10 Ottobre 2024
Curzio Nitoglia Filosofia monoteismi Paganesimo

Non muove foglia



di Fabio Calabrese
Non muove foglia
senza don Curzio
Nitoglia
      Detto popolare
Il lavoro di un insegnante è delicato; se poi si tratta di qualcuno di quei pochi docenti che cercano di arginare e contrastare la deleteria influenza, il potere condizionante che “i rossi” sono riusciti ad avere dal ’68 in poi sulla scuola italiana, allora è come camminare in un campo disseminato di uova riempite di nitroglicerina, anche perché il più delle volte non rischiamo soltanto in proprio, e l’alternativa è quella di far finta di niente di fronte alle menzogne democratiche e resistenziali, o mettere in pericolo il posto di lavoro e lo stipendio che ci serve per sfamare le nostre famiglie.

Anche se pure a me, come vi ho già raccontato, le amare esperienze non sono certo mancate, devo confessarvi di ammirare il coraggio e la spregiudicatezza con cui Franco Damiani ha sempre apertamente attaccato i miti democratici, resistenziali, olocaustici, sionisti. All’ultimo Esame di Stato (quello che il popolino e gli studenti continuano a chiamare “la maturità”, Damiani è stato “ricusato” dal ruolo di presidente di Commissione per aver preso una posizione apertamente anti-sionista. Essendo un collega, non potevo far mancare di manifestargli tutta la mia solidarietà scrivendogli sul suo diario di facebook; nello stesso tempo, però facendogli rispettosamente notare che poiché lo stesso Damiani è un tradizionalista cattolico e si proclama fervente cristiano, fra le due cose mi pare ci sia una certa contraddizione. In fin dei conti, non lo dico io, l’ha detto un papa, Pio XI che un cristiano “è spiritualmente semita” ed è stato un altro papa, Giovanni Paolo II a sostenere che gli ebrei sono i “fratelli maggiori” dei cristiani, ma a prescindere da ciò, ben prima di ciò, di che nazionalità erano, a che popolo appartenevano Gesù e gli apostoli?
Apriti cielo! Un sacco di amici di Damiani mi ha risposto in termini ultra-indignati sebbene io mi fossi espresso in maniera estremamente moderata e cauta. A questo punto io ho preferito troncare la discussione e lasciarli a blaterare per conto loro.
Io di solito sono uno che nelle discussioni non si tira indietro, non mi fanno certo paura, ma in questo caso ho preferito non insistere per due motivi: prima di tutto mi ero messo in contatto con Damiani per esprimergli solidarietà, non per litigare, e poi, poiché la discussione si stava sviluppando sul diario di Damiani, era come alzare la voce in casa altrui per dire cose che dispiacciono all’ospite, ma qui su “Ereticamente” siamo in casa nostra.
Quello che posso comunque dire, è che in quella discussione sono venute fuori le cose più assurde e deliranti al punto da farti chiedere se certa gente ci sta con la testa. Qualcuno è arrivato a chiedermi, dato che il cognome “Calabrese” è piuttosto diffuso in Sicilia, se sono sicuro di non essere io stesso di origine ebraica. L’ho dovuto deludere, il mio cognome viene da Nardò di Lecce, Puglia, ma soprattutto la trovata che i Siciliani sarebbero ebrei, è una fesseria, per usare un termine tecnico una stronzata, inventata da quel genio di don Curzio Nitoglia in maniera del tutto gratuita per poter dare dell’ebreo a Julius Evola.
Franco Damiani, lo devo riconoscere, si è tenuto un mezzo palmo più su dei suoi solerti sodali e al primo punto della mia obiezione (le affermazioni di Pio XI e Giovanni Paolo II) mi ha risposto di essere un sedevacantista, cioè di ritenere che dopo san Pio X in Vaticano non c’è più stato un papa legittimo, e di non tenere quindi in considerazione le affermazioni dei suddetti personaggi – parlare di sede vacante proprio adesso che abbiamo (tra i piedi) due papi, mi sembra paradossale, ma prescindiamo. Quanto al secondo punto, mi ha risposto che Gesù Cristo, e nemmeno gli apostoli, in quanto espressione del Dio universale, non possono essere considerati ebrei. Ammettiamolo, come arrampicata sugli specchi non è male. Cristo e gli apostoli non erano ebrei, in compenso però lo er
