Si dice che ogni uomo ha un prezzo. Sarà vero. Le assicurazioni hanno rigide tabelle secondo l’età e secondo quanto sei ancora produttivo – poco vali da ragazzino perché sei una possibile ma non ancora forza lavoro, in tempi di crisi ancor meno suppongo, niente o qualche spicciolo se sei pensionato –. L’uomo simile a merce senza necessità di scomodare Marx. Come dal macellaio, la carne varia di prezzo se si tratta di tenera vitella o di robusto e sanguigno vitellone o di manzo che s’è ridotto tutto nervi. Gli uomini e le bestie anche in questo si conformano alle leggi di mercato che hanno, da tempo e saldamente, soppiantato la natura – che resiste nelle cose, ad esempio, il legno stagionato arde nel camino meglio di rami verdi e umidi o per un mobile lavorato da artigiano e non componibile in assi di compensato e truciolato (il che ricade, comunque, nella logica del profitto)… Nell’età antica e in quella contadina i vecchi erano equiparati ai saggi in quanto conoscevano le storie le tramandavano controllavano il rispetto delle norme e dei riti erano i primi a cui si porgeva la ciotola a tavola intrattenevano adulti e bambini intorno al camino, nelle notti d’inverno, con la magia della parola capace di evocare misteriose fole ed epiche vicende. Oggi valgono in assenza di posti nido nelle strutture comunali inadeguate e per la pensione che percepiscono.
Con il Rinascimento l’homo faber; con la modernità l’homo oeconomicus’… Non allertatevi invano, nessun piagnisteo da vecchio sdentato e bavoso, patetico e indecente. E neppure un rimasticato saggio intorno a ‘l’uomo questo sconosciuto’, magari sul segreto – questo m’intriga tuttora – del mondo che, come diceva il mio sodale Céline, si cela fra le gambe delle donne. No, anche qui, non arrossite non lasciatevi sedurre da ondate ormonali richiami ancestrali da solstizio d’estate, notti di Valpurga, niente Evola e la sua ‘metafisica del sesso’ dottrine orientali modello kama sutra e dintorni o il marchese de Sade (i cani che abbaiano senza denti non sempre strappano il sorriso!). La magia e il mistero dei nostri corpi, li lascio alla poesia del Simposio di Platone e al secondo capitolo de La ruota del tempo, ove Brasillach esprime ‘la sua più bella pagina, e forse la più bella di tutta la letteratura contemporanea’, concordo con Rodolfo, e in cui ‘il rapporto di René e Florence non ha nulla di decadente, nulla di morboso’. E non conosco il rimpianto delle notti d’estate, sabbia sciabordio dell’onda falce di luna calante, quando tracciavo ghirigori sulla curva del seno e l’incontro era l’unione di carni giovani e forti. Solo, forse, di quella storia interrotta di cui porto ancora eco…
Qual è il mio prezzo, la sua variante sul mercato del tempo e delle circostanze? Lo conosco, sì, che sia poi una fortuna titolo di merito o semplice condanna… Lo conosco dal 1968 quando, durante un interrogatorio in Questura il commissario Umberto Improta mi offrì di divenire suo collaboratore con relativa elargizione di denaro (non quantificato al mio immediato rigetto). Lo confermò durante la sua deposizione di fronte la Corte d’Assise di Catanzaro (ovviamente la notizia non interessò alcun organo di stampa). Poi la notte del 12 dicembre – o quella successiva? – 1969. E, qui, riporto quanto già scritto in E venne Valle Giulia, a pag. 112: ‘Quando ha testimoniato, a Catanzaro, il capo dell’Ufficio Politico della questura di Roma e Mario l’ha interrotto e si sono rintuzzati, né libri né articoli né televisione se ne sono preoccupati. Non c’è spazio per un Merlino diverso. Il vice-questore B. Provenza è ossequioso e deferente, s’inchina davanti alla Corte, si siede quasi in punta di sedia. No, come capo dell’Ufficio Politico, le disposizioni di legge non prevedono che possa interrogare i fermati. A precisa affermazione. Sì, d’accordo, l’ha incontrato nel suo ufficio, ma – vorrebbe farsi passare – come una sorta di spalla consolatoria per un monellaccio che gioca a impaurire le vecchiette tirando loro fra le gambe i mortaretti. In verità ha aperto il cassetto dell’ampio tavolo dove sta seduto dietro e offerto per la sua collaborazione passaporto e soldi. Tanti. La precisazione non gli garba. Si sta facendo paonazzo. La carnagione chiara lo tradisce. E’ vero. E’ nella prerogativa della polizia offrire denaro per avere confidenze. Concede, quasi per lanciare un segnale di complice silenzio quasi a suggerire che, in questo modo, si può chiudere il confronto con buona pace per entrambi. Merlino, però, si rifiutò affermando che non sapeva nulla. (E che, del resto, nulla avrebbe loro concesso). Già, però, ha aggiunto, al suo rifiuto, le cose che non si sanno si possono inventare! Adesso è in piedi. Sbraita: la mia onorabilità, bla-bla-bla… Francamente era pretendere troppo. Lui nega; Mario ricorda’.
