Dall’11 marzo, a Mariupol, si combatte strada per strada e da allora non è stato più possibile raccogliere i cadaveri né dei civili né dei soldati.
Con cento bombe d’aviazione al giorno e l’utilizzo di droni, missili, artiglieria, razzi e carri armati, i russi stringono d’assedio la città sul Mar Nero che rappresenta uno snodo cruciale per collegare il Donbass alla Crimea e un corridoio in direzione di Odessa verso Ovest.
La città abbondantemente distrutta e priva di energia, viveri e acqua, tuttavia, resiste accanitamente ed è diventata l’avamposto dell’Ucraina, il simbolo della resistenza di tutta la nazione all’invasione russa.
A Mariupol sotto assedio, resiste e combatte il battaglione Azov, il reparto nazionalista più volte citato dai media, più volte fotografato e indicato in occidente come una unità militare che si richiama al nazionalsocialismo.
E infatti, tutto il mainstream della comunicazione e della politica non fa altro che obiettare agli ucraini la presenza tra le loro file di questa formazione fortemente politicizzata e orientata, il che renderebbe meno difendibile per i democratici la battaglia popolare condotta contro l’esercito di Putin.
Anzi, dopo che l’Europa e l’Italia hanno deciso l’invio di armi a sostegno della resistenza ucraina, molte voci si sono levate dalle file degli intellettuali e dei politici di sinistra fino a quelle dei giornalisti conduttori a cachet, tipo Formigli e Damilano, preoccupati e contrariati che tali aiuti potessero finire nelle mani del battaglione Azov.
Senza alcun pudore, gli stessi che a suo tempo non si fecero scrupoli a chiedere armi agli alleati capitalisti per sostenere la loro guerriglia partigiana, oggi vorrebbero ostacolare ogni invio di rifornimenti che, ai loro occhi, non apparisse politicamente corretto.
Il che sta a significare che la loro condanna dell’invasione russa e il loro sostegno alla causa ucraina sono a corrente alternata e non sono incondizionati. Per questi bravi democratici, solo alcuni ucraini avrebbero diritto a difendersi e a vivere, mentre altri potrebbero tranquillamente essere lasciati al loro destino.
Tutta la compatta solidarietà espressa all’Ucraina, in nome dei valori della libertà, della democrazia e dei diritti dei popoli, si riduce a una dichiarazione di facciata, a pura propaganda e a manifestazione di ipocrita tatticismo nelle parole di questi turpi becchini, allorchè esprimono contrarietà a ogni sostegno militare nei confronti dei nazionalisti ucraini.
A confronto con questi sciacalli, ancora più evidente appare la dignità e la fermezza con cui, in un video apparso sul canale You Tube, Denis Projipenko, comandante del battaglione Azov a Mariupol, ha rilasciato una intervista nella quale ha illustrato la situazione sul campo ed espresso la ferma volontà di resistere fino all’ultimo.
In un momento di estremo pericolo di vita, dentro l’inferno dei bombardamenti e delle rovine, attanagliati dal freddo, dalla fame e dalla sete, spesso feriti e senza possibilità di cure e di soccorsi, gli uomini di Azov resistono e contrattaccano, senza cedere di fronte a un nemico estremamente superiore in forze e armamenti e senza che, al momento, ci sia per loro una prospettiva di vittoria ma solo quella di essere sopraffatti.
E’ una lotta impari e drammatica che riporta alla mente altre battaglie combattute senza speranza, ma solo per tenere fede a un ideale e al proprio onore.
Comunque la si pensi sui torti e le ragioni di questa guerra, certe scelte di fedeltà, di essere milizia e personificazione del sacrificio per la Patria, per noi rappresentano un esempio e un valore che vanno riconosciuti e onorati.
Per noi che siamo antropologicamente differenti dalla melassa pacifista e dal viscido bellicismo dei democratici borghesi e radicali di sinistra.
Per noi che alla guerra del politically correct opponiamo la radicalità delle nostre idee e il nostro rispetto per i “nazisti ucraini” che lottano e muoiono per difendere la loro terra.
Enrico Marino
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