a Julius Evola e forse lo è Fabio Calabrese. Da degli antisionisti dichiarati ci aspetteremmo maggiore chiarezza attorno al significato della parola “ebreo”; forse per costoro è semplicemente un epiteto per ingiuriare chi non condivide i loro punti di vista (o di cecità).
Io mi ero riproposto di non occuparmi più per un periodo di tempo prolungato di religione sulle pagine di “Ereticamente” perché non vorrei dare a chi mi legge l’impressione di non avere nella mia faretra altre frecce oltre a quella della polemica anti-cristiana, (anche se nel caso abbiate seguito i miei articoli più recenti, non dovreste nutrire dubbi a questo proposito), ma credo sia ora di riprendere l’argomento anche perché nel corso di questa discussione da me non cercata e su cui vorrei ora aggiornarvi, i nodi sono veramente venuti al pettine.
Prima di procedere oltre, però, vorrei invitarvi a non enfatizzare oltre il dovuto il significato politico di questa contrapposizione: che un cattolico possa essere realmente considerato “un camerata” o meno, rimane una questione accessoria rispetto alla contrapposizione al sionismo/sion-americanismo. Allo stesso modo ritengo occorra essere solidali anche con l’antisionismo di sinistra, con uomini come Vittorio Arrigoni, non con i suoi assassini certamente manovrati dal Mossad. Noi siamo di fronte a un piano di assoggettamento mondiale ormai prossimo alla completa realizzazione: il vero discrimine è fra chi lo subisce passivamente e chi si ribella: di fronte a esso le contrapposizioni destra-sinistra e anche quelle religiose perdono d’importanza.
Ma torniamo alla discussione coi catto-tradizionalisti e alle elucubrazioni di questi ultimi.
Un amico di Damiani a un certo punto deve aver pensato di stendermi con questa citazione:
“”il paganesimo come religione è assurdo, poiché va contro la retta ragione. Infatti, il politeismo contraddice il concetto stesso di Dio come Essere infinito e quindi unico; dacché non sono possibili due infiniti. Uno limiterebbe l’altro. Mentre una certa filosofia pagana, o greco-romana, (per semplificare: Platone-Aristotele; Seneca-Cicerone) ha raggiunto la quasi pienezza della verità teoretica (Grecia) e pratica (Roma). Essa sarà poi perfezionata da S. Agostino e specialmente da S. Tommaso”.
Sapete da dove viene questa frase? Da uno scritto, un testo – non ho idea di che lunghezza – “Gnosi e gnosticismo, paganesimo e giudaismo” il cui autore è – indovinate un po’ – don Curzio Nitoglia. Sempre lui, ricorrente come una maledizione, deve essere proprio il maitre a (ne pas) penser dei catto-tradizionalisti. “Non muove foglia – verrebbe da dire parafrasando un detto popolare – senza don Curzio Nitoglia”.
“Il monoteismo come religione è un assurdo”, verrebbe da ribattere al primo colpo, “Esso non può spiegare l’esistenza del male in un mondo che esso suppone essere l’opera di un Dio onnipotente, onnisciente e infinitamente buono”.
Un’ulteriore replica, filosoficamente più raffinata, potrebbe essere questa: Per bocca di Tommaso D’Aquino (di cui don Nitoglia non è il solo ad aver sentito parlare), la teologia cattolica ha definito Dio come “l’essere necessario”: necessità in logica significa ciò che deve essere presupposto altrimenti sorgono contraddizioni, ad esempio il principio del terzo escluso (o le cose stanno così oppure NON stanno così, e non c’è una terza possibilità), solo che la logica moderna, quella sviluppatasi a partire dagli studi di Giuseppe Peano e Bertrand Russell, ha chiarito che il suo campo di applicazione riguarda i rapporti tra le proposizioni e non i giudizi di