Non è necessario possedere conoscenze mediche per poter esprimere la propria opinione in merito all’obbligo vaccinale.Spesso infatti si confondono due piani argomentativi: uno di ordine meramente tecnico-scientifico, l’altro di tipo etico. Un conto è dimostrare che i benefici di un qualsiasi tipo di farmaco siano superiori agli effetti nocivi, un altro è chiedersi se il principio di responsabilità nei confronti delle generazioni future sia prioritario rispetto al principio dell’inviolabilità psico-fisica della persona e della libera scelta informata. Nell’era della tecnica, in cui l’essere umano sperimenta su se stesso, in cui soggetto e oggetto dell’indagine scientifica coincidono, e la teoria, per parafrasare Hans Jonas(1), contiene già in sé la prassi, è necessario recuperare la dimensione valutativa della scienza. Lasciare in mano ai “tecnici” la gestione del nostro corpo implicherebbe un ritorno ad una concezione paternalistica del rapporto medico-paziente, in cui il medico assurge al ruolo di sacerdote, di custode dei segreti della vita, di colui che sa meglio di chiunque altro quale sia il bene per il paziente.
“Fidatevi di noi, sappiamo cosa è bene per voi”, sembrano volerci dire. E ancora “abbiamo messo in sicurezza le generazioni future”, senza considerare come sia categorico l’imperativo di salvaguardare l’umanità non solo nella sua esistenza (filantropia che, guarda caso, sembra riaffiorare solamente quando sono in ballo interessi economici ben precisi) ma anche nella sua essenza, e dimenticando che qualsiasi forma di manipolazione della natura umana, di cui la libertà di scelta ne è una caratteristica intrinseca, dovrebbe obbligare l’uomo politico a considerare le questioni relative all’etica medica e alla bioetica. Il decreto sull’obbligatorietà dei vaccini genera una contraddizione nell’attuale paradigma bioetico, quello basato sul consenso informato e, pertanto, sul diritto individuale all’autodeterminazione. Se accettiamo questo paradigma nell’ambito dell’etica di fine vita, quale ragione esiste per rifiutarlo nell’ambito dell’etica di inizio vita? Così come i parenti di un malato terminale dovrebbero poter decidere per il proprio caro qualora questo non avesse più la possibilità di esprimere la propria volontà, allo stesso modo qualsiasi genitore dovrebbe poter decidere, ovviamente sulla base di un’informazione adeguata, in merito ai trattamenti sanitari del proprio figlio. E’ questa la base etica del consenso informato: il principio di autodeterminazione in ambito biologico sanitario, connesso all’inviolabile dignità della persona umana.
Con il ritorno ad un’etica paternalistica, invece, la relazione che intercorre tra il medico e il paziente cessa di costituire un’alleanza, e diventa un rapporto di potere in cui il malato (o ipotetico futuro malato) non dispone più della proprietà del proprio corpo, e i genitori si trovano ad essere subordinati allo Stato nella cura della proprio figlio. Nel momento in cui l’esistenza stessa del consenso informato implica che la società non abbia alcun diritto di violare l’integrità umana, l’unica giustificazione plausibile alla vaccinazione di massa non può che essere lo stato di emergenza, una minaccia globale all’esistenza dell’umanità. Ma dal momento che non è stato dichiarato alcuno stato di emergenza, il nuovo decreto legge sui vaccini non salvaguarda affatto la salute della popolazione ma, al contrario, la mette al repentaglio, assumendo le caratteristiche di una sperimentazione di massa (quella italiana) di cui le cavie non conoscono nemmeno lo scopo, sperimentazione ammessa dallo stesso sottosegretario del Ministero della Salute, Davide Faraone: “non credo che il fatto che l’Italia sperimenti una obbligatorietà, anche su quel numero di vaccini, debba essere considerato per forza un fatto negativo.”
Ora, premesso che non sono contraria ai vaccini in sé, ma all’obbligo vaccinale, mi chiedo: in base a cosa il governo italiano ha deciso che sacrificare la dignità e i diritti fondamentali degli italiani in nome di qualcosa di cui noi non siamo a conoscenza non sia per forza un fatto negativo? La società è davvero moralmente legittimata a richiedere sacrifici umani in nome di un presunto “progresso”? Nonostante il “bene comune” possa pretendere moralmente sacrifici nella sfera pubblica dell’individuo, esso non può e non deve per nessuna ragione pretendere sacrifici umani che vadano ad intaccare la sfera più intima della persona. “Agisci – diceva Kant – in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”(2): gli obiettivi di carattere miglioristico della ricerca medica devono essere subordinati al principio dell’inviolabilità psico-fisica dell’essere umano, poiché prima di preoccuparci di salvaguardare la nostra esistenza, dovremmo forse prima impegnarci a non snaturare la nostra essenza di liberi agenti morali.
Sopravviviamo, dunque. Ma facciamolo restando umani.
Note:
1 – Cfr., H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, a cura di P. Becchi, Einaudi, Torino 1997, (ed. or. Technik, Medizin und Ethik. Zur Praxis des Prinzips Verantwortung, Insel, Frankfurt am Main 1985), p. 74;
2 – I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, a cura di V. Mathieu, Bompiani, Milano 2003, cit. pp. 143-144.
Flavia Corso