Di Daphne Eleusinia
Come promesso ai Lettori di EreticaMente, presentiamo qui la seconda parte dello studio dedicato a “Nemesi Sovrana … Vittoria … che condivide il trono di Giustizia” (Inno di Mesomede a Nemesi). Se, nella prima parte, avevamo tentato un’analisi dell’Inno di Orfeo dedicato alla Dea, ora ci volgeremo all’analisi teologica del Nome e di alcuni miti che La riguardano, iniziando dalla sua più alta manifestazione nell’ordine della Gerarchia divina fino ad arrivare alle sue Forme più evidenti e, per così dire, apprezzabili da tutti gli esseri umani, sia che essi si siano volti all’Eusebeia sia che abbiano scelto la via dell’ingiustizia e dell’ateismo, nelle sue molteplici e svariate apparenze. Come avevamo infatti anticipato nella prima parte di questo studio, Nemesi Adrasteia Rhamnousia è una Dea che, pur avendo ‘abbandonato’, a causa dell’ingiustizia prevalente in questa epoca, questo mondo sub-lunare in cui si trovano a dimorare le anime parziali, umane, tuttavia è anche una Divinità che sorveglia molto da vicino i pensieri e le azioni dei mortali, legandoli tutti a quella Ruota di cui detiene il dominio assoluto – bilancia, ruota e grifone, questi sono infatti gli attributi di Nemesi (cf. cenni teologici ed iconografia). Per questo, avevamo detto che Rhamnousia è soprattutto legata alla possibilità di scelta che possiede ciascuna anima che si trova a vivere nelle condizioni attuali che tutti ben conosciamo, poiché è in base alla Provvidenza dei Cori divini che ciascuno ha sempre di fronte a sé la ‘scelta di Eracle’, nessuno escluso, la scelta se diventare parte del “branco dei cani senza ragione” (se le anime scelgono il “genere mortale di vita”, quello che non guarda alle realtà divine, diventano schiave di Heimarmene ed essa se ne serve “come di cose prive di ragione”, e, avendo commesso atti di asebeia, entrano a far parte del branco dei “cani senza ragione” di cui parlano gli Oracoli, cf. Or. fr. 153, 156, 157, 180, 213). oppure se riunirsi alla fonte stessa della Provvidenza, che è intellettiva ed origine della perfezione e degli stessi Misteri che ‘liberano’ l’umanità. Infatti, i “Signori origine della perfezione”, i Teletarchi della Teologia, hanno rango intellettivo all’interno dell’ordinamento generatore di Vita, su cui domina la prima Madre degli Dei, ossia Notte-Dikaiosyne (ordinamento Noetico-e-Noerico), pertanto, come avevamo anticipato, non vi è alcuna differenza fra l’iniziazione ai Misteri ed il rango intellettivo/Provvidenza, perché “gli Dei che sono all’origine dell’iniziazione non possono che chiamarsi Teletarchi” e sono solo questi Dei che possono far sì che “le anime che si elevano insieme ai Dodici Dei verso la Bellezza Intelligibile, siano iniziate alla più beata delle iniziazioni”. Solo attraverso tale iniziazione, esse sono introdotte ai Misteri e giungono alla visione conclusiva delle cose ineffabili: “lì dunque si trova l’iniziazione degli Dei, lì i primissimi Misteri”, nel livello intellettivo che permette l’ascesa verso il Luogo Iperuranio. E’ molto importante tenere a mente tutto ciò, proprio perché la più alta forma di Nemesi è quella congiunta a Dikaiosyne stessa: nell’ordinamento Noetico-e-Noerico, il livello intellettivo “perfeziona”, quello vitale “connette”, ma quello essenziale “unisce”, ed è solo il Thesmòs di Adrasteia che fa da tramite fra il livello connettivo e quello unificante alla Bellezza Intelligibile (cf. Theol. IV 73). Pertanto, se non si afferra questo legame fra i Misteri e la Giustizia di ordine superiore, sarà poi anche impossibile arrivare a parlare delle Realtà Noetiche e, soprattutto, del ricongiungimento all’Enade di tutte le Enadi. Questo anche perché, come la Triade dei Perfezionatori sussiste in analogia con l’Intelletto Noetico, la Triade delle Tre Notti sussiste in analogia con l’Essere Noetico, dunque, con la primissima manifestazione dell’Essere stesso, l’Uno-che-è. Come del resto afferma il divino Proclo: “tutte le forme di perfezione dipendono dalla perfezione degli Dei”: dunque, anche la potenza perfezionatrice della Natura sulle entità che vengono ad essere, il perfetto numero di cicli e di ritorni dell’anima al punto di partenza, la perfezione dell’Intelletto, che è posta in alto in modo unitario, in una parola, ogni perfezione deriva dai Sovrani e primissimi iniziatori ai Misteri che, a loro volta, elevano verso la ‘Pianura della Verità’ di cui avevamo già ampiamente riferito nello scritto dedicato a Dikaiosyne. E’ comunque, per concludere questa breve introduzione, per questo motivo che triplice è anche l’iniziazione che è stata trasmessa ai mortali, in analogia con questo ordinamento Noetico-e-Noerico, ossia: il rito di iniziazione (teletè – Misteri Minori), quando siamo resi perfetti attraverso la purificazione, gli insegnamenti preliminari ed il rito, elevandoci sotto la guida degli Dei Perfezionatori; si ha quindi l’iniziazione