esistenza o non esistenza (eccetto che per l’esclusione degli oggetti impossibili, dotati di attributi contraddittori, ad esempio possiamo dire che non esiste e non può esistere nessun triangolo quadrato) ad esempio, quando affermiamo che la somma degli angoli interni di un triangolo è 180°, non intendiamo affermare l’esistenza di alcun oggetto triangolare in tutto l’universo, ma solo che SE ESISTESSE, avrebbe di necessità questa proprietà. Non a caso, l’esempio qui è di tipo geometrico, e infatti la nuova logica afferma l’unità fra logica e matematica; il che, se ci pensiamo, riconcilia Platone con Aristotele, ma è precisamente nell’intercapedine fra Platone e Aristotele che si è insinuata la teologia cristiana che viene ora a sparire; infatti NESSUN giudizio di esistenza, l’esistenza di NESSUN ente può essere necessaria sul piano logico; in sostanza:
La teologia cattolica definisce Dio come l’essere necessario.
Nessun essere è necessario.
Dunque Dio (come lo intende la teologia cattolica) non esiste.
Tuttavia, compendiamo che quello esposto da Don Nitoglia, che mi pare tratto di peso dal catechismo, è un caposaldo del pensiero cattolico, del cristianesimo, del monoteismo in genere, sarà dunque utile sottoporlo a un’analisi molto dettagliata, smontarlo pezzo per pezzo.
Cominciamo intanto con il notare che le affermazioni di don Nitoglia rivelano un’estrema arroganza intellettuale. A questo mondo esistono un po’ più di un miliardo di cristiani (in maggioranza “non praticanti” o tali solo per l’anagrafe, ma prescindiamo), suppergiù altrettanti mussulmani e qualche decina di milioni di ebrei. Tutti insieme pressappoco un terzo degli abitanti di questo pianeta. E gli altri due terzi? Possibile che siano tutti sottosviluppati mentali vittime di un errore logico? Non stiamo parlando di qualche tribù culturalmente retrograda. Il Giappone, ad esempio, è la seconda potenza industriale di questo pianeta, e rimane fedele alla sua religione tradizionale, lo scintoismo che è chiaramente politeista.
Nelle terre dominate dal cristianesimo e/o dall’islam, queste due religioni hanno lottato con estrema ferocia per estirpare
i credi nativi delle popolazioni assoggettate, ricorrendo talvolta alla predicazione, ma molto più spesso alla violenza, alle deportazioni, alle stragi, alla riduzione in schiavitù di chi non era pronto ad accettare “la pura luce della verità”, e il loro trionfo non può dirsi completo: comunità pagane sopravvivono in Islanda e forse (nel senso di una continuità che tutto sommato non si sarebbe interrotta fra il paganesimo antico e il neo-paganesimo moderno) in Lituania. Nel mondo islamico, pagani testardamente tetragoni alla fede del Profeta, fra Pakistan e Afghanistan sopravvivono i pagani Kalash. Tutti costoro avrebbero resistito con ogni mezzo, sopportato secoli, millenni di persecuzioni per rimanere fedeli a un errore evidente?
Parliamo del neo-paganesimo: oggi in Gran Bretagna il druidismo è riconosciuto come religione a pieno titolo con la stessa dignità che si attribuisce ai culti monoteisti, non lontani da un analogo riconoscimento sono il movimento pagano Forn Sidr in Danimarca e la Congregazione degli Ellenici in Grecia, ma movimenti neo-pagani stanno risorgendo in tutta Europa, e una forma di paganesimo, la Wicca, si è diffusa pure negli Stati Uniti. Davvero tutti costoro, e stiamo parlando di migliaia di persone, avrebbero voltato le spalle alla verità lampante per abbracciare un evidente errore? E se l’errore stesse dalla parte di don Curzio e di chi la pensa come lui?
Notiamo che don Nitoglia usa i termini paganesimo e politeismo come sinonimi, e questo è un errore che ci fa ben capire che il suddetto ecclesiastico non sappia veramente di che cosa sta parlando.
