In un qualsiasi manuale di filosofia di Liceo Nietzsche viene presentato come il distruttore delle certezze, come colui che annuncia la morte di Dio, come il nichilista perfetto che nega qualsiasi verità che non sia fondata sulla superomistica volontà di potenza. Zarathustra è uno scettico radicale. Nietzsche, perciò, dovrebbe essere considerato, a rigore, un filosofo antimetafisico per eccellenza.
Eppure Martin Heidegger, nel suo monumentale libro “Nietzsche”, lo definisce come l’ultimo metafisico, in quanto la sua filosofia non è una semplice metafisica, ma l’ultima metafisica. E poiché per Heidegger filosofia e storia sono la stessa cosa, la filosofia di Nietzsche rappresenta il compimento della storia dell’esserci umano e dell’Essere, in quanto la metafisica è lo studio pensato dell’Essere nel suo rapporto di coappartenenza con l’esserci. Nel libro secondo della sua opera, e precisamente nei due capitoli intitolati “La metafisica di Nietzsche” e “La determinazione del nichilismo”, Heidegger spiega con chiarezza il perché Nietzsche, proprio perché nichilista, è l’ultimo metafisico.
Prima però di continuare l’analisi del tema proposto, è necessario stabilire che cosa s’intende per metafisica. Nella tradizione filosofica la metafisica è, come scriveva Aristotele, la filosofia prima. In estrema sintesi è la scienza del vero che studia l’Essere in quanto Essere, le cause e i principi primi. Quindi proprio per questo la metafisica studia pure Dio, diventando perciò una onto-teologia. Tuttavia per Heidegger la metafisica occidentale, a partire da Platone, per arrivare sino a Nietzsche, è stata soltanto una fisica, poichè v’è stato un profondo fraintendimento fra Essere ed ente, col risultato di scambiare l’ente (il molteplice, i singoli oggetti fisici, tra cui l’uomo) con l’Essere, che, in quanto tale, è ineffabile ed inafferrabile, poiché è il principio che permette la
“… non è nemmeno una persona che a un certo punto si annunci e compaia da qualche parte. E’ in quanto soggetto della soggettività compiuta, il puro attuarsi della volontà di potenza… il superuomo vive in quanto la nuova umanità vuole che l’Essere dell’ente sia la volontà di potenza” (5).
La volontà di potenza è l’essenza stessa di un “Essere” inteso come immanente vita dionisiaca, come esistenza finita, in cui viene esclusa ogni trascendenza. Il senso della vita diventa la vita stessa. Qui sta, secondo Heidegger, l’errore fondamentale del pensare nicciano: il credere che la volontà di potenza, pur inserita nel dionisiaco eterno ritorno dell’Uguale, sia l’essenza, il ciò che è permanente nella natura stessa. Lo stesso Evola riconobbe questo errore poiché, in realtà, la volontà di potenza non è altro che una delle possibili determinazioni dell’Essere. L’Essere, si è detto, è ineffabile come principio, e le sue determinazioni possono essere il pensiero, il tempo, il sentimento, la volontà e così via. Risulta qui chiaro che l’influenza schopenhaueriana, espressa col concetto-base della “volontà di vivere” intesa come noumeno, sia decisiva per Nietzsche, sebbene egli specifichi la genericità di tale concetto rivedendolo con quello di volontà di potenza, che di per sé implica l’atto, cioè una finalità che il superuomo pone e si pone. Evola, in verità, a differenza di Heidegger, ammetteva che nella via del superuomo disegnata da Nietzsche ci sono tratti positivi, come il principio di non obbedire alle passioni, l’indifferenza verso la felicità e quindi il rifiuto dell’edonismo moderno, l’arrogarsi il diritto ad atti eccezionali, l’essere duri di fronte la vita, e così via. Il superuomo, diceva Evola, può quindi prefigurare, sia pure inconsapevolmente, la dimensione della trascendenza, e perciò, diciamo noi, ad un ristabilimento della differenza ontologica fra Essere ed esserci (6).
Resta il fatto che se l’Essere viene determinato come valore, cioè come volontà di potenza, esso viene spiegato come ente in quanto tale e non come Essere. “Per il rappresentare, che nel pensare per valori guarda alla validità, l’Essere rimane, già riguardo alla problematicità dell’ “in quanto Essere”, fuori campo. Dell’Essere in quanto tale non ne “è” niente: l’Essere – un nihil” (7). Qui si rileva l’essenza del nichilismo nella sua interezza.
Indubbiamente Nietzsche nelle sue opere si palesa come un genio della preveggenza che lo fa essere un profeta vero e proprio, nel senso etimologico ebraico, cioè di una persona che “prevede prima degli altri” quello che sarà il futuro. E in effetti, la morte di Dio con il conseguente ateismo di massa e l’affermarsi di un nichilismo perfetto, quantunque passivo, sono gli eventi “spirituali” che raffigurano il nostro tempo. Egli è, inoltre, l’annunciatore, non tanto del superuomo artista e creatore che egli bramava essere e che sperava nascesse almeno in alcuni uomini, ma dell’ultimo uomo, anonimo, consumista e gaudente che non crede più a nulla. Tuttavia oggi si tratta di superare Nietzsche e quindi il suo nichilismo.
Bisogna cioè ripensare completamente ad una nuova metafisica per riedificare un rapporto con l’Essere. Il nichilismo ci sta portando al delirio e alla perdita di ogni senso. Inutile descrivere ciò che sta accadendo. La ricostruzione di una epistème, cioè di un saldo ancoraggio verso l’Essere, è necessaria. Ciò significa far rinascere il sentimento del sacro verso la natura, il senso della comunità e il pensiero dell’equilibrio armonico. E’ uno sforzo titanico, forse inutile, che spetta agli uomini venturi affrontare.
NOTE:
1) Si veda il nostro articolo apparso su “Ereticamente” dal titolo “Sull’oblio dell’Essere”.
2) M.HEIDEGGER, Sull’essenza della verità, sta in “Segnavia”, ed. Adelphi, Milano 1987, p. 151.
3) F.NIETZSCHE, La volontà di potenza, ed. Bompiani, Milano 1994. P.376.
4) M.HEIDEGGER, Nietzsche, ed. Adelphi, Milano 1994, p. 824.
5) IDEM, op. cit., pp.783-784.
6) J.EVOLA, Cavalcare la tigre, ed. Scheiwiller, Milano 1971, pp. 50-53.
7) M.HEIDEGGER, op. cit., p.812.
FLORES TOVO
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