vera e propria (mueseos – I iniziazione ai Misteri Maggiori), quando siamo iniziati alle integre e stabili visioni sotto la guida degli Dei Connettori, presso i quali si trova la totalità intellettiva; per finire, la visione conclusiva (epopteias – Iniziazione complessiva), quando infine giungiamo alla visione conclusiva presso gli Dei riunenti la totalità delle cose nella Sommità essenziale. Il potere di Nemesi proviene esattamente da questo livello, il che giustifica ampiamente tutte le sfere che vedremo essere sotto il suo dominio. Come teniamo sempre a ricordare, questi scritti che presentiamo ai Lettori non hanno certo la presunzione di poter tramandare tutto quello che sarebbe necessario dire e ricordare su Temi così elevati, Temi che hanno a che vedere con la liberazione stessa delle anime, la loro origine ed i loro cicli, senza contare che certe verità sugli Dei divengono, ad un certo punto, realmente “ineffabili”. Se cerchiamo di condividere alcune riflessioni, a
partire dagli insegnamenti di Teologi e Maestri – veri iniziati, che ricevettero i loro insegnamenti dagli stessi Dei, come affermano chiaramente i loro discepoli, e come rendono manifesto gli Oracoli dei Teurghi – ancora una volta, è solo con lo scopo di diffondere Verità che l’ateismo ha cercato di gettare nell’oblio, sottraendo all’umanità quello che, al contrario, è nella sua natura conoscere e fare proprio. Per questo stesso motivo, non citiamo mai autori moderni o contemporanei, per quanto alcuni abbiano senz’altro scritto pagine importanti e degne di rispetto: per quanto possiamo, desideriamo attingere solo alle fonti che, senza ombra di dubbio, non sono state contaminate da superstizioni di vario genere, ateismo e presunta filosofia. Solo coloro che veramente hanno vissuto tutte le prove delle iniziazioni, solo coloro che hanno ‘visto’ e si sono uniti alla Realtà divina, solo costoro sono in grado di affermare limpidamente l’unità fra Teologia ed Iniziazione, fra Misteri e Filosofia e “tendono la mano” affinché tutti coloro che lo desiderano possano avere la stessa Fortuna – gli altri, quelli che non hanno mai avuto parte alle “beate visioni” e non hanno mai neppure scorto da lontano la Luce di Eleusi, ebbene, possono fare ben poco per risollevare l’umantà dalla misera, condizione attuale, lontana dalla Luce, quella di cui parla, in modo allusivo, anche Aristofane, il quale, in pochi versi, racchiude anche il legame che intercorre fra Giustizia ed Iniziazione: “poiché soltanto per noi il Sole e la sacra Luce sorridono, noi che fummo iniziati ai Misteri e siamo vissuti con pio rispetto verso gli ospiti ed i cittadini.” (Rane, vv. 455 e ss.)
Conclusa questa brevissima introduzione, possiamo passare, come avevamo anticipato, all’analisi in primo luogo del Nome della Dea, un’analisi necessaria poiché sappiamo bene che la lingua greca racchiude l’immensa possibilità di avvicinarsi alla Realtà divina anche solo attraverso i dettagli che essa rivela. Dunque, nella prima parte di questo studio, avevamo visto che Νέμεσι significa principalmente, come anche νέμησις, “distribuzione di ciò che è dovuto; retribuzione; collera suscitata dall’ingiustizia; indignazione suscitata dalla vista di chi gode di ciò che non merita; ira divina contro la violazione delle norme; vendetta compiuta contro coloro che offendono i defunti e/o non compiono i loro doveri nei confronti di quelli ”, in una parola: divina Retribuzione. Avevamo altresì detto che questo Nome deriva dal verbo νέμω: ora, questo verbo significa in primo luogo “distribuire, fare le parti”, sia riferito alle cose più semplici (spesso utilizzato nei poemi omerici, in riferimento a bevande e cibi – non per caso, visto che sappiamo che cibo e bevanda sono simbolo dei nutrimenti intellettivi delle anime – come in κρέα, μέθυ ν., Od. 7.179, 8.470, 10.357, Il. 9.217), sia riferito a ciò che gli Dei, e Zeus nello specifico, ‘distribuiscono’ ai mortali, a causa delle loro stesse azioni (come in “Ζεὺς . . νέμει ὄλβον . . ἀνθρώποισιν – agli uomini assegna la felice prosperità lo stesso Zeus Olimpio” Od. 6.188; “Ζεὺς τά τε καὶ τὰ νέμει, Ζεὺς ὁ πάντων κύριος – Zeus comparte bene e male, Zeus di tutto sovrano” Pind. Isthm. V 63; “… Ζεὺς νέμων εἰκότως ἄδικα μὲν κακοῖς, ὅσια δ᾽ ἐννόμοις … – Zeus sorveglia entrambe le fazioni in questa disputa con bilancia imparziale, assegnando, come dovuto, ai malvagi le loro ingiuste azioni, e a coloro che rispettano il divino le loro opere di Giustizia” Esch. Suppl. 403). In questo senso, si dice: “coraggio, Zeus in cielo è ancora potente, ed Egli vede e governa ogni cosa. Lascia la tua grande ira a Lui – νέμουσα” (Soph. El. 176), con il senso di “assegna/affida a Lui il compimento della Giustizia”, perché l’ira contro i malfattori è un tratto caratteristico proprio di Zeus (cf. Zeus-Dike-Nemesi), cui coloro che hanno subito ingiustizia devono ‘affidare’ il compito di esigere il giusto ‘compenso’ (a questa forma di Zeus appartengono gli epiteti “ἀλάστωρ, ἀλιτήριος, τιμωρός”, Colui che vendica ed esegue il ‘castigo’, cf. epiteti di Demetra, s.v. Aliteria). Del resto, esiste anche una sorta di detto proverbiale, “Ἐμοί τε ἐπιστολαί”, riferito alla superbia di Capaneo: egli si vantò del fatto che nemmeno Zeus avrebbe potuto impedirgli di scalare le mura (cf. Sette contro Tebe), al che venne giustamente fulminato – a tal proposito, si ricorda appunto l’esclamazione “Ἰὼ Νέμεσι καὶ τὸ Διὸς βαρύβρομοι βρονταί – Iò Nemesi e tuoni ruggenti di Zeus … mettete fine alla sua presuntuosa vanteria!” (Eur. Phoen. 182)