Un interessante filosofo presocratico, Senofane di Colofone, ad esempio, era sostenitore di un’originale forma di monoteismo. I Traci, faceva notare, raffigurano i loro dei biondi e con gli occhi cerulei, mentre gli Etiopi dipingono i loro neri e coi capelli crespi. Se buoi e cavalli avessero le mani, aggiunge, rappresenterebbero gli dei come buoi e cavalli. Tutti al riguardo, ci dice, sono in errore, perché la divinità non somiglia agli uomini né come corpo né come mente.
Monoteisti potrebbero essere considerati anche Platone (che riconosce come Dio l’Idea – cioè il Modello Perfetto – del Bene), Aristotele (il Motore Immobile, ossia ciò che muove tutto e da nulla è mosso), Plotino (l’Uno). Quanto meno scettici sul soprannaturale e l’esistenza delle divinità, gli epicurei, gli scettici (ovviamente) e gli stoici (fra cui l’imperatore Marco Aurelio) e almeno Lucrezio francamente ateo.
Eppure noi riconosciamo immediatamente tutti costoro come pagani, a colpo d’occhio, d’istinto verrebbe da dire; segno evidente che il discrimine non è costituito dal numero delle divinità ma da qualcos’altro, e non si tratta nemmeno del fatto di essere vissuti prima di Cristo, cosa che per Plotino e Marco Aurelio non si può dire.
La differenza, io credo, la linea di frattura fra paganesimo e culti abramitici (ebraismo, cristianesimo, islam, le religioni che riconoscono come loro antenato Abramo) risiede, io penso, nella concezione etica. Qui sarebbe molto utile ripetere una certa citazione di un filosofo che non possiamo definire certo “nostro”, Massimo Cacciari, che tuttavia ha colto straordinariamente bene il concetto, ma stavolta me ne asterrò perché sembra che quella citazione così spesso ripetuta da parte mia, abbia stancato i miei interlocutori; tuttavia, in sintesi si tratta di questo: a differenza di noi moderni post (o a partire dal) cristianesimo, l’uomo antico, l’europeo pagano non concepiva l’etica come il frutto di una scelta individuale: si apparteneva a un ethos perché si apparteneva a una comunità, si era nati in quell’ethos così come si era nati nella comunità stessa.
Gli stessi concetti, tuttavia, a riprova del fatto che non si tratta di un’invenzione dello stesso filosofo, li ritroviamo nelle parole di due storici: per quanto riguarda il mondo greco, Alessandro Passerin D’Entreves (“La filosofia politica medievale”):
“La contrapposizione, il dualismo del bene individuale e del bene dello Stato sono assolutamente estranei al pensiero greco: l’associazione politica rappresenta la piena attuazione del fine individuale, quindi la forma più alta della vita. E così come il pensiero greco non conobbe la distinzione tra vita politica e vita morale, non conobbe la distinzione tra Stato e Chiesa. Si potrebbe dire anzi, che la polis è, a un tempo, Stato e Chiesa”.
E riguardo a Roma, Giorgio Falco (“La Santa Romana Repubblica”):
“La religione antica, di cui Roma è l’erede, vive ad una vita stessa con lo stato, da esso deriva, lo guida coi suoi misteriosi responsi, ne storna i pericoli, ne consacra i trionfi; essa non è una chiesa, ma una cittadinanza in comunione con le sue divinità chela prosperano e la proteggono”.
Non vi basta? Leggiamo allora le parole dello stesso Platone:
“Più della madre, più del padre e più degli altri progenitori presi tutti insieme è da onorare la patria, ella è più di costoro venerabile e santa, e in più augusto luogo collocata da dei e da uomini di senno. La patria si deve rispettare, e più del padre si deve ubbidire e adorare, anche nelle sue collere; e, o si deve persuaderla, o si ha da fare ciò che ella ordina di fare, e soffrire se ella ci ordina di soffrire, con cuore silenzioso e tranquillo” (Platone: “Critone”).