Ormai storie perdute soffocate sepolte; storie che non contano più nulla, forse neppure a me stesso. Solo curiosità sulla natura del prezzo (si disse intorno ai venti milioni che, nel ’69, era una cifra discreta di cui, lo confesso, non mi sono mai pentito d’aver rinunciato. In fondo gli anni del carcere non mi tornano neppure in forma di incubo in notti dove mi rigiro insonne… Nessun rimpianto nessun rimorso nessun rancore).
Oggi – sono, in verità, trascorsi oltre quarant’anni – il valore, pur se indeterminata la cifra d’allora, s’è ben ridotto – ed anche qui lo dico con cognizione di causa. Senza farmene sangue amaro. Con la cifra tonda e precisa: appena ventiquattro euro… Tanto valgo. O tanto vale chi l’ha stabilita e ha stabilito il valore di una amicizia di una condivisione di idee di un preteso cameratismo?
Andiamo oltre. Sto terminando di leggere, privilegio d’essere amico dell’autore, il saggio di Rodolfo su Carlo Costamagna (Rodolfo Sideri, L’umanesimo nazionale di Carlo Costamagna, ed. Settimo Sigillo, 15 euro, in uscita a settembre), il giurista che, attraverso la rivista Lo Stato fondata nel 1930 e innumerevoli scritti, proseguiti anche dopo il secondo conflitto, affrontò la crisi dello stato liberale quanto la rivoluzione fascista avrebbe potuto e dovuto realizzare i temi legati alla giustizia sociale tramite il corporativismo e la socializzazione l’Europa quale federazione di nazioni. Lavoro, rigoroso e documentato, ricco di citazioni (conoscendo da anni Rodolfo e avendo scritto insieme Inquieto Novecento e Strade d’Europa so che c’è una ricerca delle fonti ‘assoluta’!), forse per una ristretta cerchia di lettori, ma contributo a riportare all’attenzione figure non secondarie a dimostrazione della ‘complessità’ del Fascismo (i precedenti studi su Alfredo Oriani e Adriano Romualdi lo attestano). E i rapporti e il dissenso con figure quali Giovanni Gentile e Julius Evola e Ugo Spirito che gettano nuova luce – e l’arricchiscono – sul mondo variegato che fu il Fascismo e non soltanto contenitore vuoto come vorrebbe imporre l’interpretazione di Renzo De Felice.
Confesso che questa linea di idolatria statuale – ‘Vi è un modello fissato nei cieli per chiunque voglia vederlo e, avendolo visto, conformarvisi in se stesso…’, così Platone nella Repubblica e così Evola cita ne Gli uomini e le rovine – con le sue isole dell’Utopia e Città del Sole lo Spirito in sé e per sé di cui Hegel coglie e impone l’eticità mi aggrada poco e nulla… e non potrebbe essere diversamente, nichilista barbaro dall’alto e anarco-fascista. Eppure porta in sé qualcosa di buono: subordina le spinte e pretese di porre l’economia al di sopra delle istituzioni delle arti e della politica. Il rischio che Costamagna evidenzia di trasformare, ad esempio, corporativismo e socializzazione da strumento di giustizia sociale a fine in sé. Non essere avversi e disubbidienti al loro richiamo, ma stabilire le gerarchie – quell’Ordinatio ad Unum già dichiarato in un contesto teologico da San Tommaso – su cui un popolo, una nazione si esprime e si rende ‘destino nell’universale’ (come l’intendeva Josè Antonio dando vita alla Falange e dando per esso la sua vita).
Ognuno ha un prezzo. Del mio ho detto. ‘Io vagabondo che son io, soldi in tasca non ne ho…’ (Più giovane mi scambiavano per il cantante de I Nomadi). Non me ne dolgo del suo deprezzamento, contro l’etica dei mercanti ‘non mi pare che siano morti gridando viva il libero mercato!’ l’usura e Pound il professor Giacinto Auriti con cui ho tenuto una conferenza nell’aula consiliare del comune di Civitavecchia e tanto altro ancora. Punti esclamativi, tanti, concioni e monologhi, troppi, ma bisogna essere indulgenti… in fondo, come ognuno ha un prezzo, è anche vero che ognuno è figlio del suo tempo (Hegel riconosceva come non sia possibile all’uomo vincere il principio di gravità che, altrimenti detto, sono le circostanze, il debito da pagare alla storia. Anche se ci fa piacere riconoscere – e vorremmo essere fra costoro – come c’è sempre qualcuno che sa dire no!). E Nietzsche, con un sol paio di scarpe e neppure i soldi per risuolarle, ricordava come ‘l’oggi appartiene alla plebe’ (altro è un popolo), una plebe anche se gira con l’automobile veste firmato e trascorre le vacanze all’estero…
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