fede, sia pure mal riposta, per ciascuno di noi può avere un impatto emotivo più o meno serio, ma se la persona di cui si tratta è un ecclesiastico, la cosa può avere anche ripercussioni gravi sul piano professionale. Recentemente ho saputo che un signore tedesco che abita a Roma e il cui lavoro ha appunto a che fare con il cristianesimo e la Chiesa cattolica, dopo aver letto i miei articoli su “Ereticamente”, ha deciso di abbandonare un incarico di prestigio e di ritirarsi in solitudine. Mi dispiace, Joseph, non pensavo di sconvolgerla fino a questo punto.
Per questi motivi, pensavo di non occuparmi più di religione, avendo già espresso con ampiezza la mia opinione su queste pagine, ma mi trovo veramente a essere tirato per la giacca da interventi in margine ai miei articoli e da scritti recenti, e allora ancora una volta torniamo a occuparci dell’argomento.
Fra tutti coloro che avanzano idee di una qualche specie, che trasformano fantasticherie provate da nulla in una convinzione fortissima (quello che si chiama “avere fede”), i più contraddittori sono quelli che sono chiamati molto impropriamente “tradizionalisti cattolici” (semmai, come ho spiegato altre volte, “cattolici tradizionalisti” sarebbe più giusto, e questa confusione fra il nome e l’attributo non è priva di conseguenze) e a cui forse converrebbe meglio il nome di “guelfi”. Poiché si ritiene che costoro siano in qualche modo contigui ai nostri ambienti – una contiguità che mi appare qualcosa di paradossale e inverosimile – sarà bene tornare ora a occuparcene.
In tutta franchezza, costoro mi danno l’impressione di essere (nutro il sospetto che siano) degli alieni provenienti da un altro pianeta con una storia del tutto diversa dalla nostra, dove il cristianesimo non è un’eresia ebraica dalle evidenti origini mediorientali, non-europee, dove esso non ha estinto le religioni native dell’Europa, provocato il crollo della cultura antica e la dissoluzione dell’impero romano, dove la Chiesa cattolica non ha, costituendo uno staterello nel centro della nostra Penisola e richiamando invasori e dominatori stranieri per farlo sopravvivere, regalato all’Italia quindici secoli di dominazioni straniere, di frammentazione politica, di servaggio, di vergogna, di umiliazione, dove essa non si è opposta con ogni mezzo al nostro risorgimento nazionale, dove il cattolicesimo non è, nell’ultimo mezzo secolo, rifluito prima verso il marxismo, l’ultima degenerazione abramitica, poi direttamente, verso le sue origini ebraiche, dove loro stessi sono una forza importante e non la striminzita minoranza emarginata da una Chiesa sempre più infiltrata di democrazia, marxismo e mondialismo che sono sul nostro pianeta.
Discutere con questi alieni sia pure attraverso il web, è un’impresa difficoltosa, si ha l’impressione non di parlare la stessa lingua, ma due lingue diverse, composte di vocaboli omofoni ma dai significati diversi. Tuttavia, per quanto l’impresa sia ardua, forse vale la pena di cercare di entrare nella mente dei guelfi, magari non proprio di scandagliarla, perché ho il sospetto che, con qualche rarissima eccezione – forse solo Maurizio Blondet – di profondità di pensiero ce ne sia poca.
Un tratto tipico di costoro è la FISSITA’ di pensiero: messi di fronte all’evidenza dell’errore, si rifiuteranno semplicemente di vederla. Facciamo un esempio che mi sembra molto chiaro. Tempo fa ho pubblicato su “Ereticamente” un articolo, “S-Polia-zione”in cui replicavo a un articolo di Mario Polia che esprime un concetto che mi sembra una specie di ricatto mafioso: “Dovete per forza accettare la NOSTRA tradizione, perché tutte le altre sono estinte, PERCHE’ NOI ABBIAMO ESTINTO tutte le altre”. Ecco cosa mi ha risposto un anonimo (anonimi o pseudonimi questi coraggiosi lo sono quasi sempre):
“Non esiste una tradizione pagana, e su questo punto si schiantano tutti i tradizionalisti neopagani”.
