8 Ottobre 2024
Cultura

Non siamo caduti in autunno: la parola a Maurizio Murelli – Alessandra Iacono

Se il tuo destino, la tua missione, è combattere, non ti devi neanche porre il problema “vincerò, non vincerò”: devi combattere, punto e basta, devi combattere l’ingiustizia…»

Ovverosia: così parlò Maurizio Murelli. Così parla, oggi, non per vanagloria ma per il sacrosanto diritto alla replica, tanto celebrato quanto – paradossalmente – calpestato, nelle cosiddette democrazie liberali. Parla lui e gli fanno eco, coreuti di un dramma antico eppure attuale, collaboratori, amici, camerati. Partiamo proprio da qui: cos’è un camerata?
«É bello il termine ‘compagno’, quello con cui dividi il pane; però ‘camerata’ è quello con cui dividi la camera, la camerata, quindi è quello che ti veglia quando dormi, quando sei nel momento più vulnerabile». Il senso della condivisione e dell’aiuto reciproco, il contrario dell’egoismo e della soverchieria, un’attitudine dell’animo umano, forse la più autentica e schietta, ancestrale, istintiva, fin dalla comparsa dell’homo sapiens sulla terra. Di messaggi sani, positivi, persino ottimistici come questo,

Murelli ne ha disseminati parecchi nel corso della sua vita, raccolti e sintetizzati oggi in questo bel documentario1 a cura di Umberto Baccolo, “Non siamo caduti in autunno”, un omaggio all’uomo Murelli e alla sua opera, ma anche una risposta chiarificatrice al ritratto deformante che ha tentato di veicolarne la propaganda politica di regime. Un regime democratico e liberale, certo, ma pur sempre un regime. Chiamati dunque sul banco dei testimoni in una sorta di processo, più ideologico che ideale – l’imputato stesso ne svelerà il motivo – i camerati di Maurizio dicono:
«In questi giorni di prigionia semi coatta, la lezione di Maurizio è di stretta attualità: in carcere decide di trasformare, con una rigorosa disciplina che si infligge, la detenzione in un’occasione di crescita e di sviluppo culturale e umano. È un ragazzo di strada, diventa uno degli intellettuali più importanti della destra radicale e ancora oggi è un punto di riferimento forte per chiunque; provenendo dall’estrema destra, ha deciso di attraversare e di provare a sfidare il tempo attuale, cercando nuove strade, nuovi percorsi, nuove esperienze»2.
«Ha mantenuto un atteggiamento, una coerenza e un coraggio di militante politico che è difficile trovare, non solo nella nostra area ma in assoluto. Non tutte le sue posizioni mi hanno trovato d’accordo, ma è un uomo di assoluta tolleranza, una persona intellettualmente libera» 3.
«É una macchina da guerra, ha sempre contrattaccato. Con la rivista Orion ci ha messo a disposizione delle armi formidabili dal punto di vista culturale, proiettili di ottima fattura, che ancora adesso danno il loro contributo nella lotta antagonista, contro questo sistema che probabilmente crollerà, non so quando, ma crollerà, visti i suoi piedi di argilla»4.
E ancora: «É un combattente»; «non ha uno spirito di possesso banale, bottegaio, meschino, è un uomo libero, un uomo spirituale»… e potremmo proseguire all’infinito.

