Io penso che ricorderete che lo scorso autunno qui a Trieste abbiamo avuto un incontro organizzato dall’associazione “Humanitas” con Anna K. Valerio attuale direttrice delle edizioni di AR per la presentazione del libro Pensieri antimoderni di Nicolas Gomez Davila. Io non ve ne ho parlato perché altri lo hanno fatto prima di me sulle pagine di “Ereticamente”.
In quella circostanza ebbi una piccola discussione con la Valerio circa l’uso del termine “nazista”, da lei, così come da Freda, preferito a “nazionalsocialista”. Si tratta di un termine di cui io sconsiglio l’uso perché è un nomignolo più che un’abbreviazione, che ha assunto delle connotazioni fortemente denigratorie. Al riguardo, la Valerio, ricalcando in questo l’atteggiamento di Franco Freda, manifestò un’opinione esattamente contraria alla mia.
Tuttavia, riflettendoci, il contenuto di tale scelta mi sembra chiaro: un certo fastidio per la parola “socialismo” che appare agli occhi di Freda e della Valerio come “troppo plebea”.
E’ un atteggiamento che onestamente non condivido. Soprattutto oggi che le sinistre hanno del tutto “smarcato” cioè tradito le classi lavoratrici mettendosi al servizio del capitalismo mondialista per realizzare un sogno cosmopolita che si tradurrà fatalmente nell’incubo di un’umanità multietnica senza patria e senza identità che fornirà i ranghi dei futuri schiavi al servizio del capitale apolide, e favoriscono l’immigrazione nell’illusione di costruirsi con essa un “proletariato alternativo” che le sostenga al potere per l’eternità (che è l’unica cosa che interessa loro davvero), sarebbe importante in opposizione assoluta a tutto ciò, riscoprire la nostra idea di socialismo e prima ancora di socialità come Volksgemeinschaft, come appartenenza alla comunità nazionale, sangue e suolo, dove non ci possono essere figli e figliastri, privilegiati e derelitti, e lo stato non sia il comitato d’affari dei banchieri, ma possa subordinare l’economia alle finalità della nazione; anche perché le prime a essere colpite dal disastro dell’immigrazione sono proprio le classi lavoratrici, il cui potere contrattuale sul mercato del lavoro è automaticamente deprezzato dall’immissione di tante braccia non qualificate. L’immigrazione va di pari passo con l’atrofia dello stato sociale.
In più, bisogna dire che oggi abbiamo più che mai l’esigenza di chiudere i conti col destrismo, col liberalismo, con l’atlantismo, con tutte quelle posizioni assolutamente non “nostre” sulle quali la Guerra Fredda e l’esigenza della lotta al comunismo ci avevano costretti ad appiattirci.
Tuttavia, non si tratta certo di un semplice opportunismo tattico. Su ciò che noi siamo, possiamo o dovremmo essere, naturalmente sono possibili diverse interpretazioni, ma quella che dovrebbe in ultima analisi avere la prevalenza su tutto il resto, è l’INTERPRETAZIONE AUTENTICA del fondatore del nostro movimento.
C’è un brano davvero memorabile di Benito Mussolini, che purtroppo non ho sottomano e sono costretto a citare a memoria, ma in modo aderente – credo – al suo significato, nel quale egli spiega che la grande novità rivoluzionaria del XX secolo è stata l’irruzione delle masse popolari, del popolo lavoratore sulla scena storica, irruzione che fu concretizzata in particolare sui campi di battaglia della prima guerra mondiale. Rispetto a ciò, il fascismo non poteva e non doveva rappresentare un passo indietro, e concludeva con la celebre frase “Joseph De Maistre non fa parte del nostro albero genealogico”.
Né De Maistre, evidentemente, né gli altri esponenti del pensiero conservatore.
Sbaglieremmo se considerassimo l’idea del socialismo nazionale un semplice adattamento alle finalità “nostre” dell’idea socialista. Al contrario, è il “nostro” socialismo l’idea primaria, e il “socialismo” marxista una degenerazione.
Molto prima di Marx, J. G. Fichte aveva elaborato l’idea dello stato organico eretto intorno a una comunità stretta da vincoli di sangue e dove, proprio perché si tratta di un legame di tipo naturale e non formale, contrattualistico, non è ammissibile che ci siano eccessive differenze di ricchezza.
Ben s’intende che Freda e Anna K. Valerio si collocano in una “destra” aristocratica alla stessa maniera di Julius Evola, che ha ben poco o nulla a che fare con ciò che comunemente s’intende per destra. Sono posizioni che si possono non condividere interamente, ma senza per questo assumere quella distanza che occorre invece nei confronti della destra liberale, liberista, conservatrice, atlantista, massonica e/o cattolica.
Generalmente nei nostri ambienti, nei confronti di Julius Evola si notano atteggiamenti di soggezione adorante, o di rancore che sembra quello di innamorati delusi. Sembra impossibile che lo si valuti semplicemente come un pensatore importante, non il solo, del nostro ambiente, che non va considerato Dio in terra né buttato alle ortiche.