Esattamente il concetto espresso da Polia e che a me sembra di aver confutato, non un palmo più in là, eppure la mia risposta mi era sembrata chiarissima: quello che conta non sono i simboli, i riti e neppure una catena ininterrotta attraverso i secoli (se all’origine c’è la sovversione, un ebraismo eretico travestitosi da religione universale, il “carisma” che si trasmette attraverso i secoli, è il nulla). Quello che conta è una precisa sostanza umana: l’europeo è “naturalmente” pagano; o meglio il paganesimo non è altro che la sua anima profonda, la sua “naturale” percezione del sacro, e quel che occorre è semplicemente liberarsi delle sovrastrutture abramitiche: cristianesimo, democrazia, liberal-capitalismo, marxismo, questo a meno che la sostanza umana dell’Europa, CHE E’ QUEL CHE OCCORRE IN PRIMO LUOGO TUTELARE non sia sconvolta da immigrazione e meticciato etnico, sciagure a cui le Chiese cristiane guardano con favore.
Un altro di questi guelfi è il nostro vecchio amico Hns, del quale non vorrei parlare troppo male: ha bacchettato ferocemente i miei scritti in tema religioso, ma ha espresso apprezzamento per i miei articoli sulla pagliacciate americane e un quasi apprezzamento per quello sul CICAP e il cosiddetto libero pensiero. Fra le altre cose, ne approfitto per precisare che se nella prima risposta che avevo dato ai suoi commenti, avevo scritto la sigla con cui ha scelto di identificarsi come Hsn invece di Hns, non si trattava un sottile tentativo di ironizzare da parte mia, ma di un banale errore, errore dal quale si sarebbe certo premunito firmando una buona volta per esteso con il proprio nome e cognome (ma dico, ci vuole tanto coraggio?).
Anche in questo caso, il discorso è esattamente lo stesso. In “Libero pensiero o pensiero libero” scrivevo:
“Il soggettivismo morale abramitico (quindi anche laico-liberal-democratico-marxista) non può essere altro che la classica “fuga in avanti” che porta inevitabilmente a sbattere la faccia per terra”.
Hns mi ha replicato:
“Contro il soggettivismo morale niente si staglia oggi come la Chiesa di Roma, erede dell’antidemocratico “Io sono Via, Verità e Vita”.
Eppure, uno dei leitmotiv dell’articolo era proprio il fatto che il creatore del soggettivismo morale di cui laicismo, liberalismo, democrazia e marxismo (di fatto impensabili fuori da un contesto ab origine cristiano) sono gli eredi, è stato proprio il cristianesimo cui va ricondotta la responsabilità della rottura dell’imprescindibile legame fra ethos ed ethnos. Poco più sopra riportavo le parole di Massimo Cacciari:
“Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la “dimora”, l’abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno “etico” per sua scelta o volontà. Egli apparteneva a un ethos. A una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere”.
Cacciari non è abbastanza autorevole? Allora, leggiamo direttamente il vangelo:
“Non pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra, non sono venuto a portare la pace ma la spada.
Io sono venuto a mettere l’uomo contro suo padre, la figlia contro la madre, la nuora contro la suocera.
Chiunque ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me, Chiunque ama suo figlio o sua figlia più di me, non è degno di me”.
Matteo 10:34-37.
Né più né meno che la scissione fra ethos ed ethnos, il veleno che ha dissolto la civiltà antica e la cui forza corrosiva è ancora all’opera, passato nei movimenti sovversivi democratici e marxisti, degni figli del cristianesimo.
Più sotto, Hns aggiunge:
“E poi non mitizziamo i valori dell’appartenenza; essi si rifanno a leggi biologiche: appartenere, crescere, diffondersi…sempre uguali ovunque”.
Poche parole che sono uno spaccato della mentalità abramitica e ne mettono in luce il nucleo più riconoscibile: la frattura fra l’aspetto spirituale e quello naturale-biologico dell’uomo e dell’intera realtà. In questa (deformata) prospettiva, la nostra scelta in difesa dell’identità etnica non può apparire altro che “razzismo” o “materialismo biologico”. Io ho la sensazione che i cristiani profondamente compenetrati di questa mentalità, non solo non possano essere realmente fascisti, ma, al pari di democratici e marxisti, cosa sia il fascismo, non possano nemmeno capirlo. Questa abramitica scissione è un falso: l’uomo è UNO, la realtà è UNA: l’ethnos è l’esteriorizzazione di una realtà spirituale, così come l’ethos, lo spirito è l’interiorizzazione di una realtà naturale: continuità biologica, storia, cultura, spirito, interiorità, non possono essere realmente separati che in astratto.