Perché questo tipo di etica non può essere fatto proprio anche da noi contemporanei nella nostra epoca? Si vede bene quale sia l’ostacolo: l’affermarsi della morale cristiana con il suo soggettivismo (Il “buon” HNS che “bontà sua” al riguardo non mi sembra abbia capito il senso delle mie affermazioni, contrapponendo la presunta oggettività morale cristiana al soggettivismo contemporaneo, è palesemente in errore, così come era in errore l’ex papa Joseph Ratzinger quando deprecava il relativismo moderno facendo finta di non accorgersi che esso è precisamente il frutto del cristi
anesimo: l’uno e l’altro avrebbero dovuto leggersi meglio Luca che lo spiega con chiarezza: Cristo non è venuto a portare la pace ma la spada, a mettere il figlio contro il padre, la moglie contro il marito, il fratello contro il fratello. ABBIAMO QUI LA RADICE DI TUTTI I MALI DELLA MODERNITA’, FIGLIA DEL CRISTIANESIMO).
E’ ora, come raccomandava Nietzsche, di operare una trasmutazione, un capovolgimento di tutti i valori, respingendo non solo il cristianesimo, ma anche il democraticismo e il marxismo che sono semplicemente delle varianti laicizzate della dottrina del Discorso della Montagna.
Di Socrate, il padre della filosofia che però non ci ha lasciato nulla di scritto, non sapremmo quasi nulla se non fosse per la testimonianza platonica. Platone però nei suoi “Dialoghi” si è servito del personaggio di Socrate per esporre anche le sue dottrine, così che diventa oltremodo difficile distinguere Socrate da Platone.
Io ho l’impressione che uno squarcio del vero Socrate ci si sveli alla conclusione dell’ “Apologia” dove egli si dimostra almeno dubbioso circa l’aldilà e la sopravvivenza dell’anima post mortem e, rivolgendosi ai giudici che l’hanno appena condannato, dice:
“Io vado a morire, voi a continuare a vivere, o giudici, e solo gli dei sanno chi di noi va incontro a sorte migliore”.
Socrate rientrerebbe dunque fra quei pagani scettici di cui abbiamo parlato. Tuttavia egli ci rassicura: l’uomo giusto, cioè l’uomo saggio non ha nulla da temere né in vita né in morte: se c’è un destino ultramondano, riceverà la ricompensa del suo bene operare, se esso non c’è, condividerà semplicemente l’oblio, destino comune di tutti.
Ciò che conta non è quel che un uomo crede, ma come egli agisce: ci si comporta seguendo una certa etica non nell’attesa di un premio o nel timore di una punizione ultramondana, ma semplicemente perché ciò è conforme alla nostra dignità di uomini. Scettico sull’aldilà, Socrate affronta con animo sereno la morte pur di non infrangere le leggi della città, ugualmente scettico, Marco Aurelio compie quotidianamente con scrupolo i suoi doveri di primo funzionario dell’impero. E Leonida, affrontando con i suoi trecento le orde persiane, cosa pensate che avesse in mente: speculazioni teologiche o l’onore e la patria?
Questo tipo di etica è più elevato della morale cristiana, o meglio, comporta un tipo umano più elevato del cristiano, che in campo etico non va oltre la logica del bastone e della carota. Se esso si diffondesse, o meglio tornasse a diffondersi, sarebbe letale per qualunque Chiesa: esse basano il loro proselitismo e quindi il loro prestigio, il loro potere, la loro ricchezza su speranze illusorie e timori infondati riguardanti l’aldilà, ma questo non sarebbe un nostro problema. 
Una volta chiarito cosa significhi paganesimo, tuttavia non abbiamo ancora risposto alla vanteria di superiorità del monoteismo. Rileggiamo don Nitoglia:
“Il politeismo contraddice il concetto stesso di Dio come Essere infinito e quindi unico; dacché non sono possibili due infiniti. Uno limiterebbe l’altro”.
Il meno che si possa dire del nostro caro ecclesiastico, è che deve essere un po’ deboluccio in matematica; altrimenti gli sarebbero facilmente venuti in mente esempi di infiniti (due o più) che coesistono, ad esempio la serie dei numeri pari e quella dei numeri dispari (o dei numeri primi e dei multipli di qualsiasi numero).
Ma proseguiamo:
