Il 9 novembre c’è stata la ricorrenza del venticinquennale della caduta del muro di Berlino che, come era prevedibile, è stata festeggiata in Germania con una fastosa kermesse a cui i nostri mass media hanno dato ampio spazio e, cosa altrettanto prevedibile, l’evento ha ispirato anche una dichiarazione del nostro ineffabile papa Francesco che si è affrettato ad auspicare che, come quello di Berlino, “cadano tutti i muri” e l’umanità possa ritrovarsi in un unico fraterno abbraccio.
Su questo aspetto, senz’altro marginale, della questione vorrei soffermarmi subito. Jorge Mario Bergoglio, il papa del mondialismo, per imporci il quale il potere mondialista che oggi controlla facilmente anche la Chiesa cattolica, non ha avuto nemmeno la pazienza di aspettare che il suo predecessore morisse, come è da sempre consuetudine per gli avvicendamenti sul soglio di Pietro, non ha nemmeno lontanamente il carisma di Karol Woytila, né la cultura di Josef Ratzinger, deve certamente possedere una certa astuzia per essere riuscito a scalare i vertici delle gerarchie vaticane, ma per il resto sembra un curato di campagna, e non dei migliori, capace solo di sfornare buonismo mieloso e banalità.
In questo caso, sembra che gli sia del tutto sfuggita la differenza fra una barriera artificiosa, esito della seconda guerra mondiale, che ha tenuto smembrata per decenni una grande nazione europea, e i confini naturali che esistono fra stati, popoli e culture diversi, che hanno la loro ragion d’essere, e le tragiche e recenti vicende mediorientali, dove esistono formazioni statali innaturali, eredità del colonialismo, che costringono a vivere assieme e, quando ne hanno l’occasione, a sterminarsi a vicenda popoli, etnie, culture diversi, lo dovrebbero dimostrare con ampiezza.
In tutta onestà, io non so se dell’anniversario della caduta del muro di Berlino ci sia qualcosa da festeggiare. Vorrei essere chiaro. Del comunismo sovietico non c’è nulla da rimpiangere: è stato il più atroce sistema di tirannidi mai comparso nella storia umana, e certamente non possiamo non considerare il fatto che, caso praticamente unico nella storia, questo sistema mostruoso che era l’impero sovietico, questo gigante ipertrofico, è crollato non per un’aggressione dall’esterno, ma per un’implosione interna, sotto il suo stesso peso, davanti alla constatazione di non riuscire a produrre altro che terrore e miseria.
Il tentativo di Michail Gorbacev di realizzare un sistema nel quale il comunismo convivesse con libertà e rispetto dei diritti umani, è stato un tentativo a suo modo generoso, anche se probabilmente il punto a cui era arrivata l’Unione Sovietica non permetteva di fare diversamente. Tuttavia il risultato dell’esperimento è estremamente chiaro: comunismo da una parte, libertà e diritti umani dall’altra, non sono compatibili.
Non solo, ma occorre evidenziare il fatto che il crollo del muro berlinese e tutti gli eventi che hanno portato alla disintegrazione dell’impero sovietico e dei regimi suoi vassalli, sono dipesi esclusivamente da una dinamica interna a questo sistema, e che dal cosiddetto “libero Occidente” non è mai arrivato nessun contributo, nessuno stimolo in tal senso.
Io ho trascorso gran parte della mia vita nell’epoca del “mondo diviso” e posso dare una testimonianza di prima mano. L’atteggiamento allora prevalente era una sorta di RIMOZIONE PSICANALITICA della minaccia sempre incombente all’est, tenuta permanentemente in scacco solo dall’“ombrello nucleare” americano, si faceva finta di non sapere che a cominciare da poco oltre i nostri confini esisteva il più atroce sistema di tirannidi mai apparso nella storia umana, si trattavano i comunisti come se fossero gente rispettabile invece che come i fautori che erano di un abominevole sistema tirannico. Questo ha avuto conseguenze rilevanti soprattutto per l’Italia che ha avuto il dubbio onore di ospitare il più forte partito comunista dell’Europa occidentale, lo vediamo tra poco.
Ciò, per inciso, contrastava e contrasta in maniera stridente con lo stato di emarginazione in cui erano e sono tenuti i “fascisti”, e per essere etichettato come fascista, bastava manifestare un anticomunismo “troppo” acceso, dire le cose come stanno senza peli sulla lingua. In pratica, era l’amore per la libertà a fare di te “un fascista” e a ben guardare, le cose sono ancora oggi così.