Maurizio parla, è a suo agio col microfono e la telecamera. È spalluto e imponente, la barba folta e grigia, gli occhi di brace: sarebbe un perfetto Caronte traghettatore degli Inferi, e così, in effetti, qualcuno lo dipinge: come un demonio. Lui, peggiorando ulteriormente la sua posizione, si definisce solo un “soldato politico in servizio permanente effettivo”, che lavora nelle retrovie, nella logistica, che fornisce all’avanguardia le armi culturali occorrenti – necessarie – per combattere la guerra.
Racconta di un ragazzo della strada, arrabbiato col mondo, in cerca di un’appartenenza – zôon politikòn – come natura impone. Evoca una Milano di fine anni Sessanta in pieno fermento politico, che pullula di sovversivi di tutte le specie. Sceglie i più cattivi, i più isolati, i proscritti: finisce tra i “sanbabilini”.
La sensazione comune, lì in mezzo, è quella di non avere futuro, di vivere alla giornata, senza un domani a cui dover pensare, in quanto un domani, per loro, sembrava non esserci. Da qui gli eccessi, la strafottenza, i me-ne-frego, l’accettazione di una precisa condizione sociale: costituire, in un mondo in forte dinamismo, un puntino nero che attirava l’odio di chiunque, un coacervo di reietti, rifiutati dal consesso civile umano, e di conseguenza incattiviti.
Il nostro ragazzo della strada, però, a parte questa fascinazione epidermica, non è che avesse maturato una consapevolezza profonda dell’Idea, ne possedeva una dell’ideologia, semmai – in fondo era un giovane di soli diciotto anni.
A diciotto anni, però, in una cornice in cui ben si inscrive un “sovversivo per istinto”, un accidente spedisce il giovanetto alla clausura, presso il cattiverio di Stato.
Ed è negli anni della reclusione che inizia la sua formazione, da autodidatta. Legge di tutto, con un approccio critico su tutto. Il nastro di partenza è il neofascismo, che è diventato altro dal fascismo, diverso da ciascuna delle componenti del fascismo storico. Il grande contenitore ‘neofascismo’ raccoglie i cocci della frantumazione dell’idea primigenia, della quale ogni nucleo, ogni “corrente”, rivendica la matrice, l’ortodossia più pura. Sottoponendo fin da subito a serrata critica il materiale ideologico proveniente da questo ambiente, Maurizio rompe con quella – presunta – ortodossia, squarcia l’ideologia: «L’ideologia è una maschera mortuaria dell’idea: il mondo delle idee è una cosa, l’ideologia è una codificazione, che quindi mette dei paletti, ne oscura l’essenza».

Primavera 1980. Libertà. La prima cena senza sbarre alle finestre, dopo undici anni.
Maurizio era entrato in carcere diciottenne, ne esce a trenta, «con la consapevolezza che avrò vent’anni tutta la vita». Apre una tipografia, rilancia la casa editrice Barbarossa, fonda Orion, rivista mensile che uscirà per ben ventitré anni, fino al 2007.
La Russia – allora ancora Unione Sovietica – è una forte attrattiva di interesse e una presenza preponderante nell’impianto di analisi murelliano, sicuramente uno dei perni su cui esso si regge:
«Cerco di essere obiettivo, non condizionato dall’ideologia» – che abbiamo definito ‘maschera mortuaria’ rispetto all’idea. Il sovietismo era meno condizionante dell’americanismo, non tanto per l’aspetto militare, quanto per quello culturale, psicologico. In netto contrasto con tutto un filone nazionalista e anticomunista (ancora oggi molto in voga), una speranza poteva venire da est… Ed ecco la scelta del nome, ‘Orion’, la costellazione che sorge a oriente.
Nomen omen: portando il nome di un gruppo astronomico, Orion inevitabilmente con-sidera l’insieme, vede oltre il proprio naso, e conseguentemente intesse relazioni piuttosto sui generis rispetto al pubblico che, spontaneamente, gli si era stretto attorno: per esempio, una collaborazione con l’allora nascente Rifondazione Comunista, «un elemento di rottura rispetto al potere, così come esso allora si stava manifestando, come stava avanzando. L’analisi, la diagnosi espressa dal marxismo è spesso condivisibile, diversamente dalla soluzione che offre, soprattutto laddove elimina l’identità, l’elemento nazionale». Primo obiettivo del sodalizio di Orion era far chiarezza sull’anticomunismo, rimarcando le dovute distinzioni, e indicare come primo nemico, invece, l’americanismo; dunque nella stessa ottica è da leggersi il legame con l’Iran di Khomeyni, pur non essendo certamente Murelli musulmano; nella stessa ottica, Maurizio non teme il dialogo con centri sociali e brigatisti rossi, chiunque poteva diventare interlocutore di quel discorso, i semi andavano gettati in qualunque campo. E nella stessa ottica, ancora, i contatti con la Lega dei primordi, a quell’epoca nascente, sì, ma già composita e variegata.
Coerentemente con quanto detto fin qui, la Russia non è mai sparita dall’orizzonte culturale di Murelli: attualmente, la sua proposta editoriale conta molti titoli vergati da Aleksandr Dugin, filosofo e politologo moscovita, padre della ‘quarta teoria politica’5, tenuto in grande considerazione nelle aree di fermento politico-culturale di matrice cosiddetta “sovranista”: «Il sovranismo è una insorgenza mondiale, in reazione al NWO, ma destinata al fallimento» – dice Murelli. A meno che qualcuno non codifichi questa reazione “animalesca” e istintiva in dottrina: «oggi non possiamo contare che su De Benoist e Dugin». L’avvento del soggetto radicale è possibile solo dopo aver toccato il fondo del pozzo, solo dopo aver cavalcato la tigre, come recita il celebre insegnamento tradizionale. Il rischio è che la post-modernità, quando avrà vinto definitivamente, fagociterà anche il soggetto radicale, quel soggetto, cioè, che aveva il compito di tramandare l’originario – Tradizione non significa altro che questo – operazione che, paradossalmente, avviene nella modernità.
«Secondo Dugin, tanto il comunismo quanto il fascismo hanno fallito il loro obiettivo di contrapposizione al liberismo, uno perché implode, l’altro perché viene sconfitto militarmente. Dunque bisogna andare oltre, cominciando a leggere il liberismo per quel che in realtà è, e nel populismo Dugin vede una opportunità».