Riferito agli esseri umani, può significare o “attribuire l’onore/il rispetto dovuto” (Esch. Pr. 294; Eum. 624), oppure “dare l’opportunità di compiere una scelta” (“se la scelta ti fosse stata concessa, cosa avresti scelto – di affliggere i tuoi amici e avere gioia per te stesso, oppure di condividere il dolore degli amici che soffrono?” Soph. Aj. 265); questo senso di ‘giusta assegnazione’ ritorna anche nelle parole del divino Platone relative a Sparta: “voi non assegnate onore o formazione (τιμὴν καὶ τροφὴν νέμετε) differente, nonostante ricchezza o povertà, all’uomo comune o al re.” (Leggi 696a). Sempre nelle Leggi (862e-863a), Platone riferisce come debba agire il Legislatore nei confronti degli ‘incurabili’: “il legislatore realizzerà che in tutti questi casi, non solo è meglio per gli stessi ingiusti non vivere più a lungo, ma anche che essi offriranno un doppio beneficio agli altri abbandonando la vita – poiché essi serviranno come monito agli altri di non agire ingiustamente, ed inoltre libererà lo Stato dai malvagi – così, di necessità il legislatore infliggerà la morte (θάνατον ἀνάγκη νέμειν) come castigo per le loro azioni dannose.” Inoltre, fra i molti altri significati possibili, assai importante per la nostra ricerca è il fatto che si tratti di un verbo usato anche per indicare “avere dominio su qualcosa, amministrare” (“πόλιν” Erod. 1.59, 5.29; “τὰς Ἀθήνας”, ib. 71, etc.; “λαόν” Pind. O.13.27; “πάντα” A. Pr.526; “ἀστραπᾶν κράτη ν.” Soph. OT 201; “κράτη καὶ θρόνους” ib.237). Avvicinandoci maggiormente al nome della Dea, “Νεμεσίζει” significa “provare giusto risentimento” di fronte a qualunque cosa superi la misura, violi la norma e la giustizia (Suda s.v.; Hesych. n.277), ma anche “Νέμεσις: μέμψις, δίκη, ὕβρις, φθόνος, τύχη – Nemesi: biasimo/riprovazione, giustizia/Dike, hybris, indignazione/rancore divino, Tyche/sorte.” (Suda s.v. Νέμεσις; Phot. n.111).
Naturalmente, l’indagine linguistica si potrebbe protrarre molto a lungo, però ora è tempo di volgerci all’analisi teologica a partire dalle fonti: si danno diverse genealogie per la Dea, e certamente la madre più antica è la Notte che, insieme a Nemesi, da sola, genera anche “le Moire e le Chere che puniscono senza pietà: Cloto, Lachesi ed Atropo, che ai mortali alla nascita concedono di avere bene e male, e le Dee che perseguono le trasgressioni di uomini e Dei, né mai smettono la terribile collera prima di aver impartito un duro castigo [“la retribuzione”] a chiunque abbia errato. Generò anche Nemesi, rovinosa per i mortali [“qualora si faccia ingiustizia, in questo caso segue una sentenza della giustizia”]” (Es. Erga 211 e ss.). Ora, quanto riferisce Esiodo (confermato anche da Paus. VII 5.3 e da Igino, Fab. che però dice essere figlia anche di Erebo) non può che far pensare che questa sia appunto la forma gerarchicamente più alta di Nemesi: “Adrasteia: alcuni dicono che è Nemesi … Antimaco dice che esiste una certa grande Dea, Nemesi, che distribuisce tutte le cose ai Beati” (Antim. fr. 43 Wyss). Dunque, questa è la Nemesi Adrasteia che stabilisce distribuzioni e norme anche per gli stessi Dei: “il Regno di Adrasteia” nel Luogo Iperuranio. Come avevamo spesso accennato, Adrasteia è ‘Colei che misura’ tutte le cose ed assegna pertanto la ‘Retribuzione’ in base alla Legge che domina anche le Norme di Crono e di Zeus (Intellettive e Demiurgiche), nonché quelle di tutto il Cosmo (Cosmiche e di Heimarmene) e di tutte le anime, divine e parziali: tutte le Leggi divine, dall’alto fino agli ultimi livelli. La Legge di Adrasteia Nemesi pertanto opera in tal modo: tutte le Norme, in base ad un’unica semplicità intelligibile, le contiene la Legge di Adrasteia, perché tale Legge garantisce a tutte sia l’essere sia le misure della loro potenza (cf. “a Ida dal bell’aspetto e Adrasteia nata dallo stesso seme, che assomma e comprende in sé singolarmente le misure di tutte le leggi intramondane e sopramondane, di quelle stabilite dal fato e di quelle divine – ci sono infatti leggi divine e temporali, e leggi divine sopramondane ed intramondane” Herm. in Phdr. 248). Proprio per questo, come avevamo già accennato, l’iconografia spesso ci tramanda la forma congiunta di Diokaiosyne-Nemesi, la Dea che regge sia la Bilancia sia la Ruota (cf. ad