Maurizio Blondet è una figura di parecchie spanne al di sopra dei vari Morganti, Polia, don Nitoglia e via dicendo. Noi lo conosciamo innanzi tutto per lo splendido lavoro di giornalismo investigativo sull’11 settembre “Auto-attentato in USA” che gli costò il licenziamento dalla redazione dell’ “Avvenire”. Nella libera democrazia in cui viviamo, infatti, si possono esprimere tutte le idee e indagare tutte le verità che vogliamo PURCHE’ GRADITE AL POTERE. C’è anche da rimarcare il fatto che “L’avvenire” è il quotidiano della CEI, e già il licenziamento di Blondet colpevole di essere l’autore di un lavoro giornalistico che ha messo in crisi la versione ufficiale sulle Twin Towers dimostra che la Chiesa cattolica è oggi profondamente immanicata al potere mondialista e dovrebbe essere sufficiente a spazzare via le illusioni di quanti, come il nostro Hns, vi vedono un baluardo contro di esso.
In un mio articolo che a suo tempo provocò perplessità negli stessi redattori di “Ereticamente”, “Fuori dal cristianesimo”, menzionavo Blondet accanto ad alcuni grandi della letteratura italiana e mondiale: Dante, Manzoni, John R. R. Tolkien, come esempio di un pensiero che tende a uscire “fuori dal cristianesimo”, naturalmente, sia chiaro, a prescindere dai meriti letterari, piano su cui Blondet non può certamente essere accostato agli altri tre. Ora, per chiarirci, il mio intendimento non era quello di arruolare a forza nessuno dei quattro nelle fila del neo-paganesimo, ma solamente di mostrare che quando un cristiano è un uomo intelligente e riflette con una certa profondità sui presupposti della sua fede, inevitabilmente si accorge che i fondamenti della dottrina del “Discorso della Montagna” gli vanno stretti.
Riguardo a Blondet facevo l’esempio di due suoi articoli apparsi sul suo sito EffeDiEffe: uno del 2007 in cui, parlando delle donne iraniane, di questo popolo di antica e gloriosa origine indoeuropea che ha subito la disgrazia dell’islamizzazione, illustrava come queste ultime riescano ad aggirare i divieti imposti da questa religione all’esibizione del corpo, cosa che non fanno, né conviene loro fare, le molto meno avvenenti donne arabe e magrebine. Non solo l’avvenenza fisica, ma la “religione del corpo”, espressione di una differente “razza dell’anima” distingue a colpo d’occhio l’indoeuropeo dal semita. Come simili concetti possano convivere con una Weltanschauung cristiana, forse lo sa Blondet, ma probabilmente nemmeno lui.
L’altro – ancora più interessante – del 2010, è una dichiarazione di imbarazzo per il contenuto dell’Antico Testamento. Per i cristiani, entrambe le parti della bibbia dovrebbero essere ugualmente sacre e indiscutibili in quanto “parola di Dio”, tuttavia chi ha un minimo di sensibilità non può non trovare che il “Dio degli eserciti” veterotestamentario si presta molto poco a essere il Dio universale “padre di tutte le genti”, un Dio che dimostra e impone il più sfacciato e brutale sciovinismo etnico, che impone al sedicente popolo eletto lo sterminio dei vicini, che sembra compiacersi della sofferenza e del sangue. Blondet arriva a definire almeno questo aspetto dell’Antico Testamento “un residuo dell’Età del Ferro”, la persistenza di una mentalità tribale, preistorica.
A queste considerazioni non vi sarebbe nulla da aggiungere tranne il fatto che a mio parere, è proprio questo aspetto rozzo, sciovinista, violento, tribale del “libro sacro” che spiega la persistenza dell’ossessione biblica presso gli yankee che, per malasorte dell’umanità, sono oggi la potenza dominante di questo pianeta, ma a dispetto della loro potenza tecnologica, sono e rimangono una tribù di trogloditi rozzi, violenti, culturalmente deprivati e al riguardo non posso che rimandarvi alla lettura del mio articolo “Lugubri pagliacci” sul sito del Centro Studi La Runa e ai due, “Pagliacci lugubri e sanguinari” e “Pagliacciate sempre più lugubri” che ho pubblicato su “Ereticamente”.
Recentemente Blondet in un articolo sempre su EffeDiEffe, ha cercato di risolvere in maniera, bisogna riconoscerlo ingegnosa, la contraddizione contro cui “si schiantano” (per usare la terminologia dell’anonimo difensore di Polia) i cattolici tradizionalisti o guelfi che dir si voglia: il fatto ineludibile che la Chiesa “di Roma” ha le sue fondamenta nell’eresia ebraica e nella sovversione anti-romana.