Insomma: troppa carne al fuoco, caro Maurizio.
La pubblica accusa si fa attendere, ma arriva, inesorabile – che la seduta abbia inizio!
Il primo a rivolgere morbose attenzioni al nostro Maurizio è un tal Gatti. In questo caso (cog)nomen non est omen: lungi dal possedere la saggezza tipica dei piccoli felini, mister Cats, dall’America, si mette a giocare a “unisci i puntini” ed evoca addirittura creature infernali accostandole al politico più discusso del momento – era il 2019: Matteo Salvini.
«Salvini è un leader, un leader è chi suscita sentimenti completamente opposti: o lo ami follemente, o lo odi tremendamente». Un leader in ascesa, e con lui tutto un movimento di genti da tutta l’Europa che, pericolosamente, si professa identitario e sovranista. Per fermare questa catastrofe antidemocratica occorre l’arma nucleare più potente del Novecento: la reductio ad Hitlerum.
Sorvolando sulla copertina più brutta della storia dell’editoria dai tempi di Gutenberg, il lavoro di questo signore – che il Guardian definisce «spaventoso, borioso investigatore privato […] con nessuna comprensione della letteratura, dell’immaginazione o rispetto della vita privata»6 – in soldoni consiste nell’accusare Murelli di aver infiltrato, addirittura “nazificato” la Lega a partire dagli anni ’80, e di aver lanciato dentro essa degli “agenti dormienti”, come Borghezio e Savoini.
Ma lasciamo i gatti a parlare di Gatti. Della mirabile opera, ho declamato un passo a Ninni, la gatta di casa: ha vomitato sul tappeto. Ninni, però, ha il pelo chiaro e gli occhi azzurri, i quali, come dice Primo Levi, “sono intrinsecamente malvagi”. Sarà stata nazificata anche lei?