esempio, rilievo votivo, Museo di Dion; rilievo votivo, Kunsthistorisches Museum, Inv. I 808; lampada, British Museum, Inv. Q 2053, Q 2054); però, a differenza delle altre forme di Nemesi, quella congiunta a Dikaiosyne regge sempre una ruota a 8 raggi. Ora, il numero 8, fra le altre proprietà, possiede anche le seguenti: “esso ha una tale straordinaria armonia, è il numero che genera la più giusta delle armonie, essendo uguale al primo fra tutti i numeri moltiplicato un uguale numero di volte uguali un uguale numero di volte (l’otto è il primo cubo in atto che, insieme al secondo cubo in atto, il 27, genera il 35, il numero che racchiude l’armonia più perfetta – cf. Commento al Timeo, Trattato sull’Armonia) … il numero 8 è chiamato ‘sicurezza’ e ‘stabilità’ … donde il proverbio ‘tutto è 8’, il numero 8 è il principio dei rapporti musicali.” (Giambl. Theol. Aritm. 72-75). Nemesi Adrasteia è dunque la Potenza custode cui non ci si può sottrarre e che contiene in sé l’immutabile comprensività che si diffonde ovunque. Infatti, nulla può sottrarsi alla Legge di Adrasteia: alle norme del Fato sono superiori sia gli Dei sia le anime che vivono secondo l’Intelletto e che si consegnano alla Luce della Provvidenza; alle norme di Zeus sono superiori gli Dei Cronii, in base all’essenza; alle norme Cronie sono superiori gli Dei Connettori e Perfezionatori; ma “alla Legge di Adrasteia tutte le cose sono soggette, tutte le distribuzioni di Dei, le misure, i custodi sono venuti a sussistere in base a tale Legge.” Presso Orfeo si dice che la Dea abbia in custodia il Demiurgo universale e ‘presi i cembali di bronzo ed i timpani dal suono acuto’ li fa risuonare così forte che tutti gli Dei si ‘convertono’ verso di Lei” (cf. Herm. in Phdr. 248; Theol. IV 17). Adrasteia ha dunque in custodia in Demiurgo universale ma, scendendo/procedendo nella gerarchia, è anche un Potere legato al Demiurgo, nel suo strettissimo legame con Themis e proprio in quanto potere intellettivo da cui discendono tutte le Norme, Hypercosmiche ed Encosmiche. Non per caso dunque, nel Santuario di Ramnunte, sulla soglia esistevano due troni, uno accanto all’altro, uno di Themis e l’altro di Nemesi (la fondazione originaria di questo culto congiunto è attribuita al sovrano Eretteo, Hesych. s.v. ῤαμνουσίας ἀκτάς); un rilievo votivo del 330 a.e.v. rappresenta dei portatori di fiaccole che venerano tre Dee: Themis, Nemesi e Nike (London BM 1953.5-30.2); entrambe le Dee reggono la phiale, attributo che indica la natura soprattutto religiosa del loro Thesmòs, una Norma religiosa che, come avevamo visto negli studi precedenti, discende poi in tutte le rette leggi dei mortali – inoltre, assai spesso, dalla phiale Nemesi nutre un serpente che potrebbe sia essere identificato con l’Agathos Daimon del Cosmo sia essere un indizio della natura anche Ctonia della Dea (cf. festa delle Nemesia e protezione dei defunti e dei loro diritti: interessante notare che in base alle evidenze, la costruzione del Tempio di Nemesi a Ramnunte ebbe inizio proprio il 5 Boedromion, giorno dedicato alle feste statali in onore dei defunti, e si deve anche segnalare la connessione fra Nemesi e la vittoria di Maratona, celebrata il giorno seguente, 6 Boedromion. Cf. Calendario Religioso). Inoltre, Nemesi e Themis condividono un epiteto molto particolare, Ἰχναῖα, “che segue le tracce”: nell’Inno Omerico ad Apollo, si dice che tutte le “Signore fra le Dee” si trovassero con Leto durante le doglie, “Dione e Rhea, Ichnaea e Themis e Amphitrite e le altre Dee immortali.” Questo nome è attestato per Nemesi (AP9.405 (Diod.), Lyc.129) ma anche per Themis stessa: “Ἴχναι (in Tessaglia) dove è venerata Themis Ichnaea.” (Str.9.5.14)
Come avevamo detto, dal Demiurgo universale promanano anche le Dee Custodi (infatti, la seconda genealogia proposta per Nemesi è proprio in quanto figlia di Zeus, cf. Homerica Cypria Fr. 8), “custodi delle leggi” (nomophylakas) o “custodi” (phylakas) in quanto i Custodi Inflessibili sono venuti a sussistere congiuntamente ai “Sovrani Intellettivi della totalità dei Cosmi.” (Theol. V 122) Ecco perché “i Pitagorici chiamano il cinque anche Nemesi: in effetti questa ‘distribuisce’ [νέμει] convenientemente, servendosi del numero 5, gli elementi sia celesti che divini e naturali (i cinque Elementi), le cinque figure dei movimenti ciclici sia della Luna che delle altre Stelle, cioè il sorgere alla sera, il tramontare alla sera, il sorgere all’alba, il tramontare all’alba, e la rivoluzione degli Astri pura e semplice, priva cioè di riferimento al sorgere e al tramontare; distribuisce inoltre i Corpi Celesti che sono sugli epicicli (tutti i Pianeti ad eccezione del Sole e della Luna) secondo due stazioni, in progressione o in regressione, e quelli che non lo sono (Sole e Luna) in un’unica forma di movimento regolare; anche le piante hanno 5 parti nella loro struttura globale: radice, fusto, corteccia, foglie, frutto … il 5 è chiamato anche Πρόνοια (Provvidenza) e Δίκη (Giustizia), nel senso di “divisione in due parti uguali” (δίχησις = δίχασις, la divisione in due) perché rende uguali i disuguali, e Βουβάστεια perché è venerata nel Tempio egizio di Bubasti (Bastet è la “Figlia di Ra” [come Hathor, Tefnut, Sekhmet, Mekhyt, e molte altre Dee] ed è quindi una delle varie Forme della manifestazione dell’Occhio di Ra. Ha il nome di “Gatta di Ra”, ed in questa Forma la Dea distrugge i nemici di Maat e di tutti gli Dei – come tutte le altre Figlie di Ra, Coloro che distruggono i kakodaimones. Bastet è identificata con la Dea Raet, la Sposa di Ra, e con Atumet, la controparte femminile di Atum, ed anche per questo è spesso chiamata “Occhio di Ra” ma anche “Occhio di Atum”. Il Suo Luogo sacro per eccellenza è appunto Bubastis, la capitale del settimo nomo del Basso Egitto. Esattamente come Sekhmet, la Leonessa, è identificata con Artemide – cf. “Adrasteia Nemesi è anche Artemide” perché, del resto, Nemesi è detta “Virgo”, esattamente come Artemide, Demetr. fr. 18 Gaede, Cat. 66, 71. La Dea è anche Colei che protegge i devoti, nella forma di una gatta che allatta i suoi piccoli [necropoli di Memphis, 664-30 a.e.v.; Brooklyn Museum], e spesso è anche rappresentata con il sistro di Hathor [cf.], il che è molto significativo a causa dell’identificazione di Hathor con Afrodite – comunissima infatti, nell’iconografia, la forma di Afrodite Nemesi), ed Afrodite perché rappresenta il connubio fra numero maschile e numero femminile (3+2). Per questo stesso motivo è chiamata Γαμηλία (Nuziale, proprio come Hera), e Ἀνδρογυνία (Androginia), ed è anche “semi-dio”, non solo perché è la metà di 10 che è numero divino, ma anche perché si colloca nel mezzo del suo proprio diagramma. Ed è anche chiamato ‘gemello’ perché è in grado di dividere in due parti uguali il 10 che non è divisibile altrimenti in parti uguali, e Ἄμβροτον (Immortale, Divino, si dice di tutto ciò che appartiene agli Dei, cf. “αἷμα” Il.5.339; “ἵπποι” 16.381; “τεύχεα” 17.194, “κρήδεμνον” Od. 5.347; “ἱστός” 10.222; “νύξ” 11.330), e Pallade perché appare come la quinta essenza (Proclo, In Crat. § 185, sostiene che i due nomi, Pallade ed Atena, si riferiscono a due distinti poteri della Dea: “ora dunque Socrate, con il nome di Pallade, celebra l’arte del custodire, con quello di Atena l’arte di portare a compimento.” Pallade è il potere protettivo (φρουρητικός) “protegge il puro ordine degli universali dal mescolarsi con la materia”), e Καρδιᾶτιν (lett. Essenza e/o funzione del cuore) perché somiglia al cuore che, negli esseri viventi, è posto al centro (altro riferimento a Pallade, poiché “Tu che hai salvato il cuore, che non era stato tagliato a pezzi, del sovrano Bacco nella volta del cielo, quando un tempo fu fatto a pezzi dalle mani dei Titani, e portato a suo Padre così che, attraverso le ineffabili volontà di colui che lo aveva generato, un nuovo Dioniso nascesse nuovamente da Semele attorno al Cosmo”: quando Dioniso fu fatto a pezzi dai Titani, solo il cuore fu salvato dalla Dea, e da ciò prese il nome di Pallas= ek tou pallein tèn kardian. Cf. esegesi metafisica del mito di Zagreo, ossia il corpo di Zagreo fatto a pezzi rappresenta l’Anima Cosmica, mentre il suo cuore, preservato intatto da Atena, rappresenta l’ Intelletto Cosmico … solo l’essenza intellettiva e la molteplicità intellettiva è stata lasciata sana e salva dall’azione di Atena: “solo infatti lasciarono il cuore noerico” – In Tim. II 145-146, 1).” (Giambl., Theol. ar. 40-41). Ebbene, nella prima parte di questo studio avevamo detto che Nemesi è strettamente collegata al Logos, alla Provvidenza e alla Agathe Tyche (Fortuna-Nemesi che regge il Cosmo, con il grifone e la ruota a sei raggi; cf. statuetta di Fortuna-Nemesi, Würzburg Martin von Wagner Museum; Fortuna-Nemesi dal Santuario del palazzo del proconsole ad Aquincum (Budapest), Museo di Budapest – appunto, fino all’età romana: “DEAE NEMESI SIVE FORTVNAE” Inscr. Grut. 80,1). Ecco dunque come spiega la questione il divino Proclo nel primo libro del Commento al Timeo: “Gli Stoici sostengono che l’uomo sapiente non ha alcun bisogno della Fortuna; Platone, al contrario, “vuole che le nostre attività dianoetiche, quando sono intrecciate al corporeo a causa della processione verso l’esterno, siano rinfrescate dalla brezza di una Buona Fortuna, affinché esse compiano felicemente la loro processione e rendano gradite agli Dei le loro azioni nei confronti di ciò che è altro da loro. Perché nello stesso modo in cui Nemesi sorveglia i vani propositi, così la Buona Fortuna guida i discorsi per il bene sia di coloro che ascoltano sia di colui che parla, perché gli uni li accolgano con sentimenti favorevoli e con spirito simpatetico e l’altro conceda con forza ed ispirazione ciò che spetta a ciascuno. Se si passa al Tutto, la Buona Fortuna significa l’attribuzione