In q
uesto suo tentativo di quadratura del cerchio, Blondet prende le mosse proprio da quella famosa intervista concessagli da Massimo Cacciari e da lui riportata nel libro “Gli adelphi della dissoluzione” che io ho più volte citato. Come ho precisato in “Un documento controverso”, il riconoscimento degli effetti dissolutori del cristianesimo sull’ethos e la cultura antichi, non deve farci pensare che Cacciari e Blondet non siano i cattolici che dichiarano di essere, questi effetti, infatti, appaiono come un “danno collaterale” all’interno di un piano globalmente salvifico. E’ proprio questo che a mio avviso rende quest’intervista un documento straordinario: il riconoscimento dell’effetto nefasto che il cristianesimo ha avuto sulla cultura e sulla storia europee non per bocca di un Nietzsche o di un Evola, ma DA PARTE CATTOLICA.
uesto suo tentativo di quadratura del cerchio, Blondet prende le mosse proprio da quella famosa intervista concessagli da Massimo Cacciari e da lui riportata nel libro “Gli adelphi della dissoluzione” che io ho più volte citato. Come ho precisato in “Un documento controverso”, il riconoscimento degli effetti dissolutori del cristianesimo sull’ethos e la cultura antichi, non deve farci pensare che Cacciari e Blondet non siano i cattolici che dichiarano di essere, questi effetti, infatti, appaiono come un “danno collaterale” all’interno di un piano globalmente salvifico. E’ proprio questo che a mio avviso rende quest’intervista un documento straordinario: il riconoscimento dell’effetto nefasto che il cristianesimo ha avuto sulla cultura e sulla storia europee non per bocca di un Nietzsche o di un Evola, ma DA PARTE CATTOLICA.
Quest’intervista è piuttosto lunga, e naturalmente io ho considerato le parti che interessavano dal nostro punto di vista. Un punto che io non ho menzionato, Cacciari e Blondet discutono di uno dei concetti più criptici della teologia cristiana, il concetto di KATECHON. E’ una parola greca che significa “colui” o “ciò” che trattiene. Tutto parte dalla seconda lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, la prospettiva paolina è quella tipica millenaristica: verrà il Maligno e scatenerà la sua furia sulla Terra, il Secondo Avvento, la battaglia finale tra il Bene e il Male e il regno di Dio, ma per ora “qualcosa” o “qualcuno”, questo enigmatico “Katechon” trattiene il demonio dallo scatenarsi e blocca l’epilogo della vicenda storica.
Sul reale significato del Katechon, teologi e filosofi di matrice cristiana si sono variamente interrogati nel corso dei secoli, buon ultimo Massimo Cacciari che, ci informa Blondet, recentemente ha scritto un saggio, “Il potere che frena”. Esso è, a quanto pare, una forza non religiosa, e Blondet ci riferisce l’opinione nientemeno che di Tommaso d’Aquino:
“Per Tommaso d’Aquino, il katechon è il “Romanum Imperium”, e per estensione analogica ogni Stato che rispetti il diritto romano, ossia il diritto naturale “.
Siamo, lo si capisce bene, su di un terreno molto scivoloso, perché se, in questa concezione lo stato di diritto ritarderebbe l’apocalisse, procrastinerebbe del pari l’avvento del “regno di Dio”; da qui tutto un filone di cristianesimo anarchico, di cui Lev Tolstoj è stato forse l’esponente più noto.
Si, ma questo come si concilia con il fatto che l’impero romano ha perseguitato il cristianesimo? Nella realtà dei fatti, sappiamo che le cose non sono andate proprio così: gli storici, sempre dalla parte del vincitore, enfatizzano le persecuzioni subite dai cristiani e in buona parte giustificate dall’atteggiamento anti-romano e i collegamenti fra i seguaci del Discorso della Montagna e il messianismo insurrezionale giudaico, mentre ignorano alla grande quelle messe in atto dai cristiani stessi, una scia lunga e sanguinosa che si protrasse per cinque secoli, per estirpare l’antica religione e l’antica cultura, e di cui oggi non sapremmo niente se non fosse per le ricerche di storici indipendenti come Vlasis Rasias. A ogni modo non vi è dubbio che mondo romano e cristianesimo entrarono duramente in collisione. E allora come se ne esce, come ne escono i “nostri” guelfi?
