8 Ottobre 2024
Attualità

Non si stava meglio prima – Enrico Marino

Il sistema sanitario italiano, osannato dai nostri politici come uno tra i migliori al mondo, s’è mostrato all’atto pratico come sovrastimato e decisamente carente. Non bisogna confondere, infatti, la capacità del personale, la preparazione scientifica e alcune indiscutibili eccellenze con l’efficienza complessiva di un apparato spesso obsoleto e falcidiato negli anni da una miope politica di tagli e riduzioni.

Tagli da 37 miliardi complessivi e una drastica riduzione del personale (-46.500 fra medici e infermieri), con il brillante risultato di aver perso più di 70.000 posti letto, che, per quanto riguarda la terapia intensiva di drammatica attualità, significa essere passati dai 922 posti letto ogni 100mila abitanti nel 1980 ai 275 nel 2015.

É quasi paradigmatico che tali carenze si siano manifestate a partire dalla Lombardia, considerata l’eccellenza sanitaria italiana e ora messa alle corde da un’epidemia che, nella drammaticità di queste settimane, ha dimostrato l’intrinseca fragilità di un modello economico-sociale interamente fondato sulla priorità dei profitti d’impresa e sulla preminenza dell’iniziativa privata.

A certificare il definanziamento del SSN è un rapporto pubblicato a fine 2019 dall’Osservatorio Gimbe, una fondazione che ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario. I numeri parlano chiaro: il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica.

Allora non ci si può poi stupire, se gli ospedali temono di trovarsi presto di fronte alla mancanza di posti letto per i casi di contagiati da coronavirus che necessitano della terapia intensiva

Medici, infermieri, operatori sanitari sono stati mandati a morire al fronte, con mezzi e presidi sanitari largamente insufficienti, nel tentativo di arginare un’infezione alimentata sì dal virus, ma soprattutto dalle scelte irresponsabili della politica.

Allo stesso tempo, infatti, ingenti risorse pubbliche venivano destinate dai governi di sinistra che si sono susseguiti alla gestione del flusso migratorio. Il Documento Programmatico di Bilancio del 2017 conteneva una stima della spesa sostenuta per la crisi immigrati dal 2011 al 2017 che indicava come dagli 827,8 milioni di euro spesi al netto dei contributi Ue, si fosse passati ai 4,2 miliardi del 2017. Il totale del periodo registra oltre 15 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti tra i 4,5 e i 4,9 miliardi previsti per il 2018. Sul 2019 i dati non sono disponibili.

L’esborso dell’ultimo decennio per la gestione degli immigrati è dunque da capogiro. A conti fatti, infatti, parliamo di una cifra totale dal 2011 al 2018 intorno ai 20 miliardi di euro, più della metà dei 37 miliardi che negli anni sono stati tolti alla sanità.

Sono cifre impressionanti che andranno ricordate, al momento opportuno, per contestare ai responsabili la loro follia e le conseguenze di una ideologia criminale e di una politica migratoria irresponsabile, che hanno recato un immenso danno al Paese e tanti lutti al popolo italiano.

Nel frattempo, il presidente del Consiglio dei ministri, quasi come fosse un dictator romano, ha avocato a sé poteri straordinari, che mai erano confluiti nelle mani di uno solo nella storia repubblicana, attraverso i DPCM – ovvero i decreti del presidente del consiglio dei ministri – che si chiamano così perché emanati non da un ministro ma dal presidente del Consiglio, ma restano nell’ambito della gerarchia delle fonti del diritto italiano un atto amministrativo, cioè una fonte secondaria.

S’è trattato d’una forzatura istituzionale che non è passata inosservata.

Con uguali poteri il Governo, con delibera del 31 gennaio 2020, ha dichiarato lo stato di emergenza, in conseguenza del rischio sanitario connesso alla diffusione del coronavirus. Peraltro, lo stesso Governo ha adottato le prime misure di contenimento dell’epidemia soltanto 22 giorni più tardi.

Un ritardo che non è stato privo di conseguenze perchè, unitamente a una informazione contraddittoria, ha fatto sì che la popolazione sottovalutasse le gravi conseguenze legate alla diffusione del virus.

È opportuno ricordare anche come alcuni membri del governo avessero giudicato l’epidemia di Covid-19 poco più di una influenza stagionale, minimizzando il rischio e fornendo sconsiderati esempi di irresponsabilità.