divinamente ispirata delle parti assegnate, secondo la quale ciascuno ha ricevuto dal Padre unico e dalla Demiurgia universale il posto che gli spetta.” (comm. al passo “ἀλλ΄ ἀγαθῇ τύχῃ χρὴ λέγειν μὲν ὑμᾶς͵ ἐμὲ δὲ ἀντὶ τῶν χθὲς λόγων νῦν ἡσυχίαν ἄγοντα ἀντακούειν – ma confidando in una buona sorte bisogna che voi parliate ed io standomene tranquillo per i discorsi di ieri, a mia volta vi ascolti.”). Altrettanto illuminante è quanto afferma a proposito della Provvidenza, nel suo legame con la facoltà intellettiva, quella che domina tutto il Cosmo e quella insita in noi, discorso che, ancora una volta, mostra la superiorità del Dominio di Nemesi rispetto al Fato puro e semplice: “le prime e più elevate porzioni del Cosmo mostrano di fatto segni molto chiari dei doni della Provvidenza. Sempre seguono la loro via in modo perfetto, con ciò imitando l’Intelletto stesso, essendo del tutto buone e datrici di beni per tutte le altre parti. Sono poteri creativi e datori di vita, e controllano completamente la perfetta Virtù. Le parti intermedie – quelle che possono esercitare una scelta ed hanno ricevuto una vita che ondeggia da un estremo all’altro (le nostre stesse anime) – non sembrano essere governate meno dall’uno che dall’altro (Provvidenza e Fatalità). Infatti, le persone hanno esperienza della Provvidenza come di qualcosa di evidente,
per il fatto che essi dicono di essere al corrente della sua influenza, e grazie al fatto che l’attività correttiva di Nemesi per i discorsi ingiusti è nota e famigliare a tutti … essi fanno esperienza della Provvidenza negli Oracoli, nelle epifanie di Dei o Daimones, nella terapia onirica ed in tutte le occasioni simili. Hanno esperienza della Fatalità quando cadono in ogni genere di difficoltà e divengono consci dell’attività degli Astri che discende fino a noi … l’Intelletto in noi è affine alla Provvidenza, la Necessità in noi è affine alla Fatalità (cf. Leggi di Heimarmene). E noi, di fatto, o viviamo in accordo con l’Intelletto presente in noi, oppure in accordo con la Necessità in noi … nessuno dovrebbe criticare la Provvidenza, ignorando il fatto che Ella conosce ciò che, in ogni trattamento salutare, dei corpi e delle anime, è la cosa più importante, il Momento appropriato … uno dovrebbe piuttosto ascoltare la Provvidenza quando afferma: ‘per te è adesso il momento di sopportare la sofferenza, ma per colui che la causa il momento opportuno per soffrire verrà in futuro.’ Se uno meditasse su ciò con cura, proverebbe pietà per coloro che persistono nel loro comportamento ingiusto …e diventerebbe, io credo, un ammiratore della Provvidenza e canterebbe Inni in Suo onore.” (Proclo, Dieci problemi, VII, 46-51) Qui si spiega, fra le altre cose, perché Macrobio (Sat. I 22.1-7) leghi strettamente Nemesi, Pan ed i poteri del Sole: “Nemesi, invocata contro la superbia, che altro è se non il potere del Sole? Esso ha la proprietà di oscurare e sottrarre alla vista i corpi splendenti e di illuminare ed offrire alla vista ciò che è oscuro. Lo stesso Pan, che chiamano Inuo, sotto l’aspetto in cui è visibile, lascia capire alle persone più sagge di essere il Sole. Gli Arcadi venerano questo Dio chiamandolo “τὸν τῆς ὕλης κύριον” (il Signore della hyle= selva; materia), volendo intendere non il padrone dei boschi, ma il dominatore di tutta la materia universale che costituisce l’essenza di tutti i corpi, sia divini che terreni … amore e delizia di Inuo è ritenuta Ἠχώ (Ekho) che non si lascia vedere da nessuno, simbolo dell’armonia celeste, che è cara al Sole in quanto reggitore di tutte le sfere da cui essa nasce, e che tuttavia non può mai essere percepita dai nostri sensi.” Questo è il limite dei Poteri sovramondani di Nemesi, potenze che appunto, passando per la sfera del Sole e dell’Armonia cosmica (ricordiamo infatti che ‘Nemesi’ è anche il nome del settimo κλῆρος (τοῦ Κρόνου – di Crono; cf. Rhetor. in Cat.Cod.Astr. 1.160, 168, cf. Vett.Val. 2.22), determinano le ‘giuste porzioni’ anche nel mondo del divenire. Del resto, proprio questo simboleggiano gli attributi della Dea: “una ruota si volge ai piedi della Sovrana, stando ad indicare che Ella scaglia giù l’orgoglioso dall’alto al suolo, con la ruota della Giustizia che vendica le azioni ingiuste, Ella, la Dea che tutto vince, che muta il percorso dell’esistenza. Attorno al suo trono vola un uccello vendicatore, il Grifone, che o vola con le sue ali oppure sta in equilibrio sulle sue quattro zampe, che vola di fronte alla Dea alata e mostra che Ella stessa attraversa i quattro separati angoli del Cosmo; gli uomini troppo orgogliosi e superbi Ella imbriglia con il suo morso da cui nessuno può liberarsi – tale è il significato dell’immagine, ed Ella fa rotolare un altezzoso qui e là con la sferza della sofferenza, come una ruota che si muove da sé (perché, appunto, è l’arrogante che causa da sé i suoi propri mali).” (Nonno, Dion. 48. 375 e ss.)