Blondet lo fa con un “coup de theatre” davvero ingegnoso. All’interno del mondo romano vi sarebbe stata una lotta fra due fazioni e due concezioni dello stato radicalmente opposte, la prima tesa a preservare lo stato di diritto di origine repubblicana, la seconda animata dal proposito di stravolgere la romanità e trasformare l’impero in una tirannide di tipo orientale: la prima avrebbe visto nel cristianesimo un alleato naturale tanto quanto l’altra avrebbe spinto per la persecuzione:
“Il gruppo tiberiano – sostanzialmente nutrito di filosofia stoica – voleva restaurare le virtù romane tradizionali: “pietas”, verecundia”, frugalità, spirito civico e abnegazione, e farle servire da solida base all’impero; ovviamente, vedeva che era un tentativo quasi disperato, data la corruzione dilagante dei costumi, gli scandali e i lussi che avevano rammollito e corrotto la tempra della classe dominante, e non da ultimo a causa dei riti orgiastici, dionisiaci, isiaci o cibelici ed altre superstitiones externae”, a cui le grandi dame si abbandonavano.
Questi uomini di Stato restauratori videro probabilmente nel cristianesimo una setta «orientale» che però, fatto interessante, predicava ed ordinava castità e frugalità, laboriosità, onestà, rispetto all’autorità; quei giudei pacifici sembrarono loro, probabilmente, molto simili a degli stoici”.
Non, quindi, una contrapposizione frontale fra Roma e Giudea, ma una quadripartizione, con una romanità dal doppio volto, positivo e negativo, e una giudaicità altrettanto duplice, dove l’elemento p
ositivo è ovviamente il cristianesimo, e quello negativo l’ebraismo classico, infatti:
ositivo è ovviamente il cristianesimo, e quello negativo l’ebraismo classico, infatti:
“L’ebraismo si conferma come l’anti-Katechon per essenza, ossia la forza dissolutrice in essenza”.
Ingegnoso, non c’è che dire, ma non regge.
Nessuno pretende che la romanità sia stata un blocco unico esente da contraddizioni, ma qui vediamo che la romanità “buona” e la romanità “cattiva” si scambiano continuamente di posto: sotto Tiberio è l’autorità imperiale a rappresentare la tradizione romana e lo stato di diritto, mentre il senato, perverso fautore di orientaleggianti novità, dichiara il cristianesimo “religio illicita”. Non passano molti anni e sotto Nerone le parti sono invertite: l’imperatore vuole ora diventare il despota in stile orientale e si scontra con il senato custode delle tradizioni e del diritto romano. Infine, al termine di una lotta secolare, sono i cristiani a vincere la partita, ma con la vittoria del cristianesimo, non si assiste affatto alla restaurazione delle tradizioni romane e dello stato di diritto (forse) fantasticata dal gruppo tiberiano, bensì al completo trionfo del dispotismo orientale con Costantino.
Ma le contraddizioni e le inverosimiglianze più grosse riguardano l’altra polarità, quella giudaico-cristiana. Questi cristiani erano davvero così pacifici, virtuosi e rispettosi dell’autorità?
Chiariamo un fatto importante: la storia del cristianesimo dalle origini fino all’affermazione costantiniana e al concilio di Nicea, dunque i primi tre secoli, è un BUCO NERO dove in assenza di testimonianze attendibili si può immaginare quello che si vuole, ed è questa la ragione per cui “il cristianesimo delle origini” si è presentato a tante mitizzazioni. A parte pochissimi accenni degli autori classici, fra cui quello a lungo ritenuto il più importante, il TESTIMONIUM FLAVIANUM attribuito a Giuseppe Flavio è quasi certamente un falso, un’interpolazione posteriore, tutto quello che abbiamo sono gli scritti neotestamentari, certamente oggetto di imponenti alterazioni e manipolazioni prima che la loro forma “canonica” fosse definitivamente fissata a Nicea.
L’unico metodo che può consentire di arrivare a una verità attendibile, è quello che Giancarlo Tranfo ha chiamato dei “residui testuali”. Ossia, noi abbiamo motivo di ritenere che fra il tempo in cui le vicende evangeliche sono avvenute e il concilio di Nicea, la narrazione di questi eventi sia stata oggetto di numerose interpolazioni e manipolazioni, ma i “santi falsari” non sono stati troppo abili né troppo accurati. Quando noi troviamo nella narrazione evangelica eventi, circostanze, particolari che contrastano con la versione ufficiale formulata a Nicea, abbiamo motivo di ritenere di aver rinvenuto un frammento rimasto inalterato, un residuo, appunto, della testimonianza originale.