Arrivano i rinforzi. Attratti dall’irresistibile richiamo del sangue, gli avvoltoi di Rai3 e La7 si avventano sulla carcassa, per finire il lavoro. Si insiste sul termine “post nazista” e sulle ‘nazistate’ di alcuni leghisti e affini: la camminata così, il braccio cosà, il calendario di qua e il poster di là.
Non si salva nessuno, non si fanno prigionieri: Murelli viene introdotto sempre dal suo antico capo d’accusa, concorso in omicidio (a cui si omette di proposito di specificare “morale”); la casa editrice da lui fondata pubblica testi sul fascismo – sarà mica l’unica? Provate a fare una ricerca per argomento sui cataloghi di Feltrinelli, Mondadori, Adelphi…; Dugin, in quanto nazionalbolscevico è liquidato nell’«estrema destra»7; la lampada solstiziale diventa un corpo di reato; per la reductio ad Hitlerum di Rainaldo Graziani, amico e storico collaboratore di Maurizio, non essendo pervenuti peccati mortali direttamente a suo carico, si è dovuto ricorrere alla genealogia: “è figlio di”, e ha messo su un “covo di fascisti”: La Corte dei brut8 , un agriturismo.
Si aggiudica il premio oscar per la categoria “Grottesco”, un buffone di corte dal nome parlante9.
Non avendo altro a disposizione che il solito materiale trito e ritrito sui “baffetti” e sulle bionde trecce, imbastisce un teatrino del clichè da far invidia all’Opera dei Pupi siciliani. Dugin – del quale più volte pronuncia il nome così come lo legge, dimostrando di non averlo mai sentito prima, nemmeno dal collega da cui ha preso in prestito parte del materiale – sarebbe il puparo dei sovranisti di tutto il mondo (unitevi!); proseguendo nel suo delirio, cimentandosi in uno sfortunatissimo excursus sulla morte di vari personaggi storici, di Luigi XIV – il Re Sole, non proprio uno sconosciuto – ci fa sapere che “è morto ghigliottinato”. Uno scolaretto con la media del 6 sa bene che il Re Sole morì in età avanzata, per la gotta; sa anche che gli succedette Luigi XV, morto di vaiolo, a cui succedette ancora Luigi XVI, ultimo sovrano assoluto di Francia, questo sì, morto sulla ghigliottina, negli anni convulsi che tradizionalmente segnano il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea. Non occorreva una laurea in storia per saperlo, bastava aver guardato Lady Oscar da piccolo10. A quale titolo uno che non conosce la Rivoluzione francese può capire e discettare di fenomeni complessi come la geopolitica? Con quale faccia calunnia una persona di cui non conosce neanche il nome? Ma mi faccia il piacere! – direbbe Totò.

Nel corso di questo lungo colloquio, Murelli smonta pezzo per pezzo l’impianto accusatorio, senza dover nemmeno ricorrere a particolari strategie o chissà quale raffinata e contorta retorica forense.
Semplicemente, si mostra, si racconta. Dal brutto viene estrapolato il bello.
Nel descrivere il suo modo di intessere rapporti personali – di ogni tipo – ci regala una bellissima metafora: «Sono un viandante: ho un percorso da fare, con degli obiettivi e delle tappe. Chi vuole camminare accanto a me è benvenuto, e se a un certo punto sceglie un altro sentiero, nessun risentimento… poi, magari, si rimane in comunicazione, o ci ritroviamo al primo bivacco. Nessuno diventa il mio burattino».
Il simbolismo del cammino è un argomento carissimo a Maurizio, così come quello della montagna.
Un inserto che occupa parte di questo docufilm è dedicato proprio alla montagna, dai ricordi di bambino – nitidi, poetici, bellissimi – alla sua dimensione marziale, cameratesca, e infine sacrale, quasi mistica: l’approccio evoliano ha ispirato, per esempio, il libro “Cavalcare le vette”, scritto a quattro mani con Omar Vecchio, e il DVD “Julus Evola – Dalla trincea a Dada”, entrambi editi da Società Editrice Barbarossa.
Toccando poi temi etico-sociali complessi e delicati quali razzismo, migrazioni e antisemitismo, religione, islamismo, omosessualità, questione femminile, sistema carcerario11, tratteggia un ritratto di sé ben diverso da quello fatto emergere dai suoi detrattori, tramite lo strategico accostamento – quasi sempre non veritiero, a volte persino ingiurioso – a personaggi afferenti a un ambiente ultra cattolico e oscurantista.

A chiusura del nostro cerchio ideale, un passo fondamentale del discorso di Maurizio: una sorta di passaggio del testimone, da un “vecchio” miliziano ai giovani militanti.
Ci auguriamo che non cada inascoltato, che non si perda nel trottare goffo di chi ancora tiene il piede in due staffe…
«’Politica’ è l’amministrazione della città, per estensione dello Stato: per fare politica, a rigore, devi essere governante. Il militante non fa, quindi, politica, ma è impegnato nel mutamento. Questo mutamento alcuni lo auspicano in progressione, altri verso un recupero di tipo tradizionale, o conservatore. Tutti, comunque, si attivano per un mutamento, per “riordinare” lo Stato, le idee dominanti, il sistema […] Tu hai una vocazione, e devi rispettare questa con-vocazione, indipendentemente dal risultato, al di là di una sconfitta o una vittoria; tu devi agire consequenzialmente, in coerenza con la tua natura. Se il tuo destino, la tua missione è combattere, non ti devi neanche porre il problema “vincerò, non vincerò”: devi combattere, punto e basta, devi combattere l’ingiustizia, il nemico; avere chiaro qual è il vero nemico, qual è l’elemento che sta uccidendo l’umanità, che sta uccidendo i popoli, li sta abbattendo. Hai due scelte: o sei indifferente e scappi, o lo affronti, e la scelta dipende dalla tua natura. Tu devi fare quello per cui sei vocato, rispondere alla tua natura profonda».