“Mentre una certa filosofia pagana, o greco-romana, (per semplificare: Platone-Aristotele; Seneca-Cicerone) ha raggiunto la quasi pienezza della verità teoretica (Grecia) e pratica (Roma). Essa sarà poi perfezionata da S. Agostino e specialmente da S. Tommaso”.
Niente di nuovo, niente con cui non mi sia confrontato mille volte in sede teoretica e pratica, la solita storiella raccontata pressappoco da tutti i manuali di storia della filosofia (mentre i manuali di storia che circolano nella nostra scuola sono TUTTI opera di autori marxisti, quelli di filosofia sono TUTTI di autori cattolici, tanto per esporre le giovani menti degli allievi al giusto pluralismo): la filosofia antica sarebbe giunta quasi alla verità, all’idea del Dio unico (Platone e Aristotele, per tacere del povero Senofane), ma mancava ancora quel qualcosa in più che non poteva essere dato dalla ragione ma solo dalla Rivelazione divina e poi attestato dalla fede: l’idea del Dio unico come persona. Rulli di tamburo e squilli di trombe: la filosofia antica e tutta la cultura classica sono ridotte a una sorta di tappeto rosso preventivamente (provvidenzialmente?) steso in vista dell’arrivo trionfale del cristianesimo.
Più che falso, prima ancora che falso, assurdo e ridicolo: essendo rimasto solo, il Dio monoteista è costretto a recitare (almeno) due parti in commedia, quella di fondo ontologico dell’universo e quella di Dio persona, che è quella che gli compete maggiormente e da cui non è esentato, una persona – per come ce la dipinge la bibbia – nemmeno tanto gradevole. In realtà, comprendiamo che non si tratta di nessun progresso del pensiero antico, ma al contrario del ritorno all’indietro a un rozzo antropomorfismo, un dio-artigiano che avrebbe plasmato il mondo così come un vasaio modella un vaso, non di un progresso ma di un vistoso arretramento dello spirito, siamo tornati parecchio indietro rispetto ai concetti già espressi da Senofane sette secoli prima, e infatti non si tratta di qualcosa che proviene dal mondo greco-romano, ma da quell’Oriente di rozzi pastori e fellah dove la solarità intellettuale ellenica mai era realmente penetrata.
Il monoteismo cristiano (ma anche ebraico e islamico) non solo non porta il segno di nessuna superiorità intellettuale rispetto al politeismo (né etica rispetto al paganesimo), ma il politeismo con – da un lato la concezione della divinità-fondo ontologico dell’universo impersonale “che non somiglia agli uomini né per il corpo né per la mente”, il Fato della concezione classica, il Brahman dell’induismo, il Tao di Lao Tse – dall’altro con le sue divinità “piccole” e “terrestri” il cui posto è stato preso dai santi cattolici o più spesso di quanto non si pensi, appunto da santi cattolici sono state travestite, è francamente più credibile, anche perché evita di cadere in assurdità come rendere inspiegabile la presenza del male nel mondo.
I cattolici in genere non sono molto ferrati in logica, l’ho constatato in anni di discussioni; o meglio è come se arrivati a un certo punto, la loro capacità raziocinante subisse una specie di blocco. Ad esempio, quando CREDONO di aver dimostrato l’esistenza storica di Gesù e degli apostoli (cosa sulla quale si possono sollevare molti dubbi, e si vedano gli eccellenti testi di Luca Cascioli, David Donnini e Giancarlo Tranfo) sono convinti per questo di aver dimostrato anche la veridicità delle dottrine che costoro avrebbero insegnato; dimenticando ad esempio che noi abbiamo molte maggiori prove dell’esistenza storica di Karl Marx e di Sigmund Freud senza che, ovviamente, ciò rappresenti per nessuno un avallo automatico alle loro tesi. Io sono sicuro che avranno parecchia difficoltà a seguire questo ulteriore punto della questione, con il quale peraltro non possiamo esimerci dal confrontarci.