Un esempio? Le parole pronunciate da Gesù prima dell’episodio del Getsemani culminato nel suo arresto:
“Ed egli [Gesù] soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una”.
Domanda imbarazzante: a cosa servivano le spade a un gruppo di miti e pacifici predicatori? A questa seguono altre domande imbarazzanti. E’ un caso che l’orto del Getsemani si trovasse proprio nei pressi della Torre Antonia, la fortificazione militare usata dai Romani per il controllo di Gerusalemme? Come mai per arrestare i miti predicatori di cui sopra è occorsa un’intera coorte? Alla luce di questi interrogativi ne sorgono altri ancora: come dobbiamo interpretare l’episodio della domenica delle palme, che sembra proprio l’accoglienza del popolino a un liberatore politico? E il “titulus” con la scritta “re dei giudei” che sarebbe stata apposta sulla croce? Poco per volta, comprendiamo l’episodio del Getsemani per quello che con ogni probabilità è realmente stato: un tentativo di insurrezione anti-romano il cui fallimento ha portato Gesù alla crocifissione, pena che i Romani riservavano agli schiavi e – appunto – ai ribelli.
Miti predicatori simili agli stoici, leali verso l’autorità romana? Non sembrerebbe proprio! I lavori di “cristologi” indipendenti come Luca Cascioli, David Donnini, Giancarlo Tranfo lasciano pochi dubbi in proposito. Ab origine il cristianesimo è stato un movimento fortemente connesso al messianismo insurrezionale ebraico anti-romano, e solo dopo la guerra giudaica del 66-70, il disastro della ribellione ebraica contro Roma, si trasformò nella proclamazione di un regno “non di questo mondo”, trasformò l’obiettivo della liberazione della Palestina dal domino romano in quello mistico della “redenzione di tutti gli uomini”.
Ma quel che a mio parere taglia definitivamente le gambe ai guelfi, la riprova dell’incompatibilità tra cristiane
simo e romanità, è data dal fatto che fu il cristianesimo nella persona dell’imperatore rinnegato Costantino a estinguere l’impero romano. Non pensiamo che la caduta di Roma sia avvenuta nel 476. A quella data, il generale barbaro Odoacre e i suoi mercenari tolsero semplicemente di mezzo un cadavere.
simo e romanità, è data dal fatto che fu il cristianesimo nella persona dell’imperatore rinnegato Costantino a estinguere l’impero romano. Non pensiamo che la caduta di Roma sia avvenuta nel 476. A quella data, il generale barbaro Odoacre e i suoi mercenari tolsero semplicemente di mezzo un cadavere.
Il dispotismo a base sacrale era stata la forma di governo predominante nei regni ellenistici, ma in Oriente aveva radici profonde e origini molto più antiche, era nato – possiamo dire – all’ombra delle piramidi e delle ziggurat, ma la sua imposizione in Occidente si era rivelata quasi impossibile trovando un limite insuperabile nell’individualismo e nell’amore per la libertà del’homo europeus come il romano era, con la sua insopprimibile ambizione di essere un “civis” e non uno schiavo. Dopo Ponte Milvio, Costantino si dedicò a edificare una tirannide sacrale basata sul cristianesimo nella parte orientale dell’impero, una realtà che già da quel momento si può cominciare a chiamare bizantina, trasportando il centro nevralgico di essa a Bisanzio che divenne Costantinopoli, “la città di Costantino”, mentre l’Occidente rimaneva una specie di terra di nessuno, buona solo per succhiare risorse con un’esasperata fiscalità, un vuoto politico dove il vescovo di Roma ebbe agio di fabbricarsi un potere temporale e inventarsi di essere il “successore di Pietro” e il capo della cristianità, e sappiamo quali sciagure ciò è costato alla nostra sventurata nazione.
Alla fine, questo guelfismo o “tradizionalismo cattolico” è un tentativo di conciliare l’inconciliabile, e la scelta che ci si presenta è molto chiara, semplice, netta: o abbracciare il cristianesimo e le sue moderne filiazioni: democrazia, liberal-capitalismo, marxismo, o seguire la via indicataci dai nostri antenati romani.
12 Comments