Che da parte della potenza statunitense, nostra signora e padrona, la contrapposizione all’Unione Sovietica fosse dettata da concorrenza imperialistica, e non certo dal desiderio di dare al mondo libertà e diritti umani, o qualsiasi ideale conclamato a gran voce, lo si desume facilmente dal fatto che delle tirannidi comunista tuttora esistenti non se ne cura un gran che, né sembra curarsene l’opinione pubblica mondiale, sempre a rimorchio del sistema mediatico “Made in USA”, tranne per i periodici sussulti bellicisti della caricaturale dittatura nordcoreana. Eppure, da solo, il comunismo cinese tiene in ostaggio un miliardo di persone, la nazione più popolosa della Terra, ha un sistema di campi di concentramento, i laogai, in cui è detenuta una “popolazione carceraria” numericamente pari all’incirca alla popolazione degli Stati Uniti, le condanne a morte sono profuse quotidianamente con una facilità irrisoria, i diritti dei popoli non cinesi invasi e sottomessi dall’ultima grande potenza comunista sono quotidianamente calpestati e il loro annientamento etnico è un obiettivo che il governo di Pechino non cessa di perseguire, parliamo dei Tibetani e degli Uighur del Sinkiang (oggi ribattezzato alla maniera cinese Xinjiang).
Certamente bisogna riconoscere che con la caduta del muro almeno è finito l’assurdo smembramento imposto alla Germania. Una volta che i regimi comunisti dell’Europa orientale sono crollati uno dopo l’altro, a catena dopo la decisione di Michail Gorbacev di non sostenerli più con la forza militare dell’Armata Rossa, a riprova di quanto consenso avessero fra le popolazioni che non vedevano altro che l’ora di sbarazzarsene, e la caduta del muro è stato l’evento-simbolo di un fenomeno spontaneo molto più vasto, si è aperta la strada alla riunificazione tedesca, avvenuta meno di un anno dopo, il 3 ottobre 1990.
Forse sarà il caso di ricordare che in occasione della riunificazione tedesca, Israele decretò tre giorni di lutto nazionale, togliendoci ogni dubbio caso mai l’avessimo avuto, sul fatto che ISRAELE E’ UNO STATO RAZZISTA. Nella mentalità contorta degli israeliani, la nazione tedesca non avrebbe mai più dovuto essere riunificata, le presunte colpe dei padri dovevano trasmettersi come un eterno marchio di infamia ai figli, ai nipoti, ai pronipoti per tutti i secoli a venire.
Guardiamo le cose come stanno, e rendiamoci conto che lo stato sionista non ha lezioni di alcun genere da dare a chicchessia: la persecuzione del popolo arabo palestinese mirante palesemente al genocidio è una vergogna per l’intera umanità, i muri e i reticolati che separano Gaza e la Cisgiordania dai territori che i sionisti hanno occupato, non hanno nulla da invidiare né allo stesso muro di Berlino né ai reticolati dei campi di concentramento. Israele è l’immagine stessa dell’oppressione senza ritegno contro altri esseri umani.
Certamente sono più che comprensibili i sentimenti dei tedeschi per questo evento che ha posto fine all’assurda lacerazione della loro patria, ma l’esperienza di un quarto di secolo ci ha dimostrato che almeno durante la Guerra fredda gli imperialismi sovietico e americano si bilanciavano, impedendosi a vicenda di arrivare alle conseguenze più devastanti.
Io su questo punto vorrei essere estremamente chiaro e non prestare il fianco a equivoci di sorta. Come ho detto, penso che dell’Unione Sovietica non vi sia nulla da rimpiangere, non solo, ma che se per ipotesi fosse stato l’imperialismo sovietico ad avere il sopravvento su quello americano, le conseguenze per l’intera razza umana, per questo pianeta, sarebbero state ancora più tragiche: abbiamo una testimonianza chiarissima di ciò che tutti quanti noi avremmo potuto aspettarci, dal modo in cui i sovietici hanno proceduto alla russificazione e all’assimilazione forzata dell’immenso e multiforme mosaico di popolazioni dell’impero che costoro ereditarono dagli zar. Gli esempi che potremmo fare in proposito sarebbero tantissimi, ma basterà ricordarne uno per tutti, forse il più tragico e mostruoso, l’HOLODOMOR, l’assassinio per fame, la carestia provocata che causò la morte di milioni di ucraini.
Tuttavia bisogna riconoscere che l’imperialismo sovietico ha un grande merito rispetto a quello americano, quello di essere scomparso cinque lustri or sono, non solo, ma che esso bilanciava quello americano, impedendogli di arrivare alle conseguenze più devastanti, che per reazione avrebbero potuto buttare nelle sue braccia i popoli dell’Europa occidentale.
Oggi l’imperialismo yankee, diventato planetario e non più limitato da nulla, si è trasformato in mondialismo che mira alla nostra distruzione come popoli attraverso il meticciato. E la realizzazione del piano Kalergi, in realtà elaborato decenni prima, prima ancora dello scoppio della seconda guerra mondiale (guerra che il capitalismo internazionale con sede a Washington, a Londra, a Parigi, ha in realtà provocato), che prevede la sostituzione dei popoli europei con una torma meticcia risultante dalla fusione di questi ultimi con milioni di immigrati allogeni, partendo dal presupposto che un’umanità ibrida dove in pratica nessuno è legato a nessun altro da vincoli di identità etnica, nazionale, storica, culturale, sarebbe la perfetta massa di burattini manovrabile a piacere da coloro che si ritengono i padroni del pianeta. E’ precisamente quel che sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi.