A questo punto, Nemesi diviene “messaggera di Dike” e vendicatrice di tutto ciò che, nelle vite dei mortali, supera la misura o infrange le norme: “Nemesi era presente, Colei che osserva tutte le cose che accadono sulla terra, ossia Colei che sorveglia tutte le azioni ingiuste” (Babr. 43.6). Anche per questo, in modo simbolico, diversi autori affermano che Nemesi sia la vera madre di Elena e dunque all’origine di tutto quello che in seguito accadde agli Eroi: Leda sarebbe proprio da collegare con Nemesi di Ramnunte – l’uovo da cui nasce Elena deriva proprio da Nemesi (che spesso, come abbiamo detto, è associata ad Afrodite, soprattutto nelle immagini più arcaiche). Nemesi ha donato quell’uovo a Leda e quest’ultima, alla nascita di Elena, la allevò come figlia propria. Questa è la anche la spiegazione del perché anche Elena ha l’epiteto ‘Rhamnusia’. Inoltre, sul piedistallo della statua di culto di Nemesi a Ramnunte figurano proprio Nemesi ed Elena, condotta dalla Dea alla regina, insieme a tutta la famiglia di Tindareo. Ultimo particolare: la costellazione del Cigno deriva proprio da questo mito, come narra Igino (cf. Cypria Fr. 8; “vedo la fiaccola alata (Paride) che si affretta per cogliere la colomba (Elena)” Lyc. Alex. 86; Paus. I 33. 4; Ig. Astr. 2.8).
Del resto, è proprio Platone (Leggi IV 717D) a definire Nemesi “Messaggera di Dike”: “durante tutta la sua vita deve osservare in modo diligente la pratica dell’euphemia (εὐφημίαν – usare parole di buon auspicio; silenzio religioso; evitare parole di cattivo auspicio; preghiera ed elogio, sia nei confronti degli Dei, sia nei confronti dei mortali degni di rispetto e venerazione) verso i suoi genitori sopra ogni altra cosa, ben sapendo che per parole sconsiderate ed alate vi è una punizione assai severa – perché, per tutte queste cose, Nemesi, messaggera di Dike, è stata designata come sorvegliante (ἐπίσκοπος … Δίκης Νέμεσις ἄγγελος)” La legge stabilita dal divino Platone è assai saggia poiché la violazione di tali norme caratterizza proprio l’età oscura in cui ci troviamo a vivere: “Nessun favore si accorderà a chi è fedele alla parola data [“dice, chi è fedele alla parola data, cioè il pio, εὐσεβής, colui che ha Eusebeia, ha favore presso di quelli né il giusto né il buono, come dice anche Omero (Il. 17.147): “non c’è alcuna gratitudine, χάρις”] né al giusto né al virtuoso: di preferenza l’autore di misfatti e la tracotanza (hybris) fatta uomo apprezzeranno … l’invidia/gelosia (ζῆλος – da non confondere con l’omonima divinità, discendente di Stige, fratello di Bia, Kratos e Nike, che dimorano in perpetuo con Zeus, cf. Theog. 383 e ss. con il significato di “giusta ambizione, trasporto, emulazione”: “Zelos: riguardo al Bene” cf. schol. ad. loc. Qui è da intendere nel senso in cui lo usa Platone: γὰρ ὕβρις οὔτ᾽ ἀδικία, ζῆλοί τε αὖ καὶ φθόνοι οὐκ ἐγγίγνονται – “infatti non vi è qui spazio per la crescita di tracotanza ed ingiustizia, di invidie e gelosie” Leggi 679c) tutti quanti i poveri umani, con il suo sguardo sinistro, accompagnerà, chiassosa e compiaciuta del male [“in questi versi ha chiamato ‘zelos’ l’invidia; l’ha definita ‘chiassosa’ perché svillaneggia le buone azioni degli amici e ne dice male come fossero indegni di quelle, ‘compiaciuta del male’ perché gode dei mali e se ne rallegra, ‘dal sinistro sguardo’ perché ha sguardi degni di odio e sempre guarda al male, a ciò che è ateo e a ciò che è dannoso.”]. E allora sull’Olimpo dalla terra dalle ampie strade, avvolti i bei corpi in bianchi veli, abbandonati gli umani, al gruppo degli Immortali si riuniranno Aidòs e Nemesi. E tristi dolori resteranno agli uomini mortali: al male non ci sarà riparo.” (Hes. Erga 190 e ss.)