Ammettiamo (ammesso e non concesso) che si debba per forza accettare l’idea del Dio unico. Questo Dio deve per forza essere il Geova ebraico-cristiano e/o la sua controfigura islamica Allah?
Il monoteismo abramitico non è il primo a comparire sulla scena: con ogni probabilità è stato preceduto di parecchio dal culto solare del faraone Akenaton. Probabilmente più antica dell’ebraismo e sicuramente molto più antica di cristianesimo e islam, è anche la religione di Zarathustra (Zoroastro) che ci parla di un Dio del bene, Ahura Mazda, e di un dio del male, Ahriman. A essere pignoli, si potrebbe parlare di un bi-teismo, ma non credo che Ahriman abbia mai avuto molti adoratori, a differenza di quanto accade nel contesto cristiano dove pullulano satanisti e luciferiani, senza dubbio per le caratteristiche sgradevoli che manifesta il Dio ebraico-cristiano, e poi ci sono i filosofi greci di cui abbiamo parlato.
UNA COSA è sostenere l’esistenza di un Dio unico, UN’ALTRA COSA è sostenere che esso debba per forza identificarsi con il Geova ebraico-cristiano che si sarebbe “rivelato” nella bibbia.
Gianantonio Valli e Silvano Lorenzoni sono gli autori di un prezioso testo la cui lettura ritengo altamente raccomandabile: “Origini del monoteismo e sue conseguenze in Europa”. In esso, gli autori ci spiegano che il monoteismo è un’anomalia patologica rispetto a qualsiasi religione normale. Io sono sicuro che scrivendo queste parole, Valli e Lorenzoni non avevano in mente né Akenaton né Zarathustra e tanto meno Senofane. Quello che è anomalo e patologico non è il fatto di credere in un Dio unico, ma il fatto che il dio totemico di una tribù di pastori mediorientali sia assurto alla dimensione di Dio universale, mantenendo nel contempo tutte le caratteristiche che ne fanno un personaggio repellente.
Bisogna leggerla la bibbia, e leggerla senza avere gli occhi appannati dalla fede. Intanto scopriamo che quello degli antichi ebrei non era un vero monoteismo ma un enoteismo (si adora un solo dio ma si ammette l’esistenza anche di altri): la bibbia non parla mai di “falsi dei” ma di “dei stranieri”. Ad alcuni miei critici-avversari l’uso di questo termine, “totemico” ha dato parecchio fastidio, ma Geova è precisamente questo, un dio totemico il cui culto identifica un determinato popolo, come Marduk lo è dei Babilonesi, Asshur degli Assiri, Baal dei Fenici e via dicendo. Geova è il dio totemico degli Ebrei, e in quanto tale, rispecchia in pieno le caratteristiche di quel popolo: è geloso, possessivo, vendicativo, violento, razzista, sessista, pieno di disprezzo per i non ebrei; soprattutto violento, per il quale il suo seguace che si siede a tavola con un non ebreo e mangia la carne delle vittime sacrificate sugli altari di altre divinità, compie un delitto imperdonabile, se invece il vicino non ebreo lo massacra assieme alla sua famiglia, fa un’opera meritoria.
Stando al racconto biblico, sono parecchie le tribù che Geova fa massacrare dai suoi seguaci: Evei, Aramei, Gebusei, Perizziti, Edomiti: il genocidio come mezzo per assicurare l’estinzione di culti rivali, davvero non è questo che ci aspetteremmo da un Dio universale di carità e di amore, ma tutto questo non rispecchia altro che i caratteri antropologici dell’ebraismo mosaico.
Blaise Pascal è stato forse una delle maggiori intelligenze impiegate male della storia della filosofia. In polemica con Cartesio, aveva riconosciuto che il Dio dei filosofi ben poco aveva a che spartire con quello della bibbia, e ha riconosciuto in esso l’oggetto di una sorta di nuova religione da lui denominata con una punta d’irrisione “deismo” (dal latino “deus”). Per conto suo, egli preferiva rivolgersi al Dio biblico in questi termini:
“Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, dio di Israele”.
Appunto, e che cosa ha a che fare con noi? Noi non siamo i fratelli minori di nessuno.
  