Evola stesso non ci ha reso le cose più facili; uno dei suoi libri ad esempio si intitola Il fascismo dal punto di vista della destra (Visto da destra nelle edizioni più recenti, sembra che la brevità dei titoli sia diventata una specie di obbligo). Forse avremmo gradito di più che qualcuno ci spiegasse la destra dal punto di vista del fascismo.
Naturalmente, noi capiamo bene che quando Evola usa il temine “destra”, ciò che intende non è affatto la destra parlamentare, liberista, codina, conservatrice, atlantista, massonica o cattolica, e che il termine è assunto in un significato più ampio ma meno appropriato di antimodernità.
Nello stesso tempo però, dicendo che “destra” e “sinistra” non ci riguardano perché si tratta di concetti della terminologia parlamentare e noi siamo contro il parlamentarismo, semplifichiamo un po’ troppo le cose, perché certamente qui abbiamo a che fare con un uso esteso dei termini destra e sinistra che trascende il parlamentarismo, potremmo vederli come sinonimi impropri di tradizione e progressismo.
A qualcuno potrebbe sembrare un paradosso, ma quel pensiero aristocratico di cui Julius Evola e mutatis mutandis, Freda, ci hanno dato un esempio, è molto più vicino alle posizioni del socialismo nazionale di quel che sembrerebbe a prima vista, mentre non ha nulla a che fare con la destra conservatrice e parlamentare.
Un buon esempio di trait d’union o forse di sintesi fra le due cose, è rappresentato dalla figura di Ernst Juenger. L’autore de L’operaio, che fu vicino alle posizioni dei nazionalbolscevichi, è animato da una visione di socialismo aristocratico “prussiano” che ha il suo centro nel rifiuto della democrazia. Quest’ultima nasce dalla rivoluzione francese che non fa altro che prolungare uno spirito antigermanico nato con la controriforma cattolica, ed è l’esaltazione di tutto ciò che è antitedesco, borghese, mercantile, che ha aggredito e umiliato la Germania con la Grande Guerra (Juenger scriveva tra i due conflitti mondiali). Contro di essa, nella visione di un “socialismo militare” egli fa appello da un lato alla tradizione aristocratica ed eroica, dall’altro all’anima profonda, popolare dei Tedeschi.
Su un punto Juenger aveva torto. La riforma protestante è stata probabilmente esiziale per lo spirito e l’ordine tradizionale dell’Europa assai più della controriforma cattolica.
E’ ovvio che per quanto riguarda Evola, Freda, la Valerio e a maggior ragione Ernst Juenger, il termine “destra” è del tutto improprio. Bisognerebbe semplicemente smettere di usarlo.
Un fatto recente mi ha permesso di toccare con mano tutto l’abisso di mentalità che c’è tra “la destra” e noi. Ero andato su di un gruppo facebook dove ho trovato un lungo post, un vero e proprio articolo che magnificava la “potenza ancestrale” (sic!) del tricolore nazionale, una sparata retorica che non mi è sembrata per nulla condivisibile, considerando le origini della nostra bandiera ricalcata sul modello giacobino della Francia rivoluzionaria. Mi sono permesso di commentare che per riscattare il tricolore dalle sue origini giacobine, non c’è nulla di meglio di una bella aquila romana con il fascio littorio fra gli artigli.
APRITI CIELO! La risposta è consistita in una salva di improperi contro la RSI e il suoi combattenti, accusati di essere “traditori della patria” per essersi rifiutati di ubbidire agli ordini di un re traditore e disertore che, abbandonando il suo posto, era andato a consegnarsi al nemico, e aver continuato a difendere la loro terra e la loro gente dall’invasore.
Quello a cui si attaccano questi “destri” non è altro che un vuoto formalismo, perché è evidente che l’8-9 settembre 1943 ha gettato una macchia indelebile sull’onore della nazione italiana, e gli alleati che pure beneficiarono ampiamente del tradimento di casa Savoia, furono i primi a dimostrare nei confronti dei nuovi “cobelligeranti” il più ampio disprezzo, un disprezzo che si manifestò ad esempio con il più tragico dei dileggi. La ricostituita aeronautica “del sud”, ad esempio fu impiegata nei Balcani in appoggio ai partigiani di Tito. I nostri aviatori non lo sapevano, ma i comandi alleati lo sapevano benissimo, di aiutare le bande slave comuniste nel massacro della nostra gente.
Ne è una tragica riprova il destino di coloro che avevano “ubbidito agli ordini del re” in buona fede, e dovettero presto rendersi conto del clima di disprezzo degli alleati per il governo fantoccio instaurato a Brindisi. Ricordiamo il suicidio dell’eroe comandante sommergibilista Carlo Fecia di Cossato, e la morte dell’asso degli aerosiluranti Carlo Emanuele Buscaglia che si schiantò con un bimotore rubato nel tentativo di raggiungere il nord.