“Siamo foglie gialle sui rami a primavera,
non siamo caduti in autunno.
Il sole che torna tiepido ci coglie mentre baciamo verdi gemme.
Appesi a rami, in sonno, eccoci mute sentinelle:
né il gelo
né il peso della neve
ci hanno fatto cadere.
Testimoni di un tempo andato,
alle verdi gemme
annunciamo il tempo che viene.
Abbiamo resistito all’inverno
affinché venga ancora primavera:
ce ne andremo con la brezza di Aprile
cadendo tra i ciliegi in fiore.
Passato il testimone
riposeremo su tappeti di margherite
in verdi prati imperlati di rugiada
tra i canti delle cicale.
Noi siamo foglie gialle
abbiamo resistito
e vegliato
nella lunga e gelata notte
preparando la primavera.
E se ad attenderci non saranno perle di rugiada e margherite
ma rovi e ortiche
per noi sarà lo stesso.”12

Nota dell’Autore
Per facilitare l’esposizione e per agevolarne la comprensione, molti concetti espressi da M. Murelli sono integrati nel testo, a volte leggermente rielaborati, seppur limitatamente alla forma, dunque non sempre virgolettati. Me ne scuso con l’autore e con il protagonista del documentario, sperando di non aver mai, in tale operazione, travisato il messaggio finale.

Note al testo

1. Non siamo caduti in autunno, di Umberto Baccolo, Matteo Luca Andriola, Elisa Torresin:
https://www.youtube.com/watch?v=uaIfF1nv-go&t=123s

2. Ugo Maria Tassinari.

3. E. Cuaz.

4. Pier Luigi Carissimi.

5. Aleksandr Dugin, La quarta teoria politica, NovaEuropa Edizioni, 2017

6. https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/oct/03/who-cares-elena-ferrante-italian-author-anonymity

7. https://it.wikipedia.org/wiki/Nazionalbolscevismo

8. http://www.cortedeibrut.com/#about-section-1

9. Nel dialetto siciliano, “crozza” indica il cranio, il teschio; il termine è noto anche fuori dalla Sicilia grazie alla celebre canzone popolare Vitti ‘na crozza (“vidi un teschio”).

10. Popolarissima serie di animazione giapponese, tratta dal manga di Riyoko Ikeda, trasmessa in Italia a partire dal 1982, ambientata nella Francia del Settecento e particolarmente accurata nei riferimenti storici.

11. L’argomento era stato precedentemente approfondito dallo stesso Murelli, già intervistato da Baccolo nel novembre 2019: https://www.youtube.com/watch?v=pzLoEiiXXlk

12. Brano estrapolato dal romanzo Alla Corte dei Brut (M. Murelli, AGA, 2016), interpretato nel documentario da Annamaria Rossano. Poiché al momento della stesura di questo scritto non potevo consultare il testo, sulla base di quella recitazione ho suddiviso, a piacere, il brano in versi.

Alessandra Iacono

1 Comment

  • Stefano 22 Aprile 2020

    Bellissimo documentario su una persona speciale, perchè Maurizio è un uomo che ha aperto dei mondi per molti di noi, Orion è stata la rivista più importante per la mia formazione così come molti libri pubblicati dalla sua casa editrice sono stati fondamentali, così come le “sintesi eretiche” sviluppate nel corso degli anni, di superamento in superamento, trasversalmente alle ideologie, oltre i dogmi, oltre gli steccati imposti dalle varie parrocchie… Sempre onore a questo grande uomo, un esempio per tutti noi ed ancora oggi una “bussola infallibile”. per orientarci nelle acque inferiori della post-modernità..

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