La decenza, il buon senso, un minimo di senso del pudore avrebbero voluto che i comunisti, di fronte al palese fallimento della loro utopia, rivelatasi un mostruoso sistema tirannico crollato sotto il suo stesso peso, abbandonassero l’agone politico.
Ovviamente, non l’hanno fatto, fidando nella smemoratezza della gente, che sembra incapace di ricordare ciò che è avvenuto più di due settimane prima, e si lascia plagiare dal sistema mediatico con facilità irrisoria.
Si sono riciclati convertendosi nel giro di una notte in “socialisti”, “democratici di sinistra”, “democratici” tout court, comunque appassionati apostoli della democrazia liberale e del libero mercato.
Quello che conta davvero, però, a mio parere, è il fatto che i democratici “occidentali” hanno avallato queste conversioni con una rapidità davvero sospetta, quegli stessi democratici s’intende, che negli anni della Guerra Fredda hanno praticato la politica dello struzzo, nascosto la testa nella sabbia, rimosso psicanaliticamente l’atrocità dei regimi comunisti e la minaccia che l’aggressiva politica sovietica rappresentava per tutti noi. Se non vi è mai stata e non vi sarà verosimilmente mai una Norimberga del comunismo, se alle vittime della più mostruosa delle tirannidi non verrà concessa nemmeno la giustizia della memoria, in un trattamento che non potrebbe essere più stridente con l’ostracismo che hanno costretto e costringono noi a subire da ormai tre generazioni, se ai comunisti è stato offerto con tanta prontezza un mantello per coprire le loro vergogne, invece di sprofondare loro la faccia nel fango, di metterli di fronte alle conseguenze atroci della loro utopia come sarebbe stato giusto, questo ormai non ci dice più molto sul comunismo, ma ci dice tantissimo sul conto della “democrazia liberale”.
In questo quadro si colloca ovviamente anche la situazione italiana. L’Italia ha avuto il discutibilissimo onore di avere in casa il più forte partito comunista dell’Europa occidentale; per un lunghissimo periodo il nostro quadro politico ha presentato una situazione di stallo, con i comunisti che ingombravano un’opposizione impossibilitata, data la situazione internazionale in cui l’Italia si collocava, a trasformarsi in alternativa di governo, e la Democrazia Cristiana di fatto maggioranza di governo permanente e inamovibile.
Stando così le cose, si era presto avviata una collaborazione sottobanco fra i due partiti presunti antagonisti, una collaborazione che doveva diventare sempre più esplicita fino a tradursi ufficialmente in partecipazione del PCI al governo nazionale. Questo progetto, noto come “compromesso storico”, inventato dal leader democristiano Aldo Moro, e proseguito anche dopo l’uccisione di costui a opera delle Brigate Rosse, non aveva però la possibilità di tradursi in concreto finché c’era la Guerra Fredda, ma dopo la fine di essa è proseguito alla grande, fino alla fusione degli ex(?) comunisti e degli ex(?) democristiani in un unico partito, il PD, quello che disgraziatamente ci governa. Se non sapessimo che la gente ha la memoria corta ed è facilmente manipolabile dal sistema mediatico, ci sarebbe veramente di che rimanere allibiti. E’ bastato agitare uno spauracchio, uno zimbello che si è gentilmente prestato allo scopo, tale Silvio Berlusconi da Arcore, e la gente ha buttato nel water la memoria sia di cosa è stato il comunismo, sia della corruzione democristiana.
Per disgrazia, al momento della caduta del muro berlinese, di comunisti in Italia ce n’erano un bel po’, e non è che siano scomparsi come neve al sole o si siano ricreduti, si sono riciclati: nella maggior parte si sono trasformati in piddioti complici del mondialismo. Oggi il PD è il più zelante sostenitore dei progetti del mondialismo, senza accorgersi o facendo finta di non accorgersi che questo sogno cosmopolita è in realtà il progetto di un’umanità di schiavi alle dipendenze del potere del grande capitalismo internazionale.
Un’altra parte è costituita dagli estremisti, dagli irriducibili dei cosiddetti Centri Sociali, si tratta di coloro a cui la dissoluzione dell’impero sovietico e il quarto di secolo trascorso da allora, non hanno insegnato proprio nulla. Inutile dire che si tratta prevalentemente di scarti umani, teppisti e gente assai più usa ad avere rapporti con spacciatori che non con datori di lavoro.
Solo apparentemente, queste due direzioni prese dagli ex(?) comunisti sono divergenti, mentre in realtà sono complementari, perché la gentaglia dei Centri Sociali è sempre disponibile per essere usata come truppa d’assalto contro qualsiasi movimento identitario che si opponga ai progetti mondialisti.
La conseguenza più grave della fine della Guerra Fredda, di cui la caduta del muro di Berlino è l’evento simbolo, è l’invasione extracomunitaria che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi, e che ci fa chiaramente capire che nei progetti del mondialismo, la nostra gente come tutti i popoli europei sono destinati a sparire, a essere soppiantati.
Pensate che valga davvero la pena di festeggiare questa ricorrenza?
Fabio Calabrese
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