Noi possiamo capire che quando Giorgio Almirante varò l’operazione “destra nazionale” assieme ai monarchici, raggiunse probabilmente il punto di massimo allontanamento dalle nostre idee e diede il via alla dissoluzione politica della nostra “area” portata poi a compimento da Gianfranco Fini.
Questo formalismo è probabilmente lo stigma più evidente della mentalità “di destra”, una mentalità chiusa, tetragona ai cambiamenti, il non rendersi conto o il non voler rendersi conto che i tempi cambiano, e occorrono di volta in volta risposte adeguate alle circostanze, che è tutt’altra cosa dal tener fede agli ideali e ai principi che non mutano col tempo.
Ne è un chiaro esempio ancora oggi il fatto che fra “i destri” si contano ancora ferventi atlantisti e ammiratori degli USA, sebbene la minaccia sovietica, teorica giustificazione dell’esistenza della NATO, si sia dissolta da un quarto di secolo. Il pericolo islamico non costituisce una giustificazione per questa “alleanza” che è in realtà un sistema di vassallaggio imposto agli stati europei: non scordiamoci che l’offensiva islamica contro l’Europa è cominciata con l’aggressione congiunta NATO-islamica alla Serbia nella crisi della ex Jugoslavia, e che il grande finanziatore dell’islamizzazione dell’Europa è l’Arabia Saudita, da sempre buona amica e socia in affari degli USA.
Oltre a ciò, ci possono essere pochi dubbi sul fatto che è proprio d’oltre Atlantico che oggi ci arriva il veleno “culturale” più corrosivo che distrugge la cultura e le tradizioni europee. E vi rimando una volta di più alla lettura di quello stupendo saggio sull’argomento, che è “L’incolmabile fossato” di Sergio Gozzoli.
Oggi “destra”, così come “ubbidire agli ordini del re” nel 1943, significa non rendesi conto o non volersi rendere conto dei tempi in cui si vive.
Tuttavia di una cosa possiamo essere certi: se oggi la sinistra è ectoplasmica (un fantasma di quello “spettro del comunismo” di cui parlava Marx), la destra è asfittica e condannata a morte politica a scadenza più o meno breve.
Il fatto è che il potere mondialista dietro le quinte delle cosiddette democrazie occidentali è di un assoluto pragmatismo, “Non importa di che colore sia il gatto, importa che mangi i topi”. Se il lavoro di privatizzazioni, di riduzione dello stato sociale, di confisca della ricchezza prodotta dai popoli a favore di una ristretta e parassitaria oligarchia di signori dell’alta finanza, può essere fatto da una sinistra convertita al liberismo con lo zelo dei neofiti e che ha del tutto voltato le spalle alle classi lavoratrici, e che può presentare tutto ciò come “riforme”, allora tanto meglio, perché il popolino raggirato le accetterà senza protestare, convinto nonostante tutte le evidenze, che i partiti di sinistra siano “dalla sua parte”, laddove gli stessi provvedimenti presi da governi di destra avrebbero spinto la gente sulle barricate.
Una conferma di ciò sono stati in Italia prima il crollo nel 1991 del sistema di potere che sembrava inamovibile, della DC, poi nel 2011 la liquidazione di Silvio Berlusconi, pallido epigono dell’era democristiana, messo alla porta come un cameriere licenziato, a cui i suoi veri podroni, e non certo il “popolo sovrano” che non ha avuto alcuna voce in capitolo, hanno dato il benservito.
I movimenti oggi etichettati come “di destra” che stanno avendo importanti successi in Europa, il Front Nationale in Francia, Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, sono in realtà movimenti populisti ed euroscettici che con la destra conservatrice non hanno nulla a che spartire, e che si caratterizzano per atteggiamenti di ostilità alla definitiva cessione al capitale apolide e privato della residua sovranità degli stati europei, e all’immigrazione allogena con le sue inevitabili conseguenze di meticciato e sostituzione dei popoli d’Europa, si pongono quindi in antitesi con quelli che sono i progetti del grande capitale finanziario internazionale, cosa che la destra conservatrice si è sempre ben guardata dal fare.
Noi non abbiamo alcun motivo di legare il nostro destino a quello di un cadavere. Dobbiamo piuttosto ricordare che “destra” e “sinistra” hanno oggi perso ogni significato, ed è invece fra servi e oppositori del potere mondialista che si divide l’arena politica.
Una nota sull’immagine che correda questo articolo. Questi tre militari sono da sinistra i primi due Carlo Fecia di Cossato e Carlo Emanuele Buscaglia. Il terzo è Adriano Visconti, asso dell’aviazione da caccia della RSI. Un uomo che ha salvato la vita di un numero imprecisato ma di certo elevato di nostri connazionali, abbattendo i quadrimotori alleati che andavano a seminare il loro carico di morte sulle nostre città. La ricompensa che ha avuto, è stata una raffica di mitra alla schiena da parte dei “prodi” partigiani dopo la resa del 25 aprile. Un traditore secondo i monarchici.
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