                                                                           

4 Comments

  • nota1488 6 Agosto 2013

    La religione, nella sua forma più benefica, è la simbologia di un Popolo e della sua cultura. Una
    religione multirazziale distrugge il senso di unicità, esclusività e valore necessario alla
    sopravvivenza di una razza.

  • nota1488 6 Agosto 2013

    La religione, nella sua forma più benefica, è la simbologia di un Popolo e della sua cultura. Una
    religione multirazziale distrugge il senso di unicità, esclusività e valore necessario alla
    sopravvivenza di una razza.

  • Daniele B. 24 Agosto 2013

    PICCOLA PRECISAZIONE

    C’e anche chi ha voluto vedere nel monoteismo lo sbocco di certe
    tendenze anteriori all’ebraismo, visto allora come il risultato
    ‘evolutivo’ della religione Verso un qualche tipo di ‘pienezza’ oppure
    forma finale e definitiva. Al riguardo vengono spesso citati la
    riforma religiosa di Zarathustra e il culto solare egizio di Akhenaton;
    ma al riguardo valgono alcune osservazioni
    (a) Zarathustra non
    abolì mai i deva, ma noto piuttosto che molti fra di loro avrebbero
    imboccato la via delle ‘tenebre’ (sappiamo che l’Iran e sempre stato
    il luogo per eccellenza del dualisrmo, ove insorsero zurvanisrno e
    manicheismo [006]); (b) il faraone Akhenaton tento di imporre il dio
    solare, egemone della sua città, come dio egemone in tutto l’Egitto ~
    tentativo fallito, ma che comunque non comportava l’abolizione
    degli altri dei (al riguardo vale ricordare, ad esempio che, che lo
    scrivente sappia, a nessuno é venuto fino adesso in mente che gli
    inca fossero monoteisti per il fatto che, ovunque arrivavano a
    dominare, imponevano come dio principale il dio solare
    rappresentante dell’impero incaico, ma senza mai scalfire alcun culto
    locale) (007).

  • Daniele B. 24 Agosto 2013

    PICCOLA PRECISAZIONE

    C’e anche chi ha voluto vedere nel monoteismo lo sbocco di certe
    tendenze anteriori all’ebraismo, visto allora come il risultato
    ‘evolutivo’ della religione Verso un qualche tipo di ‘pienezza’ oppure
    forma finale e definitiva. Al riguardo vengono spesso citati la
    riforma religiosa di Zarathustra e il culto solare egizio di Akhenaton;
    ma al riguardo valgono alcune osservazioni
    (a) Zarathustra non
    abolì mai i deva, ma noto piuttosto che molti fra di loro avrebbero
    imboccato la via delle ‘tenebre’ (sappiamo che l’Iran e sempre stato
    il luogo per eccellenza del dualisrmo, ove insorsero zurvanisrno e
    manicheismo [006]); (b) il faraone Akhenaton tento di imporre il dio
    solare, egemone della sua città, come dio egemone in tutto l’Egitto ~
    tentativo fallito, ma che comunque non comportava l’abolizione
    degli altri dei (al riguardo vale ricordare, ad esempio che, che lo
    scrivente sappia, a nessuno é venuto fino adesso in mente che gli
    inca fossero monoteisti per il fatto che, ovunque arrivavano a
    dominare, imponevano come dio principale il dio solare
    rappresentante dell’impero incaico, ma senza mai scalfire alcun culto
    locale) (007).

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