“Tristi dolori resteranno: cioè, l’estremo dei mali, prevalendo l’impudenza e l’invidia sugli uomini in ogni dove, Aidòs e Nemesi lasciano la nostra stirpe. Impudenza ed invidia sono sviamento di queste: la seconda, in quanto simulacro dello sdegno (Nemesi) pare anch’essa provare irritazione per quelli che prosperano contro il loro merito; l’impudenza invece non è simulacro del pudore, anzi, ne è il perfetto contrario, pur fingendo la franchezza. E se sono bianchi i veli dell’Aidòs e della Nemesi, è perché l’essenza di quelle si trova nella Luce. Sono Potenze Noeriche/Intellettive; e sono distanti dall’essenza atea e tenebrosa delle passioni. Perciò si celebra con inni l’Aidòs come divino timore (θεῖον φόβον), la Nemesi come messaggera di Dike (cf. Platone, Δίκης Νέμεσις ἄγγελος). Bene fece dunque Platone, richiesto di dire cosa mai si fosse aggiunto agli uomini del suo tempo, a rispondere: il non vergognarsi di essere viziosi. E che la Nemesi sia cosa divina lo dimostra il fatto che Essa appartiene agli Dei: “si sdegnò l’augusta Hera (νεμέσησε δὲ πότνια Ἥρη)” dice la poesia (Il. 8.198), mentre l’invidia resta al di fuori di ogni schiera divina.” (schol. Erga 200-201)
Veniamo ora, concludendo tutti i nostri ragionamenti dalla sfera divina più elevata fino alla manifestazione di Nemesi nella storia, alla Dea di Ramnunte (per i dettagli archeologici, cf. l’ottimo studio: “A reconstruction of the Temple of Nemesis at Rhamnous”): sulla strada fra Maratona ed Oropo, si trova il Santuario di Themis e di Nemesi cui avevamo accennato anche in precedenza; ebbene, la statua di culto della Dea nasconde una vicenda molto particolare, segno perfetto del fatto che questa è “la divinità più implacabile nei confronti degli uomini che commettono hybris” (Paus, I 33.2). I barbari, sbarcati in prossimità di Maratona, già certi della vittoria contro gli Elleni e ritenendo che nulla potesse loro opporsi nella conquista di Atene, avevano portato con sé un blocco di marmo pario per erigere un trofeo, altezzosamente pensando che la battaglia fosse già vinta – ebbene, proprio quel marmo, dopo la celebre vittoria degli Elleni a Maratona, servì per erigere la statua di culto di Nemesi a Ramnunte, prova appunto del fatto che la Dea aveva punito assai severamente coloro che avevano agito tenendo in nessun conto le Leggi divine, la protezione accordata dagli Dei e dagli Eroi agli Elleni, stimando il loro orgoglio e sete di conquista ingiusta al di sopra dello stesso potere degli Dei, con le conseguenze che sono appunto note a tutti (Paus. I 33.2; Strab. ix. p.396; Steph. Byz. s.v. Rhamnusia).
Questa statua è stata ovviamente distrutta, ma è stato possibile ricostruirla con precisione sia grazie ai frammenti presenti in situ, sia grazie alle descrizioni degli antichi, sia grazie alle numerose copie romane superstiti: la Dea indossa una corona su cui sono rappresentati cervi ed immagini di Nike (notevole il fatto che la statua sia sì in marmo di Paro, ma che la corona sia di quella specialissima pietra nota come ‘calcare di Eleusi’, davvero raramente usato al di fuori della Città Sacra) – i cervi indicano la sua sovranità su tutto il mondo naturale, ma anche la sua identificazione con Artemide in quanto “Vergine di Rhamnunte”; le Nikai indicano ovviamente che la Dea è Colei che concede la vittoria finale ai giusti che hanno rispettato le sue norme. Come avevamo detto, nella mano destra regge una phiale, lo strumento di culto che si usa per versare le libagioni – chiaro rimando all’Eusebeia – mentre nella destra regge un ramo di melo – il melo è tradizionalmente associato ad Hera (Gamelia, come abbiamo visto a proposito del numero 5) perché il melo custodito dalle Esperidi è precisamente un dono di Gaia ad Hera per le Nozze Sacre, ma anche ad Afrodite, per il celebre mito del ‘Giudizio di Paride’ e per il fatto che Atalanta fu sconfitta e quindi presa in sposa da Melanione, il quale pregò appunto Afrodite per riuscire a vincere la fanciulla, cosa che poi avvenne grazie alle tre famose mele d’oro. Sia come sia, come afferma anche Pausania (I 33.7), la Dea iniziò ad essere rappresentata come alata proprio perché “si manifesta come una conseguenza dell’Amore, e così diedero le ali a Nemesi così come fanno con Eros.” Qui, questo simbolismo si lega appunto, come avevamo accennato, anche alla vicenda della vita ed opere di Elena: infatti, sul piedistallo di questa statua figurano proprio Elena guidata da Nemesi presso Leda, Tindareo ed i suoi figli, Agamennone, Menelao e Pirro figlio di Achille e sposo di Hermione, figlia di Elena. Su un amphoriskos del pittore di Heimarmene ritroviamo la stessa identica scena: Peitho (Persuasione) consola Elena, seduta sulle ginocchia di Afrodite, poco prima del suo rapimento da parte di Paride, mentre dal lato opposto è consolata anche da Himeros (Desiderio). Nemesi si trova al lato più estremo, insieme ad Eukleia (da alcuni identificata invece con Tyche), e punta il dito contro Paride, indicando allo stesso tempo quel Fato cui Nemesi stessa è di gran lunga superiore, ossia proprio Heimarmene (questa, assai significativamente, è l’unica immagine di Heimarmene in tutta la pittura vascolare dell’Attica).
Ovviamente, ci sarebbe moltissimo altro da aggiungere su Nemesi e sui miti che riguardano questa Dea, ma, come abbiamo sempre sottolineato, lo scopo principale di questi scritti è quello di fornire alcuni spunti ai Lettori, in modo che possano poi meditare ed approfondire, con pensieri ed azioni, questi cenni teologici tratti direttamente dalle parole degli antichi iniziati. Per concludere con un dettaglio significativo ma anche di buon auspicio, ricordiamo che esiste un’altra forma di Nemesi, ossia Pax-Nemesis che, alata, avanza verso destra, con un caduceo alato nella mano sinistra che guarda in basso ad un serpente, tenendo un lembo di drappeggio sotto il mento con la mano destra: questa forma divina appare molto spesso sulle monete di età romana (PACIAVGVSTAE) , a ricordare che il rispetto delle Norme garantito dall’Impero e dall’Eusebeia dell’Imperatore proprio questo avevano concesso non solo a Roma ma a tutta l’Οἰκουμένη, tutto il Mondo Greco-Romano, il Mondo civilizzato in opposizione ai barbari ed ai loro costumi, e l’Imperatore era precisamente “ὁ ἀγαθὸς δαίμων τῆς οἰ.” ossia l’Agathos Daimon di tutto il mondo civilizzato.