di Mario M. Merlino
Venerdì 3 maggio, alle ore 20,30, al Gandalf di Ostia mi hanno chiesto di presentare il libro Il Nero e la Rossa , edizioni Gremese, con sottotitolo ‘una storia d’amore negli anni di piombo’. L’autore, Sergio Pucciarelli, è al suo primo romanzo. Un pub, il Gandalf, dove una ristretta comunità non si schernisce davanti al tentativo di realizzare alcuni momenti d’incontro di ascolto di riflessione di dibattito. Lodevole sotto tutti i punti di vista. A Delio, dunque, il nostro grazie. Vi ho portato alcuni dei miei libri insieme a Rodolfo. E, sempre, ne ho tratto sicuro conforto e, se volete, una radicata ostinazione nel credere come il vecchio motto mussoliniano che il libro e il moschetto rendano il fascista perfetto. Sì, vale ancora d’essere proposto, nonostante del moschetto si possa e si debba fare a meno ed anche (nel presente di certo, forse domani chissà) della spranga della molotov che ci fecero compagnia quando eravamo giovani ed altri erano i tempi.
Primo romanzo, si diceva, e l’autore, Sergio, proprio quest’anno compie cinquant’anni. Tardiva decisione di darsi alla narrativa? Non mi sembra anche se l’essere opera prima si percepisce da alcuni passaggi ove il linguaggio indugia s’orienta prosegue poi cercando d’essere più agile e spedito. Affermava Giacomo Leopardi che, dopo aver scritto, si necessita ‘tagliare tagliare tagliare’… Ora noi, con il latinista e stalinista Luciano Canfora, condividiamo come tante considerazioni di quella mezza tacca di Recanati siano simili al retrobottega del barbiere dove si discute del mondo e si conosce soltanto la piazzetta la fontana il bar all’angolo. Insomma il De Sanctis lo privilegia allo Schopenhauer e, diversi anni fa, s’è tentato di trasformarlo quasi un compagno di strada di Nietzsche. Bah, con il complesso verso le donne perché gli puzzava il fiato… non si va lontano e si corre il rischio di finire dall’amico(!?) Ranieri a contemplare le ginestre sul Vesuvio.
Eppure ha ragione nel richiedere che l’immagine e la frase si risolvano come una pennellata veloce, a forti tinte, o depositarsi sul foglio in quella forma di leggerezza, di cui Robert Brasillach è stato maestro. Detto questo, come una sorta di preambolo, chiarisco subito che mi sono accostato alla lettura con una certa prevenzione e ne sono riemerso con un giudizio verso la storia lusinghiero. E mi spiego (del libro non tratto, un libro, soprattutto se di narrativa, si invita a leggere e non si racconta. E questo è libro che vale la pena non avere soltanto sul comodino prima d’addormentarsi). Dopo il solitario intrigante prossimo a quelli della mia generazione romanzo di Antonio Pennacchi Il Fasciocomunista ( la Littoria di Accio Benassi e lo stesso protagonista ci sono familiari), c’è stato un lungo silenzio per poi essere rotto da diverse opere tutte sul medesimo tema e con medesimo impianto narrativo. E, nel cassetto, abbiamo il dattiloscritto, titolo Cuore Nero, dell’amico Nello Gatta che ci dispiace essere rimasto inedito perché ci piace, sì, ci piace molto… Non le citerò, va da sé, se non perché estraneo alla ‘nostra’(?) area il romanzo di Giuseppe Culicchia Il Paese delle meraviglie e quel Baci e Bastonate di Augusto Grandi, strafottente scanzonato irriverente come il suo autore con cui ho condiviso più di una birra all’Asso di bastoni di Torino.
Cosa rimprovero, bonariamente s’intende, a questi libri. Che essi seguono sostanzialmente uno schema ‘blindato’, cioè la trama vede sempre un giovane di ‘destra’ e una ragazza di ‘sinistra’ (e Il Nero e la Rossa non si sottrae). Ora che il femminino si sia ritrovato sotto le bandiere rosse, i pugni chiusi, l’illusoria convinzione che prossima era la instaurazione del regno di Bengodi è nell’ordine naturale delle cose. La piazza diviene lo spazio sostitutivo del lavatoio e dei terrazzi ove stendere i panni (e qui mi urge precisare che l’ironia del linguaggio e delle immagini nasconde un radicato e radicale rispetto verso l’altra metà del cielo). Quando, però, si scrive, è alla ricerca del difforme che ci si deve affidare per non cadere nel reiterato conformismo. Una giovane di ‘sinistra’ (quanto ancora c’è da apprendere dalla lezione di Giorgio Gaber!) che finisce, lei più che lui, ad innamorarsi di quell’’altro’ che le sprigiona ondate ormonali forse memore della favola della bella e del mostro… Insomma, sulla carta si compensa una certa invidia per essere stati all’ombra dell’onanismo, sovente elevato a nobiltà del dominio maschilista, finendo per dare una falsa immagine di sé e ragione a certo psicologismo becero ‘mostri del Circeo e dintorni’…
Questa notte mi rendo conto essere malevolo e forse ingiusto e certamente in stato confusionale (vi assicuro che non ho cercato conforto nell’alcool, io nichilista, che mi difendo in terra e in cielo da ogni pretesa consolante e giustificatoria). Cosa c’entra – o sì? – con il libro di Pucciarelli, libro che, di fatto, ho letto e trovato gradevole, anzi in qualche tratto ‘irritante’ per aver rinnovato la nostalgia verso la comune giovinezza?
‘Ho ricevuto dal cielo tanti doni benedetti, ma li ho rovinati e fatti a pezzi a forza di ragionare. Mi basta toccarlo con la punta delle dita, e il polline cade dal fiore’, così il vecchio Knut Hamsun. Forse un giorno racconterò la storia (vera) di un nero (io) e di una rossa…
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