Queste carenze emerse nell’azione di previsione e contenimento del virus hanno determinato l’espandersi del contagio e, conseguentemente, il ricorso a misure eccezionali, con l’arresto di quasi ogni attività produttiva e il manifestarsi immediato di emergenze, di disagi e di bisogni, con l’aprirsi di uno scenario di crisi e di grande preoccupazione non soltanto per il virus, ma anche per i risvolti economici e sociali della situazione.

A fronte del quadro tenebroso che s’è aperto davanti agli italiani, si comincia a ripetere troppo spesso il nome di Mario Draghi come possibile guida del Governo e pare si tratti solo di capire quando e come arriverà il passaggio di consegne.

Ma Draghi non è il cambiamento, infatti rappresenta l’esatta antitesi di ogni sovranità nazionale e, piuttosto, un artefice di quelle politiche in favore di gruppi privati, quali multinazionali e banche, che hanno disarticolato lo Stato italiano.

Nel 1991, all’inizio del periodo delle privatizzazioni, nel momento in cui lo Stato iniziò a svendere i suoi asset strategici, ricopre la carica di dirigente del Ministero del tesoro, investito della capacità di agire nella famosa riunione sul panfilo Britannia, nel 1992, in un incontro organizzato dai grandi potentati finanziari e rivolto a manager, investitori e decisori pubblici, per sottrarre sovranità economica all’Italia e darla alla finanza attraverso un programma di serrate privatizzazioni.

La stagione delle privatizzazioni, infatti, fu una vera e propria ghigliottina per la nostra Nazione, sparirono in pochi anni tutti i nostri gioielli nazionali, aziende strategiche che creavano ricchezza e garantivano indipendenza.

Queste svendite furono consequenziali all’emanazione del “Testo unico in materia bancaria e creditizia” del 1993, che cancellò la legge bancaria fascista del 1936, che fino ad allora aveva sancito la separazione tra banche operanti a breve termine e quelle operanti a medio lungo termine, nonché il principio della separatezza tra banche ed industria. Alle banche fino ad allora non era permesso assumere partecipazioni in imprese industriali e commerciali, una tutela per l’economia reale che metteva i banchieri di fronte alla scelta di operare nel settore del risparmio o in quello della speculazione. Con l’eliminazione di quel vincolo si è consolidato lo strapotere delle banche ma anche la loro dissoluzione, con l’esplosione di crisi che abbiamo pagato tutti, come quella del Monte dei Paschi e Banca Etruria.

Nel 2002 Draghi passa a Goldman Sachs, una delle banche di affari più potenti al mondo, dove ricopre il ruolo di Vice Chairman e Managing Director, proprio quando questa ottiene dalla Grecia la gestione del suo debito pubblico, affidamento che poi trascinerà quel Paese nel baratro economico.

Il suo mandato a Presidente della BCE nel maggio del 2011, si ricorda esclusivamente per il quantitative easing, cioè il piano adottato dalla BCE per l’acquisto di titoli di stato per immettere denaro nell’economia europea, incentivare i prestiti bancari verso le imprese e far crescere l’inflazione verso il 2 per cento.

Oggi, di fronte al drammatico scenario originato dal coronavirus, lo sentiamo rilasciare dichiarazioni che vanno nella direzione di un intervento eccezionale della BCE e degli Stati nazionali a favore di una ripresa dell’economia europea.

Dichiarazioni condivisibili, ma che non possono farci dimenticare che Mario Draghi non può essere il nostro salvatore, perchè comunque è un uomo della finanza internazionale, espressione di quelle entità sovranazionali per le quali da sempre opera.

Quelle stesse entità che sono all’origine della devastazione del nostro Paese, per le scelte e le imposizioni di politica economica alle quali siamo stati assoggettati.

La crisi che oggi viviamo non deve farci dimenticare che anche prima eravamo assillati da gravi problemi e costretti in una gabbia che inesorabilmente vanificava ogni nostro sforzo di risollevarci economicamente e di essere padroni delle nostre scelte.

Perciò, a quanti vorrebbero superare l’attuale emergenza per ritornare al passato e alla normalità occorre dire che non torneremo alla normalità, perché proprio il passato e la normalità erano il problema e il popolo italiano ha diritto a un destino differente e migliore.

Enrico Marino

Fonte immagine copertina

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